Bentornati al terzo e penultimo appuntamento per il nostro super ripasso dedicato a Tomb Raider! Oggi ci dedicheremo al periodo più particolare e insieme più oscuro dedicato alla bella archeologa d’oltremanica, un periodo che l’ha vista inciampare, cadere rovinosamente e poi rinascere dalle sue ceneri e riprendersi alla grande. Patatine e bibite, avete tutto? Si parte!
Tomb Raider: The Angel of Darkness (17 luglio 2003)
Soundtrack consigliata durante la lettura del segmento
Bene, riprendiamo il filo del discorso: eravamo appena entrati nel 2000 e la next-gen di allora era ormai realtà. Lara lasciò la sua piattaforma di punta, la Playstation, per la sorellina più giovane, PlayStation 2. I fan della serie con già più di qualche primavera sulle spalle avranno ben impressi nella memoria i contenuti bonus di Chronicles, che lasciavano poco spazio all’immaginazione: la Lara “next-gen” (per l’epoca, almeno) sarebbe rimasta l’intrepida atleta di sempre pur migliorata sotto tutti gli aspetti: con premesse come queste, immagino che molti di voi come me vi sarete sentiti carichi di ottimismo e speranze. Poi arrivò The Angel of Darkness.
Il vero problema di questo gioco fu che non era finito. Sotto le direttive di Eidos, i ragazzi di Core Design iniziarono ad avere seri problemi, che aumentavano man mano il tempo passava. Il team di sviluppo aveva due anni a disposizione per realizzare l’intero progetto, che, inutile nasconderlo, era ambizioso, con tante idee variegate; tuttavia lo studio continuò a fare affidamento sullo stesso metodo di lavoro di sempre, impiegando principalmente un team formato da poche persone. Core aveva sempre lavorato così, basti pensare che al Tomb Raider originale lavorò un gruppo composto da sole sei persone. Per The Angel of Darkness il numero era salito a trentaquattro, che in realtà sono comunque pochissime persone per poter sviluppare degnamente un gioco tripla A. Come se ciò non bastasse, tutti insieme dovettero ingegnarsi a creare da zero un motore grafico e un sistema di gameplay per la nuova piattaforma Sony: il tempo stringeva, eppure, forti di aver sempre onorato in maniera ineccepibile le scadenze con i titoli del passato, alla Core moltiplicarono gli sforzi.
Mi sento più forte…?
Purtroppo questa volta non fu sufficiente. Quando il gioco venne pubblicato, era letteralmente incompleto e moltissime porzioni di gameplay erano state omesse; in special modo l’incipit del gioco e tutta la zona urbana di Parigi, che nel gioco pubblicato si risolve quasi solo a correre per le strade deserte e rivolgere la parola a due o tre persone in tutto, nell’idea originale del developer contemplava molta più vita e la possibilità di osservare accadimenti da cui apprendere abilità e capire cosa stava succedendo in quel particolare luogo, per comportarsi di conseguenza. Anche il sistema di sviluppo e crescita delle capacità del personaggio avrebbe dovuto essere molto più completo, ma ci dovemmo accontentare di una Lara che si scusava con nostra incredulità di non riuscire a saltare perché “arrugginita” ma che ci sarebbe riuscita dopo averle fatto spingere una cassa per pochi metri. Ogni nuova abilità veniva implementata goffamente, anche totalmente a caso come la capacità di saltare distanze lunghe dopo la rincorsa con scatto, appresa da Lara alla fine del gioco e utilizzata una volta soltanto.
La gestione del personaggio, a paragone con ogni Tomb Raider fino ad allora realizzato, risultava lenta, goffa e macchinosa; il sistema di combattimento che si attivava all’agganciare un nemico costrinse i giocatori a dimenticarsi per sempre di sparare mentre si saltava di lato o indietro per schivare i proiettili altrui. Senza contare che l’imprecisione nella risposta rispetto agli imput risultava frustrante specialmente nei numerosi segmenti con trappole e sistemi d’allarme collegati a raggi laser. Un nuovo elemento di gameplay che non era da disprezzare fu la possibilità per l’utente di intervenire durante i dialoghi, per scegliere fra quelle proposte quale frase Lara avrebbe dovuto pronunciare. Sbagliare frase poteva condurre rapidamente al game over o complicare parecchio le cose, quindi era necessario scegliere con cautela.
