Rip-Off! – Metti il plagio in copertina

Dura la vita del publisher quando toccava vendere un pugno di pixel come fosse la roba da esporre agli Uffizi! Prima che i sistemi disponibili fossero in grado di tradurre su schermo le ambizioni dei rispettivi sviluppatori, toccava inventarsi davvero di tutto pur di conferire adeguato appeal ad un prodotto.

Per l’edizione home del classico di un classico da sala Green Beret (1985), la Imagine scelse di ispirarsi fin troppo palesemente alla cover di un vecchio albo a fumetti del Punitore della Marvel…

Via libera, dunque, a tutta una serie di trovate commerciali più o meno dignitose delle quali la copertina sgraffignata al blockbuster cinematografico di turno restava senza dubbio quella più gettonata.

Eh, sì. Quello è proprio Stallone così come appariva sul set del clamoroso Rambo II: La Vendetta (1985)

La strategia era semplice: individuare l’attore di tendenza, (sotto) pagare un grafico per realizzare un’illustrazione che ricordasse la locandina del suo ultimo film o magari una scena che lo ritraesse in posa iconografica e spiaccicarci sopra il titolo del videogame…

Secondo l’illustratore responsabile della copertina di Chase H.Q. (1988) sarebbe bastato trasferire i baffi di Lando Calrissian sul muso di Han Solo per fugare ogni sospetto relativo alla sua primaria fonte di ispirazione. Povero illuso!

Sorta in ambito Personal Computer, ma importata ben presto anche in campo console, questa procedura interessava essenzialmente i titoli d’azione e trovava i propri punti di riferimento nei volti di star come Arnold Schwarzenegger, Mel Gibson, Harrison Ford e Sylvester Stallone.

I responsabili della cover di Galdregon’s Domain (1988) ben pensarono di rubacchiare una foto promozionale tratta dal set di Conan il Distruttore (1984) per dare un volto al protagonista del proprio gioco. D’altronde, chi meglio di Schwarzie potrebbe mai interpretare un prode guerriero d’altri tempi?

Inizialmente il fenomeno interessò brand minori e produzioni di basso profilo, salvo poi sfuggire di mano fino a coinvolgere brand di primo piano. Tra le aziende più attive in tal senso, Konami avrebbe ad esempio sfruttato questo stratagemma per gran parte degli anni ’80.

Sulla cover dell’edizione NES del primo Metal Gear figurava un immagine di Solid Snake spudoratamente ispirata ad un fotogramma del film Terminator (1984) ritraente il mitico Kyle Reese (interpretato da Michael Biehn) in futuribile assetto da battaglia.

Proverbiali, in questo senso, i riferimenti a Terminator e Predator immortalati sulle confezioni di Metal Gear Solid e Contra. Se Taito si prese la briga di sgraffignare uno dei più noti primi piani di Han Solo e Lando Calrissian per dare un tono alla cover di Chase H.Q., quei volponi della System 3 scelsero invece di clonare il buon Steven Seagal visto nel manifesto di “Nico” salvo poi piazzarlo sulla scatola di International Karate +.

Tra le più sfacciate in assoluto, la copertina di International Karate + poteva praticamente fungere da locandina del film “Nico” senza che nessuno potesse notare la differenza. Ah, giusto per chiarire: se avete pensato che il Karateka più in basso somigli a Chuck Norris, beh, avete fatto centro!

Come facile immaginare gli esempi sarebbero migliaia, tanto da poter realizzare approfondimento a tema solo per analizzare il caso Blade Runner a cui un Mean Streets della Access rubò ben più della locandina.

Non avessimo giocato personalmente a Mean Streets (1989) avremmo potuto facilmente immaginare che la copertina del gioco facesse in realtà riferimento all’adattamento porno di Blade Runner: uno squallore senza confini!

Dovendo comunque individuare il simbolo di tutto il movimento preferiremmo citare il celeberrimo Duke Nukem 3D, la cui immagine di riferimento non era altro che una variazione sul tema de “L’Armata delle Tenebre” di Sam Raimi

Per molti, la cover di Duke Nukem 3D (1996) si ispirava fin troppo da vicino a quella di Doom (1993), ma la verità è che essa riprendeva direttamente l’immagine vista sulla locandina del film L’Armata delle Tenebre (1992).

Di fronte a cotanta scopiazzatura viene spontaneo domandarsi come riuscissero a farla franca. Possibile che, in tanti anni di speculazione a riguardo, nessun esponente dell’industria cinematografica si sia mai imbattuto in uno di questi falsi?

Non paghi di aver già lucrato sul titolo del gioco – da Road Raider (1988) a Road Warrior il passo è davvero breve – i responsabili della Mindscape scelsero di giocarsi il tutto per tutto sfoggiando in copertina un disegno fin troppo ispirato al Mad Max interpretato da Mel Gibson nel secondo film della trilogia di Interceptor (1979 – 1985).

La risposta è sostanzialmente ovvia: finché il plagio non era tanto sfacciato da evocare lo spettro della contraffazione, si tendeva a lasciar correre anche perché, sotto sotto anche questa poteva rappresentare una forma di pubblicità indiretta.

Più “colto” ma non certo meno evidente, il plagio operato da Konami per la cover di Castlevania (1987), la quale riprendeva il soggetto del celebre dipinto “The Norseman” ad opera di Frank Frazetta.

Da qui l’ideale apertura a tutta una serie di alterazioni grafiche più o meno invasive, gran parte delle quali tese a modificare l’immagine originale quel tanto che bastasse per sottrarsi ad eventuali responsabilità legali.

Il mitico Arnold di Predator in posa plastica fu il punto di riferimento principale della copertina di Contra (1988). Visto che c’erano gli illustratori della Konami pensarono bene di ficcarci anche uno xenomorfo “gigeriano” e un volgare emulo di John Rambo!

Si passava così dalla semplice variazione cromatica a pittoreschi mosaici in grado di mischiare immagini legate a più pellicole come accaduto con Contra, la cui cover affiancava lo Schwarzenegger di Predator all’Alien di Ridley Scott.

La cover del più recente True Crime Streets of LA (2003) riprendeva in maniera alquanto spudorata la copertina di “Costretti ad uccidere”, pellicola diretta da Antoine Fuqua nel 1998.

Con l’arrivo degli anni ’90 e, più nel dettaglio, in seguito alla maturazione mediatica dell’industria favorita dal boom della Playstation, il trend sarebbe fortunatamente andato incontro ad una netta inversione di marcia, per poi finire ai margini del mercato.

Raiden come Kyashan? Pare proprio di sì. Come dimostra questo artwork ufficiale distribuito da Konami in occasione del lancio di Metal Gear: Rising (2013) il vizio del plagio è tutt’altro che tramontato.

Guai tuttavia a pensare che l’arte della scopiazzatura in sé sia tramontata: si sono soltanto fatti più furbi.

Nato e cresciuto sulle pagine di Game Republic dove ha diretto per generazioni la sezione Time Warp, Gianpaolo Iglio ama il retrogaming e lo considera una seconda vita. O una seconda amante. Ha scritto un libro sulle avventure Sierra e insegna Game Journalism e Storia del Videogame alla VIGAMUS Academy con Metalmark.