Solo: A Star Wars Story, recensione dello spin-off diretto da Ron Howard

Da quando Disney ha acquistato da Lucasfilm il franchise di Star Wars, riportando nelle sale la magia e i personaggi che hanno fatto la storia della fantascienza, mai, per una singola volta da quando è stato annunciato Episodio VII, abbiamo potuto evitare di fare paragoni con tutto ciò che l’universo (è proprio il caso di dirlo) di Star Wars rappresenta per noi e come sarebbe stato riproposto nelle nuove versioni.

Abbiamo avuto modo di parlare, commentare, emozionarci e polemizzare sui titoli finora usciti, ma forse adesso è il caso di lasciarci tutto questo alle spalle e di pensare con serenità: e se vedessimo i nuovi capitoli di Star Wars sotto un’altra luce? Se riuscissimo per una volta a giudicare una nuova pellicola partendo da zero senza preconcetti e aspettative, ma solo per la qualità di ciò che stiamo vedendo?

Chiaramente i puristi e i fan che fin dal 1977 (o almeno fin dalla prima volta che hanno visto Episodio IV – Una nuova speranza) elaborano teorie e discutono su quella vastità di icone, citazioni, mondi che Star Wars ha portato alla luce, potrebbe sembrare un’eresia, uno scopo troppo gravoso e, allo stesso tempo, inutile da perseguire.

All’inizio, seduti davanti allo schermo, in fin dei conti la sensazione è quella: ci si aspetta di gridare al capolavoro, o almeno lo si desidera tanto, con il risultato, fin troppo facilmente, di veder inesorabilmente crollare le proprie aspettative. Ed è stato proprio in quel momento, dopo un inizio un po’ dubbioso, con lo svilupparsi della trama che man mano diventava sempre più avvincente, che per un attimo la mente è passata dal concentrarsi sui riferimenti, sui paragoni alle precedenti pellicole al semplice e puro intrattenimento e curiosità per un prodotto nuovo, capace a tratti anche di commuovere.

Questo non vuol dire che la storia di Han Solo sia avulsa dal canovaccio starwarsiano: tutt’altro, e a ricordarcelo sono i frequenti rimandi a storie e personaggi che, lo sappiamo, costruiranno la saga che tutti amiamo e continua a emozionarci. Il fatto che sia sempre lì ci rassicura. Non vediamo spade laser e, se non per pochissimo, non riconosciamo il tema musicale forse più famoso al mondo, ma ci immergiamo nella storia con due dei personaggi più iconici, che stanno costruendo le loro gesta epiche per sempre.

In questo senso, la pellicola di Ron Howard è pura mitopoiesi, in quanto contribuisce a dare una spiegazione ad alcuni degli elementi più iconici del canone di Star Wars, senza per questo smitizzarli o banalizzarli. Allo stesso tempo, gli sceneggiatori sono riusciti a cucire un’identità propria addosso alla pellicola, aprendo la finestra su una mitologia indipendente, un ritmo e un tono molto personale. Considerata la premessa del film, una storia di fuorilegge, l’umorismo non stona neanche troppo, ed è sempre rispettoso dell’epos e della cornice generale, a differenza invece di quanto avveniva in Episodio VIII, fin troppo incline a cedere all’espediente comico anche a scapito della gravitas. Un risultato inaspettato, se consideriamo anche che la produzione, è noto, ha dovuto rigirare alcune scene per definire meglio l’atmosfera del film.

Chiaramente, come già suggerisce il titolo stesso, questo non vuol dire che per apprezzare il lavoro di Howard dobbiamo pensare che non abbia nulla a che vedere con l’universo di Star Wars perché non ne è degno. Piuttosto, è tempo di capire che anche uno spin-off che richiama le atmosfere e le vicende della celebre saga sia degno di una sua autonomia, e di un suo valore intrinseco, come del resto anche Rogue One ci ha dimostrato l’ultima volta. La cosa divertente di queste storie parallele, è la loro capacità di raccontare aspetti del mondo di Star Wars che sono stati toccati solo in parte, spaziando in altri generi; nel caso di Solo, il punto di vista è chiaramente quello dell'”eroe un po’ canaglia”, una premessa che Ron Howard riesce a trasformare in una pellicola divertente e spensierata, facendo leva sulle peculiarità di un pittoresco sottobosco criminale (dove spiccano Donald Glover e Woody Harrelson) e ovviamente sul carisma del giovane Han Solo, accompagnato dall’inseparabile Chewbacca.

Scollegarsi dal filo neurologico che ci vede legati a paragonare quest’ultima pellicola alle 9 precedenti, ci permette anche di valutare in modo obiettivo la performance di Aldan Ehrenreich, il cui impegno ha richiesto il gravoso sforzo di raccogliere l’eredità dell’Han Solo di Harrison Ford, che per sempre, e giustamente, sarà legato sempre a quest’ultimo. All’inizio è difficile, tanto difficile abituarsi all’idea, ma l’attore riesce a entrare nel ruolo e a far affezionare gli spettatori alle sue avventure, a tifare per lui e a credere che, nonostante tutto, quando andremo a riguardare l’intera saga, un piccolo spazio nei nostri ricordi e nel nostro immaginario potremo darlo anche a quell’Han del quale abbiamo scoperto le origini prima che diventasse il valoroso pilota del Millennium Falcon.

Alessia "Paddy" Padula, Production Director di Idra Editing nonché abruzzese doc, ha una grave dipendenza dalle serie tv, specialmente Doctor Who e Sherlock! Permalosa in modo pericoloso, potrebbe uccidervi per uno spoiler, quindi siete avvertiti. Il suo punto debole? Panda, koala e tutti gli altri animali coccolosi. E gli arrosticini, ma questa è un'altra storia.