Interpellati a cose fatte, i ragazzi di Core spiegarono che secondo le loro stime sarebbero serviti almeno altri sei mesi di duro lavoro per finire il gioco, ma che Eidos non concesse loro nemmeno un solo giorno in più. Il risultato fu letale: dopo due settimane dal lancio sul mercato di The Angel of Darkness il direttore di Core Jeremy Heath-Smith dovette dare le dimissioni. Poco dopo l’intera Core venne messa in vendita. Ci si domandò se questa non fosse la vera fine di Lara, che cadendo nel baratro stava trascinando tutti con sé.
Parigi Noir
La trama è lunga e arzigogolata, cerchiamo di riassumerla in breve: Lara viene chiamata a Parigi da Von Croy che vive in paranoia dopo aver ricevuto da un uomo di nome Eckhardt la richiesta di recuperare cinque dipinti chiamati Obscura. Da quel momento l’uomo si sente in pericolo visto che negli ultimi tempi un serial killer noto come Monstrum sta mietendo vittime in maniera efferata e inspiegabile e intuendo un legame con la sua ricerca chiede a Lara il suo aiuto ma lei, ancora scossa e arrabbiata per i fatti accaduti in Egitto non gli presta ascolto, rinfacciandogli cos’ha dovuto passare per colpa sua. In quel momento succede qualcosa di concitato, Lara viene spinta a terra da Von Croy e perde conoscenza: quando si riprende il suo ex mentore giace morto, e le mani di Lara sono sporche di sangue.
La donna non ricorda cosa sia successo e quindi non sa chi sia il responsabile dell’omicidio, nemmeno è sicura della propria innocenza; tuttavia capisce che deve lasciare l’appartamento di Von Croy e mettersi in contatto con il suo gancio, una professoressa del Louvre. A partire da questo momento Lara dovrà entrare in contatto con diverse persone per ottenere le informazioni che le servono, stando bene attenta perché la polizia, che la crede responsabile della morte di Werner, le sta dando la caccia. Una visita alla base sotterranea di un malavitoso e l’esplorazione degli scavi archeologici del Louvre aiutano Lara a capire che i dipinti Obscura furono creati da un alchimista di nome Pieter Van Eckhardt, e che se riuniti potrebbero risvegliare il Dormiente, l’ultimo rimasto cioè della potente e misteriosa razza dei Nephilim. Se questi si risvegliasse, sarebbe un pericolo per l’intera umanità.
Il Dormiente
Una seconda visita all’appartamento di Von Croy aiuta la donna a ritrovare la memoria e ricordare non solo di non aver ucciso il suo mentore, ma anche l’identità del vero assassino. Dopo aver appreso che questi, e cioè il Monstrum ha ucciso ancora e la sua nuova vittima è un contatto di Von Croy con sede a Praga, Lara parte alla volta della Repubblica Ceca. Sarà proprio lì, dopo molte peripezie, che Lara troverà il Dormiente e lotterà contro il Monstrum, la cui vera identità è quella di Eckhard, lo stesso che aveva contattato Von Croy; ad ucciderlo, però, sarà un suo secondo di nome Karel, identificatosi poi come l’ultimo dei Nephilim ancora in vita. Karel spiega a Lara di essersi servito sia di lei che di Eckhardt per ottenere i dipinti Obscura con cui risvegliare il Dormiente, per assicurare continuità alla sua specie; in un impeto di generosità offre a Lara l’immortalità purché lei non gli sbarri più il passo. Ma lei rifiuta e con uno stratagemma riesce a causare l’esplosione del Dormiente, nella quale perisce anche Karel.
Di tanto in tanto, durante l’avventura, Lara ha a che fare con un ragazzo dotato di poteri paranormali di nome Kurtis, che all’inizio compete con lei nella ricerca dei dipinti ma con cui poi si alleerà; una fase di gameplay viene affrontata dall’utente impersonando proprio Kurtis. Tuttavia nella parte finale, quando Karel rivela a Lara di averla manipolata a suo piacimento le dimostra anche di aver assunto le sembianze di molte persone con cui è entrata in contatto durante le sue ricerche, tra cui proprio Kurtis.
Tomb Raider: Legend (7 aprile 2006)
Soundtrack consigliata durante la lettura del semgento
Questo fu il primo gioco della serie Tomb Raider a non essere sviluppato da Core Design. Eidos affidò lo sviluppo di Legend a Crystal Dynamics, in particolare al team di Legacy of Kain che aveva già comprovata esperienza nella creazione di giochi action. Inoltre anche Toby Gard, il “papà di Lara” venne coinvolto nel progetto e si occupò di rimodellare la sua creatura. Gard optò per la classica eroina dalle proporzioni statuarie, ma mescolandovi tutto il realismo possibile. Muscoli, mimica facciale, movimenti del corpo: Lara doveva prendere vita e convincere il giocatore fino in fondo.
