Far Cry 5 – Recensione

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Oltre ad aver partorito diverse nuove IP, nella sua storia recente Ubisoft ha avviato una decisa politica di rinnovamento per tutte le sue saghe già esistenti e più note, da Assassin’s Creed a Ghost Recon, passando per Rainbow Six, e – forse – anche Splinter Cell. Il brand di Far Cry è stato uno dei primi a seguire questa strada: dopo aver acquisito la proprietà intellettuale da Crytek e aver pubblicato l’interlocutorio Far Cry 2, il publisher transalpino ha letteralmente stravolto la sua creatura con il più recente terzo capitolo. A partire dal 2012, la serie non sarebbe più stata la stessa; se volessimo, metaforicamente parlando, paragonarla ad un corpo umano, potremmo dire che Far Cry 3 ha avuto il merito di donarle un nuovo scheletro e che i suoi successori, il più che buono Far Cry 4 e il dimenticabile Primal, si sono limitati a cambiarne la pelle e al massimo i lineamenti del viso. Dalle prime volte che lo abbiamo visto, oltre un anno fa, è apparso evidente che l’obiettivo di Far Cry 5 fosse quello di abbandonare ago e filo e impugnare una volta tanto bisturi e pinze, operando in profondità: del resto sei anni cominciavano ad essere tantini, e si avvertiva ormai incombente l’esigenza di un restauro più incisivo. Pur senza veri e propri stravolgimenti, l’idea centrale che ha permeato lo sviluppo del gioco per tutta la sua durata è stata una soltanto: ritoccare in maniera furba tutte le caratteristiche principali del franchise, puntando a dar loro un nuovo volto. I ragazzi di Ubisoft Montréal saranno riusciti ad intaccarne gli organi o si saranno limitati ai tessuti connettivi? Non ci resta che scoprirlo.

La piccola rivoluzione messa in atto da Far Cry 5 comincia fra i boschi ombrosi e le ventilate colline del Montana. La selvaggia (e fittizia) Hope County, placido territorio nel cuore più profondo del continente americano, è ancora una volta il bellissimo quadro che fa da sfondo al classico racconto di opposizione fra bene e male: se apparentemente da questo punto di vista c’è ben poco di nuovo sotto il sole, a distinguere e a far risaltare la narrativa sono la rappresentazione di un mondo magistralmente tratteggiato a scale di grigi e la superba – al solito -caratterizzazione dei personaggi, soprattutto i cattivoni di turno, ormai entrati di diritto nel DNA della serie. Joseph Seed e i suoi fratelli John, Jacob e Faith (e qui reggetevi) sono probabilmente i cattivi migliori e meglio contestualizzati che la serie di Far Cry abbia mai visto. La loro è un’oppressione terribile quanto sottile, una sorta di lavaggio del cervello che si insinua nelle menti delle persone e si manifesta soprattutto nelle folli prediche di Joseph, definito Il Padre dai suoi numerosi edeniti, seguaci del Millenarismo, un’ideologia antica e quasi esoterica che affonda le sue radici nel lontano passato degli Stati Uniti d’America. Sappiamo che si tratta di un’affermazione fortissima, specie quando bisogna confrontarsi con un’eredità come quella di Vaas Montenegro e Pagan Min – che restano comunque veri e propri mostri sacri – eppure, se in passato le vulcaniche personalità di questi ultimi erano in qualche modo contrastate e addolcite dai rispettivi protagonisti “buoni”, qui si ha la costante sensazione di trovarsi immersi fino al collo in un’esperienza interamente costruita attorno a questa dispotica ed eterogenea famigliola. A far loro da contraltare non è tanto il protagonista, un semplice vice-sceriffo di contea che il team ha coraggiosamente deciso di rendere muto e personalizzabile a partire dal sesso (e della cui caratterizzazione non si sente poi tanto la mancanza), quanto il giocatore stesso, a capo di un “ideale collettivo” incarnato da un gruppo di ribelli, liberi dall’indottrinamento di presenze piuttosto ingombranti, pur non sempre percepite come ostili.

Se lo scopo, almeno nelle intenzioni, è quello di riportare pace e tranquillità in un territorio dilaniato dall’oppressione religiosa, nella pratica tutto quanto si rivela ben più complicato. In pieno stile Far Cry, dopo pochi minuti ed una spettacolare introduzione abbiamo a nostra completa disposizione una mappa sconfinata, nella quale però possiamo muoverci liberamente fin dal principio e senza dover più scalare (alleluia!) le classiche torri di osservazione, ormai antitetiche alle innumerevoli trasformazioni subìte dai videogiochi open world negli ultimi anni. Più che la struttura generale, rimasta sostanzialmente immutata, gli sforzi del team sono stati mirati a ottimizzare alcuni aspetti che, in passato, potevano a tratti rendere un filo macchinosa la progressione: oltre alla sparizione delle torri, a subire qualche ritocco è innanzitutto l’interazione con i personaggi non giocanti e di conseguenza l’assegnazione delle missioni principali e secondarie, basata su un sistema a catena che, pur non originalissimo, è orchestrato con notevole criterio, un aspetto che non è scontato ritrovare in una produzione così vasta. Chiacchierando con un qualsiasi NPC ed aiutando la gente del posto nei compiti più disparati, veniamo automaticamente indirizzati verso altre persone che hanno bisogno di aiuto in nuove zone della mappa: fra l’altro, nascosti nel mondo di gioco, sono presenti nove personaggi di supporto unici – umani ed animali – che possono essere assoldati completando alcune sottotrame e poi chiamati alla bisogna in nostro aiuto. I compagni che decidiamo di portare con noi, siano essi “speciali” o semplici soldati (suddivisi per tipologie e dotati di armi differenti), possiedono abilità uniche che si rivelano spesso utili nel completamento di sfide secondarie o nella liberazione degli avamposti. Tutte queste componenti ruolistiche, sebbene un filo meno strutturate rispetto al passato, sono orchestrate e tenute insieme da un sistema di vere e proprie skill denominate tratti, diversificate in cinque rami e sostanzialmente sbloccabili completando tutto il completabile. Le attività sono parecchio diversificate e proposte a piccole dosi, in modo da ridurre al minimo il rischio di annoiarsi anche sulla lunga distanza: che siate guerrafondai provetti, maestri dello stealth o paladini del cazzeggio ne avrete davvero per tutti i gusti, senza contare che potrete affrontare qualsiasi cosa in coppia con un amico. Peccato, però, che nella vostra partita i suoi progressi nella storia principale non verranno salvati: una mezza delusione, che mortifica un po’ la possibilità di cooperare in allegria.

