The Lost Child nasce come spin-off di El Shaddai: mantiene infatti molti dei personaggi che avevamo già incontrato e ne approfitta per arricchirne l’universo narrativo. Takeyasu Sawaki non lesina sui riferimenti mitologici sia greci che norreni, andandoci giù pesante nella ricerca del caratteristico a livello di personalità artistica. E probabilmente non a caso, visto che Sawaki e la Kadokawa Games hanno sviluppato un classicissimo dungeon crawler a turni, quindi assai difficile da piazzare in un settore ormai piuttosto competitivo (un titolo su tutti: Shin Megami Tensei). Come fare a competere nonostante tutto? Semplice (pare): un uso oculato del low budget. Non possiamo avere la grafica figa e le dinamiche da JRPG con pelo e contropelo? Riempiamo il tutto di cutscene, di artwork degni dei migliori manga ed enigmi impossibili. Ecco a voi The Lost Child.
Angeli e Demoni
In una città che è diventata campo di battaglia per la guerra tra angeli e demoni, Hayato Ibuki è stato scelto personalmente da Dio per riportare la pace. E con Dio non si procrastina. Hayato è un giornalista dell’occulto che sta investigando su una serie di suicidi abbastanza bizzarri avvenuti in una particolare città giapponese, mai citata in nessun manga da me letto fin’ora: Tokyo. Le “vittime” sembrano essere spinte sulle rotaie da una strana ombra scura. Mentre è assorto in questi ed altri pensieri, il nostro giornalista dell’Incubo subisce lo stesso trattamento ma viene salvato in extremis da una strana fanciulla che, dopo averlo sottratto a morte certa, gli consegna una valigetta supplicandolo di salvarci tutti. Come dire di no in una situazione del genere? È così che ha inizio l’avventura del caro Ibuki. Nella valigetta è presente un congegno, la Gun Garmour, in grado di catturare gli Angeli Caduti – o Astrals – che normalmente sono invisibili all’occhio umano. Come se tutto ciò non bastasse, tornato in ufficio Hayato trova lì ad attenderlo una ragazza che millanta di essere un angelo venuto dal cielo e che lo aiuterà con la missione inviatagli da Dio “in carne ed ossa”. O qualcosa del genere. Insomma, una calma giornata d’ordinaria follia a Tokyo.
Dungeon Crawler
Sono proprio i Layers sparsi per Tokyo, o dungeon per gli amici, il cuore pulsante di The Lost Child. In questi luoghi Hayato passerà la maggior parte del tempo, assieme ai suoi Astrals e cercando di catturarne di nuovi. È infatti questo l’obiettivo del gioco: tentare di catturare più Astrals possibili per avere un range maggiore di poteri. Ognuno di essi ha delle peculiarità che possono essere scambiate con gli altri Astrals catturati e tentare di portare i loro punti esperienza al livello massimo per poterli evolvere alla fase successiva. Questi punti saranno conservati in tre sfere d’abilità diverse e spesi all’occorrenza per esorcizzare i mostri dalla loro aura blasfema, così da convincerli a diventare nostri servi sacrificali. Quale parallelismo migliore con le religioni di mezzo mondo?
Come citato, i Layers sono la vera ricchezza del gioco. In essi si trovano enigmi ambientali complicatissimi nei quali vi divertirete (forse no) a perdervi. Ogni Layers ha un boss di metà dungeon, ovvero il boss finale all’Obelisco, e andando avanti gli scontri si faranno via via più complessi. Durante ogni battaglia potremo decidere se catturare l’Astrals che ci troveremo davanti, utilizzando l’Astral Burst (o sfera Poké, per gli amici), ossi il suo colpo speciale. La potenza di questa mossa dipenderà da una sintesi dei poteri degli Astral schierati in campo in quel momento e dalla scelta del tipo di “proiettile” si deciderà di utilizzare. Allo stesso modo nei vari Layers saranno nascosti in dei bauli, ubicati nei posti più impensabili, oggetti criptati (armi antiche et similia) che dovremo decodificare per mezzo di uno degli NPC presenti in città.
Gotta catch’em all!
La cosa si fa invece più complicata quando arrivando alla creazione e alla stabilità del party. Avremo a disposizione un massimo di tre Astrals in battaglia, quindi dovremo cercare di renderli il più possibile equilibrati in termine di poteri. Gli Astrals hanno dei punti deboli, a seconda del loro genere, e questo tallone d’Achille sarà il perno fondamentale su cui baseremo la nostra strategia di vittoria. “Voglio andare dove mi va\e non fermarmi qua”. Stesso discorso per l’evoluzione. Proprio come i Pokémon, gli Astrals si evolvono e lo fanno attraverso un sistema chiamato “EVILve”. Come il nome ben suggerisce, è questo un sistema che ha davvero qualcosa di maligno. A ciascun Astrals è dato un limite massimo di punti che, se raggiunto, necessita di un’evoluzione apposita. In quel momento si può decidere di ritornare all’evoluzione base, con tanto di livello 1 e tutto il resto, così da poter ambire ad un level cap più alto la prossima volta. Si può utilizzare due volte a mostro e permette di raggiungere la forma finale. Ah, e di Astrals ce ne sono davvero a centinaia. Gotta catch’em all!
La cosa da cui sono rimasto più deluso, invece, è la colonna sonora. Mentre per Dragons Crown la Vanillaware aveva scomodato un’orchestra, per The Lost Child la Kadokawa Games non ha mosso un dito. La musica resta così semplicemente una cornice agli eventi narrati, senza mai sfiorare nemmeno l’intrattenimento più distratto. Potremmo definirla musica da ascensore.