Lara, sembri vera
Non solo i suoi lineamenti vennero ridisegnati, ma il suo sistema di movimento completamente stravolto rispetto al passato: cestinato per sempre il sistema “a griglia” la cui unità di misura erano i blocchi (ad esempio ricorderete che per fare un salto lungo tre misure Lara doveva prendere una misura di rincorsa), Lara ora correva e saltava con naturalezza, poteva aggrapparsi alle sporgenze allungando le braccia nella giusta direzione, a volte scivolava pure, come potrebbe capitare nella realtà. Il mondo di gioco fatto su misura per lei non era vasto come i livelli del passato, ma decisamente godibile da esplorare in maniera fluida e intuitiva. Le ambientazioni erano otto in tutto, ma garantivano un interessante giro del mondo, spaziando dall’America del sud all’Africa, al Nepal, al Giappone, al Kazakistan.
Scartato anche il sistema di combattimento a mani nude e la modalità furtiva del suo predecessore, Legend ci proponeva una Lara tanto più nuova e fresca quanto più identificabile con quella stessa avventuriera in cerca dello Scion di tanti anni prima: agile, determinata, dai riflessi scattanti e col dito pronto sul grilletto. Al posto di dotarla di armi sempre più potenti, si optò per lasciarle le sue iconiche pistole e darle la possibilità di raccogliere le armi dei suoi avversari caduti; lo zaino marrone dalla capienza illimitata venne sostituito con uno zaino normale, che non poteva contenere più di tre medipack per volta. Gli oggetti troppo ingombranti da mettere nello zaino venivano indossati da Lara direttamente a spalle o sulla sua cintura “da lavoro”.
Anche i dialoghi a scelta multipla vennero cestinati, e Lara si riprese il suo ruolo di protagonista senza se e senza ma, pur coadiuvata da due amici che la seguivano a distanza, l’hacker informatico Zip e lo storico Alister. Inoltre, per la passione motori, Lara poteva sfrecciare per lunghi scenari irti di ostacoli e nemici in sella a una vera Ducati Monster, con la quale eseguire azioni adrenaliniche e pericolosissime. Tomb Raider era tornato miscelando azione ed esplorazione, adeguandosi ai ritmi e standard qualitativi del periodo: fu un successo che riportò in auge serie e personaggio.
Il passato di Lara
In Legend, Lara si trova alla ricerca di un sito archeologico in Bolivia che contiene un particolare altare di pietra. L’altare di pietra in questione fa parte di un complesso di rovine che Lara ha già visto altrove durante la sua infanzia: dopo un incidente aereo, lei e sua madre erano rimaste sui picchi montani del Nepal ad attendere i soccorsi. Cercando qualcosa per accendere un fuoco, Lara aveva rinvenuto le rovine con l’altare, nel quale era infilata una sorta di strana spada. Non resistendo alla tentazione, la ragazzina toccò la spada e attivò suo malgrado un misterioso portale. La madre di Lara accorse, temendo il peggio per la sua bambina, e iniziò una conversazione con delle voci distorte che si sentivano uscire dal portale. Presa dal panico, la signora Croft si buttò all’improvviso sulla spada e la sfilò dall’altare, causando un’esplosione e sparendo nel nulla. Da allora Lara cerca di capire che fine possa aver fatto la madre.
In Bolivia, nella zona delle rovine ci sono già altre persone: una di queste, un avventuriero di nome Rutland, la apostrofa mostrandole un artefatto, chiedendole se sa di cosa si tratta. Lara non si sbilancia, ma riconosce nella forma e nella fattura una parte della spada che vide da bambina. Rutland, nello scambio di battute che segue, rivela a Lara di essere in compagnia di tale Amanda. Amanda era compagna di corso di Lara in gioventù, ma rimase uccisa in un terribile incidente in uno scavo archeologico in Perù, dove gli archeologi avevano involontariamente liberato un’entità che li aveva uccisi quasi tutti. O almeno questo Lara pensava; ora le due donne si trovano a competere per risolvere il mistero degli altari in pietra e dei manufatti che spuntano dappertutto nel mondo.
