Esiste un paradiso per i videogiochi? Questa è una domanda che molti sviluppatori, e giocatori, di MMO si sono chiesti nel corso del tempo. Mentre gli altri titoli possono tranquillamente sopravvivere negli anni, al peggio sigillati in eterno dentro vecchie scatole in garage polverosi, nel caso dei multiplayer online il loro ciclo vitale è indissolubilmente legato dalla popolazione dei loro server. Se quest’ultima arriva a toccare numeri fin troppo bassi, significa che non c’è più alcuna speranza per il progetto.
Lo abbiamo visto succedere con Star Wars Galaxies, Tabula Rasa e molti altri titoli che sono usciti di scena attraverso diversi avvenimenti decisamente spiacevoli, magari passando per la classica fase free-to-play in cerca di consensi mai arrivati. Mentre mostri sacri come World of Warcraft e Ragnarok Online continuano a proliferare grazie alla loro netta qualità, in grado di trascendere i secoli e le generazioni, altre iterazioni moderne hanno dovuto passare per cambiamenti a volte drastici per evitare l’oblio del dimenticatoio. Tra gli esempi più importanti c’è Final Fantasy XIV, il quale si è letteralmente “suicidato” per poi resuscitare in una nuova produzione, ripartendo da zero con un nuovo titolo chiamato A Realm Reborn, impiegando oltretutto in maniera intelligente la distruzione del vecchio mondo, rendendola una vera e propria leggenda canonica per la lore e fondandovi la sua trama.
Tuttavia, chi risente di più di questo fenomeno relativo alla perdita di interesse da parte degli utenti sono proprio i recenti “ibridi” dei grandi studi che hanno esplorato tale strada: Destiny (1 & 2) e Tom Clancy’s The Division. Quest’ultimo ha una storia così particolare da catturare il nostro interesse, della quale vale la pena parlare. Per quanto possa sembrare assurdo nell’ottica delle tempistiche, il titolo di Massive Entertainment è tornato in auge a ben 2 anni di distanza dal suo lancio, quando molti utenti lo davano già per spacciato da molto tempo. Le ragioni dietro questo tardivo mutamento di pensieri da parte dell’opinione pubblica sono diverse ed anche abbastanza indicative sul panorama di tale genere ed anche su come dovrebbe essere gestito un MMO nel corso del tempo.
Innanzitutto, i riflettori vanno puntati sui team di Massive ed Ubisoft che hanno operato “a reti unificate” curandone il rilascio dei contenuti. Nel periodo di lancio del secondo DLC, Resistance, il titolo del compianto Tom Clancy entrò in una fase di enorme stallo, in cui i giocatori non avevano più attività endgame da fare una volta raggiunto il massimo possibile dal proprio equipaggiamento. Benché la quantità di contenuti giocabili fosse realmente notevole, non esisteva un forte motivo per spendere ore ed ore a grindare nelle attività successive alla storia principale. In quell’esatto momento gli Agenti della divisione, anche i più zelanti, abbandonarono in massa i server, passando alla concorrenza che al tempo era decisamente più florida. Niente di eclatante da un punto di vista generale del panorama, tuttavia il potenziale del prodotto veniva oscurato dalla poca lungimiranza impiegata in riguardo ai sistemi che lo componevano. Mancava ancora un’espansione ed il team non aveva certo l’intenzione di arrendersi, perciò Massive fece una delle mosse più ragionate e proficue che uno studio possa mai fare, fin troppo bistrattata al giorno d’oggi: ascoltare la community di aficionados che riempiva le pagine di Reddit e di YouTube.
