The Inpatient – Recensione

Sembrerà strano agli occhi di chi lo affronta sporadicamente, eppure il genere dell’orrore risulta uno degli espedienti narrativi più complessi da affrontare. Sarà stato abusato nel corso degli ultimi anni, da questo punto di vista possiamo essere tutti d’accordo, ma va anche detto che l’horror, così come il thriller ed altre narrazioni basate sulla tensione delle vittime, risulta difficile da rielaborare nel nuovo millennio, soprattutto quando franchise come Alien, Saw, Hellraiser, Venerdì 13 e tanti, tantissimi altri hanno variato il genere fino allo sfinimento. Tuttavia, il mercato dei videogiochi è ancora un giovane sbarazzino, trovandosi così ad avere un repertorio da sfruttare e, intelligentemente, da ridicolizzare.

Until Dawn si è fin da subito indirizzato verso la seconda via, mostrandosi come un titolo essenzialmente unico tra le svariate opere multimediali interattive. Il suo successo è stato innegabile, ed evitare di sfruttare la nascitura saga si sarebbe rivelato uno spreco da parte di Sony. Ecco che abbiamo quindi avuto modo di vedere un nuovo capitolo della serie, stavolta dedicato interamente al PlayStation VR, noto come Rush of Blood. Con le capacità ottenute dal titolo sul visore, Supermassive Games si è successivamente dedicata a realizzare nuove opere concentrate sul casco di Sony, ed è da queste fondamenta che è infine nato The Inpatient, ultimo titolo della serie targata Supermassive Games. Detto ciò, al di fuori del suo innegabile successo, l’azienda britannica sarà riuscita a distribuire un titolo narrativo con i controfiocchi?

La parola d’ordine di The Inpatient è innanzitutto una: soggezione. Supermassive Games è difatti riuscita ad immergere il giocatore nel sanatorio di Blackwood Pines grazie ad alcuni accorgimenti tecnici. Tra questi, troviamo l’atteso riconoscimento vocale, che ci permetterà di scegliere le diramazioni della trama utilizzando direttamente la nostra voce. The Inpatient si lega così ad Until Dawn, sfruttando l’Effetto Farfalla, ormai un marchio di fabbrica della serie, per evidenziare tutte le volte che avremo indirizzato la narrativa verso delle direzioni inaspettate. Ci troveremo quindi immersi tra le vie del sanatorio, rimanendo perfino sconvolti quando un personaggio si avvicinerà eccessivamente al nostro volto. La soggezione non è quindi un sentore casuale, ma un sentimento che altererà le nostre scelte con le varie figure del titolo; situazione accentuata ovviamente dal riconoscimento vocale. La rigiocabilità di The Inpatient sarà quindi altissima, visto e considerando che avremo una decina di evidenti biforcazioni da selezionare nel corso dell’avventura (dalla durata di tre ore circa).

Nonostante l’evidente brevità del titolo, vivere The Inpatient in una sola sessione di gioco sembrerà quasi una condizione raccomandata da Supermassive Games stessa. Uscire dal visore eliminerà difatti l’immersione, e le ore (o minuti!) rimanenti al finale arriveranno a risultare carenti da ogni punto di vista, spegnendo la tensione accumulata nel corso della nostra prima (dis)avventura. Purtroppo, c’è da dire che, anche agendo in questo modo, la nostra storia non finirà mai per svelare grandi novità a livello emotivo o rivelazioni fenomenali, anzi. Nella maggior parte dei casi, le sezioni dedicate agli incubi del protagonista fungeranno attraverso dei banalissimi jumpscare, spesso prevedibili a distanza di interi minuti, mentre le caratterizzazioni dei personaggi finiranno presto per risultare semplicistiche. Nonostante l’apparente negatività del lato narrativo, The Inpatient riuscirà anche a presentare delle chicche sagaci all’interno della trama.

Partiamo dai dettagli più complessi: chi siamo? Inizialmente sembrerà un informazione bizzarra da rivelare, ma il nostro nome sarà uno dei tanti enigmi che dovremo affrontare nel sanatorio di Blackwood Pines, il quale si mostrerà fin da subito un luogo infido e oscuro; un posto dal quale dovremo scappare. Partiranno quindi a ruota libera alcuni dubbi, e le discussioni con il nostro compagno di stanza: Gordon (o Anna) Bennet. Nulla viene lasciato al caso, ed il senso di confusione è stato gestito in modo tale da condizionarci nelle risposte che daremo infine al nostro interlocutore. Intuiremo quindi che la nostra presenza nel sanatorio non sarà casuale, e finiremo anche per avere delle visioni. Questi momenti verranno sfruttati al meglio dagli sviluppatori, che giocheranno al massimo delle loro facoltà con la mente del giocatore, il quale dovrà decidere se spostarsi verso un corridoio o l’altro. Le situazioni offerte risulteranno forzate, certo, ma aiuteranno anche ad assorbire tutte le nozioni narrate nella saga di Until Dawn, che tende a giocare con alcune concezioni della stessa forma, come quella tra cacciatore e preda.

Se dovessimo valutare il titolo a fette, The Inpatient non è assolutamente una di quelle esperienze che risultano deludenti dal punto di vista della narrazione. Dopotutto, quel che viene mostrato aiuta a definire alcuni momenti di Until Dawn, oltre a donarci un contesto ben più chiaro della situazione. Effettivamente, il dramma si cela proprio nel gameplay del titolo. The Inpatient è difatti uno di quei videogiochi che potrebbero tranquillamente rientrare tra i cosiddetti walking simulator, rimanendo perciò rinchiuso in un sistema di gioco che si presta facilmente alla banalità e, se il giocatore non dovesse appassionarsi alla storia descritta, alla noia; un difetto piuttosto grave, che viene ulteriormente accentuato da un sistema dei controlli che viene gestito malamente da The Inpatient, rovinando così il forte senso d’immersione donato dal sanatorio.

https://www.youtube.com/watch?v=AXEjAEhEvoU

A conti fatti, The Inpatient è un titolo che non rientrerà mai tra i must have del PlayStation VR. Detto ciò, non è neanche un gioco che andrebbe buttato. Il sanatorio di Blackwood Pines risulta curato e dettagliato, così com’è stata gestita al meglio la tensione di ogni fase. I problemi vengono però al pettine non appena viene concentrato lo sguardo sul sistema di gioco, che risulta invece astruso e assolutamente banale; vicino ai walking simulator per linearità. Ed una rogna del genere non sarebbe neanche così grave, se non ci fosse un sistema dei controlli macchinoso ad accompagnarla. Ciononostante, The Inpatient è un titolo che vi chiediamo di osservare, e che consigliamo ad occhi chiusi agli appassionati. L’avventura potrà essere rigiocata più volte e, malgrado le sparute problematiche relative ai controlli, la visione tramite il casco riuscirà a regalarvi un’immersione semplicemente incredibile. In definitiva, se quello che cercate è un titolo in realtà virtuale concentrato sulla narrazione, allora The Inpatient vi fornirà un’esperienza che, nonostante gli svariati difetti, finirà per farsi apprezzare.

Dopo un rito di iniziazione tenuto dalle alte cariche di GamesVillage, Valerio è stato accettato come redattore. È il più giovane del gruppo e, nonostante le apparenze, nasconde un grande talento. Ma lo nasconde molto bene! Non vi consigliamo di partire con lui: leggende narrano che chi l'abbia seguito si sia perso nei meandri della misteriosa Pomezia.