…ed ora sappiamo come il giovane Artù divenne re
Una volta recuperati i manufatti, Lara capisce che insieme formano la portentosa spada Excalibur e che forse grazie ad essa potrà risolvere il mistero della sparizione di sua madre. Tornata in Bolivia per attivare l’unico altare in pietra ancora integro, Amanda e Rutland le sbarrano il passo ma Lara, servendosi di Excalibur, ha presto la meglio. Una volta attivato l’altare infilandovi la spada, si apre un portale in tutto simile a quello che in cui era sparita Amelia Croft tanti anni prima; Lara riconosce dall’altra parte del portale proprio sua madre e sé stessa ragazzina. Cerca allora di convincere la donna a non toccare la spada, ma Amanda invece le dice che tutto esploderà se non la estrae, al che la terrorizzata Amelia afferra l’elsa e tira con tutte le sue forze.
Il portale si chiude e finalmente Lara capisce che la vera responsabile della scomparsa di sua madre è Amanda. Non tutto è perduto, però: Amelia, dice l’ex amica della nostra avventuriera, non è stata uccisa dall’esplosione bensì trasportata nell’Avalon. Lara tramortisce Amanda in un impeto di rabbia, ma la lascia vivere; mentre si accinge a far ritorno a casa avverte Zip e Alister di prepararsi perché li aspetta molto lavoro, implicitamente confermando a noi che avremmo dovuto aspettarci un altro Tomb Raider in arrivo. Io ne fui entusiasta, e voi?
Tomb Raider: Anniversary (1 giugno 2007)
Soundtrack consigliata per la lettura del segmento
La saga di Tomb Raider compiva dieci anni, e Eidos e Crystal Dynamics optarono per un festeggiamento in grande stile, realizzando un remake del primo glorioso episodio datato 1996, mai dimenticato dai fan di Lara. Potendo ancora una volta contare sulla presenza di Toby Gard, si puntò a ricreare la stessa avventura con le medesime ambientazioni e gli stessi personaggi, però ricostruendo tutto da zero. Particolare curioso, la prima idea del team di sviluppo fu quella di ricreare gli ambienti rispettando fedelmente le proporzioni originali, ma tutti i tester concordarono che l’impressione era di star giocando a qualcosa “di più piccolo” rispetto al Tomb Raider originale. Tutto venne quindi ingrandito, a volte raddoppiando addirittura le misure, come nel caso della cascata della Valle Perduta.
A volte per comprendere il tuo presente devi tornare indietro al tuo passato
Il gioco voleva essere maestoso per replicare l’effetto wow di dieci anni prima, aumentandone però la difficoltà e mettendo il giocatore nella situazione di sapere dove andare, ma doversi ingegnare da nuovo per arrivarci. Nuovi temibilissimi trabocchetti e metodi di esplorazione garantirono la freschezza del gameplay, con Lara che sfoggiava abilità nuove e l’uso del rampino che permetteva di riscoprire i livelli in modi mai visti e divertenti. Gard potè finalmente approfittare di questa occasione per approfondire la trama del gioco, che già dieci anni addietro avrebbe dovuto essere più profonda e personale, ma che risultò ridimensionata.
Qui finalmente si scopre che Lara accetta di trovare lo Scion poiché suo padre in passato aveva già iniziato le ricerche di tale artefatto; questo giustifica anche il timore di Natla che la ragazza, trovato il pezzo, possa decidere di tenerlo per sé. Rispetto a dieci anni prima, Lara appare giovane e ingenua; nonostante la maestria nell’uso delle armi da fuoco, non ha mai tolto la vita a nessuno. Ecco perché l’uccisione di Larson, che avviene nella miniera di Natla dove lui cerca inutilmente di dissuaderla dal recuperare lo Scion, la scuote visibilmente. Questa Lara è finalmente completa come l’aveva già immaginata il suo creatore: una donna sempre bellissima e carismatica, sicura di sé e con mille risorse, ma fondamentalmente una persona con sentimenti, timori e sensi di colpa, come tutti gli altri.
Anche la regina di Atlantide viene qui mostrata sotto una luce più adeguata al suo personaggio: quando in precedenza bastava spararle abbastanza a lungo per ucciderla, qui durante il faccia a faccia finale Lara tenta di tutto per avere la meglio, finché Natla non le fa notare: “Non posso morire, stupida! Prima o poi i tuoi proiettili finiranno!”. In questo caso infatti Lara non ha la meglio grazie alle sue armi, ma alla sua astuzia: tramortisce Natla sfruttando il crollo della sala in cui si trovano e confidando che l’esplosione dell’isola basti a cancellarla per sempre dalla faccia della Terra.