Ubisoft creò un vero e proprio canale diretto dove addetti ai lavoratori ed esponenti del lato utente fossero in grado di progettare il futuro del gioco che più amavano. E, con estrema soddisfazione da parte di tutti, ci è riuscita alla grande, dando vita a un ecosistema di loot, contenuti e modalità straricco e significativo per la progressione dell’utente, il quale finalmente era appagato. Eventi stagionali, obiettivi in gioco con cosmetici sbloccabili, aggiunte gratuite e bonus periodici sono solo alcuni dei moltissimi sistemi che furono posizionati come pilastri in grado di supportare il buon titolo base. Oltre a sorprendere i veterani, furono implementate diverse modifiche all’intero codice per aiutare i neofiti ad appassionarsi al gioco, incrementando la loro voglia di rimanere all’interno della New York digitale. Ciò fu possibile grazie all’introduzione di feature inedite, come i gradi per il mondo di gioco e le casse di bottino adattate al proprio equipaggiamento. Con l’ultimo aggiornamento alla versione 1.8, ciliegina sulla torta di un restyling totale, l’opera era ormai giunta al suo apice. A detta di molti, e della realtà dei fatti, si trattava completamente di un altro gioco. Nonostante questi sforzi, ed aver riguadagnato abbastanza utenti da avere una popolazione media sufficiente al fabbisogno dei giocatori, The Division era ormai finito sotto il tappeto di tutti quelli che avevano gettato la spugna, principalmente a causa di quel ricco anno che è stato il 2017 dal punto di vista videoludico. In questo quadro piuttosto grigio, facciamo entrare in scena il novello Destiny 2.
Lo sparatutto Bungie è stato accolto positivamente dalla critica, millantando una buona trama ed una dose di contenuti abbastanza ricca. Tuttavia, man mano che passavano i mesi, gli utenti si sono trovati insoddisfatti con l’offerta dedicata alle attività di fine gioco. Questa ondata di malcontento è culminata nel movimento del #RemoveEververse: vera e propria insurrezione della community contro la costante aggiunta di oggetti allo store per le micro-transazioni nell’arido scenario delle attività di gioco. Il colpo di grazia fu dato dalle decisioni pro Everversum fatte in La Maledizione di Osiride e durante l’evento natalizio. Nel coro della rivolta, tra i vari subreddit e community dedicate all’opera di Bungie, si alzò una piccola voce che essenzialmente metteva in luce il fatto che The Division aveva tutto ciò che la gente stava cercando, seppur sia stato abbandonato da quelle stesse persone tempo addietro.
In una sorta di visione mistica, al pari del popolo che ascolta le parole di Mosé dopo aver ricevuto le tavole con i dieci comandamenti, i giocatori insoddisfatti si resero conto che effettivamente c’era della verità in quelle voci. E così, tra un passaparola e l’altro, il picco di utenti all’interno di The Division iniziò a crescere ogni giorno di più, cibandosi delle disgrazie altrui come quando ne fu vittima durante l’uscita dell’ultima espansione di Destiny 1. Il fatto acclarato, che qui vogliamo sottolineare, è che la caduta inesorabile di Destiny 2 ha permesso al lavoro di Ubisoft di tornare in auge proprio in virtù di ciò che è riuscito a maturare nel suo periodo di “morte”, rispondendo esattamente alle richieste comuni ancora prima che i giocatori le facessero verso un altro studio.
Ciò che ricaviamo da questa strano tira e molla tra i due “franchise” è che, come il vino, alcune produzioni abbiano bisogno di decantare prima di essere assaporate al loro meglio. Mentre The Division rappresenta sicuramente un caso piuttosto eclatante, non si tratterà dell’ultima volta a cui assisteremo ad un lavoro simile. Se Destiny 2 migliorerà i propri contenuti, come promesso da Bungie nel recente blogpost, allora tra un annetto le persone torneranno al nido, proprio come è successo per il lavoro di Ubisoft. È un continuo gioco di forze tra queste opere che si inseriscono nel panorama di settore, ed è una costante che bene o male è sempre stata celata nell’ombra fin dal primo MMORPG. Il successo è un qualcosa di effimero, quasi quanto la sottile linea su cui molti videogiochi di tale genere cercano di camminare nel corso del loro ciclo vitale, più o meno lungo in base a quanto riescono a mantenere l’equilibrio sulla fune. The Division ha sicuramente recuperato in corner, permettendoci di osservare accuratamente il modus operandi ottimale per evitare di chiudere i battenti: camminare a braccetto con chi vuole vivere in questi grandi mondi virtuali. La speranza è che tali esperienze siano di utilità per Bungie e Massive nei loro prossimi progetti, i quali potrebbero essere perfino migliori se l’utenza dei loro predecessori avesse un ruolo più importante nella loro creazione.