Ci sono dei momenti nei quali ci si chiede che fine abbia fatto il buon gusto ai giorni nostri. Ci viene molto spesso passato il messaggio che il mondo sia in perenne cambiamento, che ruoti ancor più veloce della nostra razionale capacità di inquadrarlo. È facile sentirsi troppo vecchi o fuori luogo per esprimere giudizi su cose che sembrano parlare un’altra lingua rispetto alla nostra. Ma niente paura. Solo quando ci si sente spaesati al punto da dubitare di noi stessi, magicamente affiorano dei prodotti che ci fanno realizzare di avere aspettato a lungo per una buona ragione. Max: The Curse of Brotherhood è stata certamente una di quelle. Non c’è trucco e non c’è inganno, l’opera plasmata da Press Play aveva le carte in regola per essere definito un gioco vecchio stile, pur vantando un’anima giovane e coraggiosa. Addentriamoci in questo porting per Nintendo Switch per capire se il “platformato tascabile” renda giustizia al titolo.
Alla ricerca del legame fraterno
Max è una ragazzo come tanti altri con un fratellino rompiscatole come tanti altri. Un giorno, però, di ritorno da scuola decide ingenuamente di cercare sul web un modo per sbarazzarsi dell’ignaro consanguineo e recitare una buffa filastrocca scritta per l’occorrenza. Neanche a dirlo, il fratello viene rapito e portato insieme a Max in un’altra dimensione, dove un perfido sovrano ha ordito un losco piano per impossessarsi della loro giovinezza. Quella di del ragazzo, sarà una vera e propria epopea per salvare lo sventurato fratellino dalle grinfie del perfido antagonista. Come in tutte le favole, Max incontrerà molto presto una premurosa maga, che farà lui da mentore, oltre a fornirgli un pennarello magico, sua unica arma nell’avventura, in grado di materializzare e plasmare elementi naturali.
Max: The Curse of Brotherhood è un vero e proprio platformer in due dimnensioni, con una nota nostalgica che richiama molto l’effetto Pixar. Racchiusi in un level design accattivante e ben congeniato ed una difficoltà altrettanto ben tarata vi è un avventura con dei tempi di gioco assolutamente impeccabili. In questo il gioco dimostra la sua maturità e coerenza con il genere a cui appartiene: dietro una trama dalle poche pretese, si cela un’avventura che tiene abilmente il giocatore incollato allo schermo. Di fatto i momenti morti sono davvero pochi e sono anzi propedeutici al rilascio di una tensione magistralmente gestita dall’inizio (e specialmente) alla fine. Oltre a ciò anche i vari sketch che compongono di fatto la narrazione sono assolutamente curati e piacevoli, ed il loro saggio uso rappresenta una graditissima eccezione in questa generazione.
Se sin qui Max: The Curse of Brotherhood poteva sembrare un tipico gioco a piattaforme duro e puro, sappiate invece che le efficaci sequenze descritte si alternano frequentemente a puzzle, i quali prevedono un uso creativo ed ingegnoso del pennarello magico per essere risolti. Questo è senza dubbio il picco di originalità del titolo: gli enigmi – spesso e volentieri basati sulla fisica – rappresentano, nel loro repentino fondersi con la struttura di gioco, la vera anima del gioco. Non essendo oltretutto quasi mai banali e telefonati.
Lo switch alla console Nintendo
Il passaggio dalle console di ottava generazione alla più difficilmente classificabile ibrida di Nintendo sarà stato indolore? Non proprio. Innanzi tutto è giusto dire che l’idea di portare un platform simile su una console portatile è assolutamente comprensibile: cosa se non giochi dove occorre usare un analogico e un paio di tasti immaginereste meglio su un dispositivo mobile? Gran parte delle mie ore di gioco state, per l’appunto, fatte in modalità portatile ed il gioco si presta senza sforzi anche a delle sessioni rapide. La più grande pecca di questa versione del titolo pubblicato da Microsft Studios è tuttavia inerente all’ottimizzazione. Certo è che l’hardware di Switch è ben poca cosa rispetto a quello di una Xbox One o dell’ammiraglia di casa Sony, tuttavia a fronte del downscaling della risoluzione ci si sarebbe certamente aspettati un frame-rate stabile, cosa che innegabilmente carente nella modalità portatile. Dimezzare questi (dannati) fotogrammi per secondo da 60 a 30 del port in questione non avrebbe in nessun modo precluso la godibilità del titolo, se non fosse per i suddetti cali, che vanno a minare, specie nelle scene più concitate, l’esperienza di gioco in maniere spesso significativa. Allo stesso modo la risoluzione minore (solo su televisore) crea un effetto fin troppo sfocato, che sarebbe difficile non definire fastidioso. La direzione artistica del gioco è comunque sufficientemente solida da regalare begli scorci, e garantire una piena immersione nel mondo di gioco. Ultimo e forse meno importante, la possibilità di gestire il pennarello magico con il touch screen del device è quanto mai scomodo e per quanto sia necessariamente il tipo di imput più adatto per lo strumento, si rivela purtroppo più scomodo e talvolta impreciso dell’uso dell’analogico (anche e soprattutto a causa delle dimensioni non proprio contenute della Switch).
Max: The Curse of Brotherhood è un ottimo titolo che rappresenta, nonostante la mediocre ottimizzazione un ottima aggiunta alla softeca di Nintendo Switch, riuscendo a regalare un’avventura avvincente, originale e ben calibrata per la prima volta ovunque voi siate.