Benché il rischio di rimanere soverchiati da una tale mole di contenuti sia sempre dietro l’angolo, la progressione è scandita in maniera piuttosto intelligente: ogni azione compiuta nel mondo di gioco, che sia più o meno importante, è utile non solo per sbloccare nuove abilità, ma anche ai fini della graduale liberazione delle tre regioni in cui è suddivisa Hope County, ognuna nelle mani di uno dei tre fratelli di Joseph Seed. Si tratta di un sistema ormai collaudato e che, con le dovute differenze, ricorda quanto visto in Ghost Recon Wildlands. Qui, anzi, tutte le componenti in gioco riescono ad incastrarsi perfino meglio, senza costringere a perdersi in un marasma di quest che forse in altre produzioni potremmo percepire come indispensabili. Missioni principali a parte, in Far Cry 5 nulla è davvero fondamentale: al contrario, è possibile costruirsi un vero e proprio percorso e scegliere in totale libertà come affrontarlo, senza essere quasi mai obbligati a farmare punti esperienza per scontrarsi con il boss di turno. Tutto ciò a netto vantaggio del divertimento offerto, divertimento che a sua volta, però, viene in parte svilito dal comportamento non proprio ottimale di alcune fra le numerose bocche da fuoco che è possibile imbracciare. Diverse armi, complici una balistica non certo simulativa e hitbox talvolta mal calcolate, restituiscono un feedback troppo grezzo che talvolta dà la sensazione di non riuscire nemmeno a pareggiare gli standard della serie, al contrario del modello di guida di veicoli e aerei, che è invece andato incontro a decisi passi avanti. Su console, tra l’altro, lo shooting è contraddistinto da un auto-aim talmente marcato da risultare piuttosto fastidioso: decidere di introdurre, nelle opzioni, un parametro per regolarne l’intensità non sarebbe affatto stata una cattiva idea.

L’altro grave difetto che mina la produzione è rappresentato dall’insoddisfacente gestione dell’intelligenza artificiale, decisamente sottotono sia che si parli dei propri compagni che dei nemici di turno, del tutto incapaci di organizzare tattiche più complesse del semplice correre incontro al primo bersaglio in vista e vomitargli addosso con foga tutta la propria potenza di fuoco. Ciò si ripercuote negativamente anche sulla liberazione degli avamposti e su tutte quelle attività che, almeno in via teorica, sarebbero pensate e costruite per sfruttare appieno le possibilità messe a disposizione dal level design, offrendo libertà di esplorazione e di approccio. Di conseguenza è spesso inutile imbastire qualsivoglia pianificazione tattica, a cui la maggior parte delle volte si finisce per preferire il classico e ben noto “trenino” di nemici, un dramma che negli ultimi anni è tristemente diventato piuttosto comune. Se non altro, dal punto di vista tecnico Far Cry 5 è un vero e proprio splendore, su ogni piattaforma: il Dunia Engine è spinto quasi ai suoi limiti, e su Xbox One X (console della nostra prova) restituisce panorami artisticamente e tecnicamente mozzafiato, il tutto gestito ad una risoluzione 4K, con pochissimi tentennamenti nel frame rate e una buona distanza di visuale, che mostra però il fianco a qualche critica nella progressiva perdita di dettagli, avvertibile specialmente mirando. In tal senso si nota un’eccessiva discrepanza fra elementi vicini e lontani, che forse, se ridotta, avrebbe potuto avere un impatto positivo sulla fluidità, rendendo l’esperienza ancor più fruibile di quanto già non sia. Abbiamo poi avuto modo di provare brevemente il gioco su PlayStation 4 standard, ed anche lì i problemi riscontrati sono stati perlopiù minimi, a conferma di un’ottimizzazione eccellente su tutte le piattaforme.

Dopo averlo sviscerato a fondo, resta poco da dire: Far Cry 5 rappresenta la vera e propria summa dell'”esperienza Far Cry” secondo Ubisoft. Pur senza stravolgere i canoni della serie, da sempre contraddistinta da un mondo aperto, liberamente esplorabile e caratterizzato da un ottimo bilanciamento fra quantità e qualità generale, il team di Montréal si è finalmente deciso ad operare quei necessari cambiamenti nella struttura utili a traghettarla nel panorama attuale senza sapere di vecchio e di già visto. L’obiettivo può dirsi raggiunto, anche se non del tutto, per colpa di qualche problema a volte atavico, a volte anche inaspettato, che gli impedisce di raggiungere l’eccellenza. Se, però, siete fra quelli che badano al sodo più che alla raffinatezza delle meccaniche di gioco, Far Cry 5 saprà offrirvi tonnellate di sano divertimento, da soli o in compagnia. Se solo i progressi venissero salvati…
Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.