Proprio come nel capostipite, Lara si trova costretta a fuggire senza aver recuperato lo Scion, da lei stessa distrutto.
Tomb Raider: Underworld (18 novembre 2008)
Soundtrack consigliata per la lettura del segmento
Dopo la “pausa” di Anniversary, la saga di Tomb Raider compì un ulteriore passo in avanti con Underworld. Per questo titolo si decise di mantenere un sistema di movimento e interazione con l’ambiente simile a quelli di Legend, rendendo però il tutto più realistico possibile: l’idea era creare situazioni intuitive da risolvere per suscitare la sensazione di “vero”, situazioni in cui il giocatore avrebbe potuto avanzare per logica e non seguendo solo un sentiero preimpostato o andando a sbattere contro frustranti barriere invisibili. Benché la risposta ai comandi risultasse in realtà un po’ meno immediata rispetto al passato, esplorare le ambientazioni con approcci sempre diversi regalava all’esperienza un gusto particolare. Sempre limitato l’inventario, la scelta delle armi da portare con sé andava operata prima di iniziare il livello. Questa volta, fra le altre figurava anche una pistola con dardi tranquillanti: volendo si sarebbe potuto non uccidere quasi nessuno.
Cercando l’Avalon
Il gioco si colloca temporalmente dopo gli avvenimenti narrati in Legend. Alla ricerca di un modo per entrare nell’Avalon e scoprire cosa sia realmente accaduto a sua madre, Lara si troverà al tu per tu con figure e manufatti della mitologia norrena, seguendo ancora le orme di suo padre e scoprendo che Amanda, dopo il loro scontro in Bolivia, si è rimessa al lavoro per trovare l’ingresso dell’Avalon prima che ci riesca Lara. Per assicurarsi un vantaggio decisivo, la rivale della nostra amica tiene prigioniera Natla, l’immortale regina di Atlantide che di questa faccenda sa molto più di quanto non sia disposta a rivelare.
Esplorando i fondali marini del mediterraneo, le lussureggianti coste della Thailandia, le splendide rovine del Messico ed infine sfidando i ghiacci dell’Artico, Lara recupererà il poderoso martello di Thor con cui intende uccidere finalmente Natla che, attraverso una creatura di Atlantide modellata sulle esatte fattezze della nostra avventuriera, si è resa responsabile della distruzione di Villa Croft con tutti i segreti contenuti al suo interno nonché dell’omicidio di Alister.
Helheim, terra di veleno e dolore
Raggiunta Natla nella surreale Helheim, sotto il mar glaciale artico, Lara trova sua madre, ormai mutata in una creatura senza volontà né memoria, e solo parzialmente riconoscibile; nonostante il grande dolore, la nostra amica trova la forza di sparare alla creatura e porre fine alle sue sofferenze. Dopo aver ulteriormente esplorato la zona comprende che la regina di Atlantide si è servita a suo vantaggio sia di lei che di Amanda, solo per arrivare in questo luogo perduto ed attivare un tremendo macchinario detto Serpe di Midgar che sarà in grado di scatenare tremendi terremoti ed eruzioni in grado di squassare l’intera Terra. Mentre Amanda tiene occupate le creature a guardia del macchinario, Lara riesce a impedire a Natla di completarne l’attivazione e la colpisce in pieno con il martello di Thor, unico oggetto in grado di ucciderla. La regina di Atlantide precipita lontano dalla vista e Lara e Amanda, collaborando, riusciranno a fuggire attivando un portale che le trasporterà in Nepal, là dove tutto ha avuto inizio.
Tomb Raider: The Guardian of Light (2010) e The Temple Of Osiris (2014)
Tomb Raider, ma diverso
Una menzione va fatta per The Guardian of Light del 2010 e The Temple of Osiris del 2014, entrambi giochi con un gameplay totalmente diverso da quello classico della saga e orientati decisamente all’azione e alla risoluzione di puzzle. Con visuale isometrica, si controllano i movimenti di Lara con lo stick sinistro del joypad e si spara con lo stick destro. Le azioni dell’archeologa risultano limitate rispetto alla classica saga, anche se grande importanza viene rivestita dall’interazione con l’ambiente, spesso fondamentale per la risoluzione degli enigmi. I giochi presentano modalità co-op.
Ebbene cari amici, il nostro appuntamento di oggi finisce qui. Nel prossimo ed ultimo speciale di Aspettando Tomb Raider ci concentreremo sulla versione più recente e intensa della nostra Lara, esaminando il reboot Tomb Raider e il suo seguito, Rise of the Tomb Raider.
A presto!