Pur con tutti i suoi intrinseci difetti, Until Dawn è stato ed è uno di quei titoli che non spariscono facilmente dalla memoria ludica di un videogiocatore. L’idea di fondo era davvero carina: combinare una narrativa à la Quantic Dream con una vena spiccatamente horror, senza però distrarre il giocatore con una quantità esagerata di violenza gratuita, per permettergli di restare sempre concentrato sugli avvenimenti in corso. Pur non proseguendo – almeno momentaneamente – il brand legato a PlayStation 4, però, Supermassive Games si è accordata con Bandai Namco per produrre una vera e propria antologia volta a celebrare il genere horror, conosciuta fino a poco fa con il nome in codice di Project Mephisto ed ora denominata ufficialmente The Dark Pictures. La serie è composta da una serie di titoli, successori spirituali di Until Dawn, molto brevi e visivamente all’avanguardia, che sono considerabili ognuno una vera e propria esperienza narrativa stand alone.
Il primo episodio, portato da Supermassive alla gamescom di quest’anno, è Man of Medan, in uscita il prossimo anno su PC, PS4 e Xbox One. Man of Medan, come suggerisce il nome stesso e come del resto saranno i suoi seguiti, è basato su miti e leggende realmente esistenti e in questo caso provenienti da posti piuttosto esotici (Medan è infatti una città dell’Indonesia, e non crediamo possa essere una coincidenza). I suoi primi istanti ci permettono di fare subito la conoscenza dei protagonisti, cinque normalissimi ragazzi in procinto di imbarcarsi per un avventuroso viaggio alla ricerca di misteri in mare e negli abissi. Fra parentesi, nel cast del primo episodio sarà presente tra gli altri anche Shawn Ashmore, volto già noto ai videogiocatori per aver interpretato Jack in Quantum Break. Giunti su una nave abbandonata, si imbattono ben presto in una sequela infinita di problemi ed è qui che, finiti i filmati, ha inizio la breve demo che abbiamo provato. La protagonista femminile, accompagnata da un compagno e da quella che sembra essere una guida del posto, si ritrova a vagare per le buie e ammuffite stanze e corridoi del relitto, in un contesto non troppo dissimile dalle atmosfere già respirate in Until Dawn, discostandosi però leggermente dal suo retrogusto da teen drama e film di Serie B e sfoggiando un registro un filo più adulto, più affine ad opere à la Stephen King. Dove, invece, il gioco mantiene piuttosto fedelmente quella struttura, lasciandola quasi invariata, è nella possibilità di perdere ognuno dei cinque personaggi uno dopo l’altro e in qualsiasi ordine: tutti possono morire, e spetterà a noi cercare di salvare la pelle a ognuno. In una scena ben precisa, una dei personaggi poteva scegliere se salvare un compagno o mettersi lei stessa in salvo, il che ci fa presupporre che nelle situazioni di più grave pericolo sia possibile anche assistere alla morte di due personaggi contemporaneamente e giungere al bad ending molto più in fretta. Sarebbe una scelta coraggiosa, ma tutto sommato credibile e che darebbe ulteriore profondità al sistema: dite la verità, in quanti fra voi in un film horror hanno sempre sognato di far morire all’inizio il personaggio più insopportabile?
Nei movimenti e nell’esplorazione, invece, il gioco restituisce un feeling più o meno simile a quello di Until Dawn, con telecamera fissa per alcune zone. Si tratta di una scelta di design comunissima e già vista, voluta per enfatizzare alcune scene, come un pericolo dietro l’angolo, e far immaginare quel che accadrà di lì a poco al giocatore prima ancora che al personaggio ai suoi comandi. Negli intenti, il gioco (che, come ribadito, sarà una avventura a sé stante pur inserita all’interno di una serie) è chiaramente una celebrazione dell’intero genere horror, con stereotipi e cliché di tutti i tipi: c’è la ragazza indifesa, il ragazzo di colore che puntualmente si trova in pericolo fin troppe volte (e non è una frase discriminatoria, anzi), l’ingenuotto amico di tutti, lo sconosciuto con strani segreti e conoscenze. Un vero e proprio calderone di cliché, perfetto per chi ha amato Until Dawn e cerca esattamente un’esperienza di questo tipo, magari sussultando un po’ di più, ma trovandosi più o meno a casa nel sistema di dialoghi e interazioni, diviso principalmente fra due approcci: emotivo e razionale. L’avventura, promettono gli sviluppatori, avrà una durata di 4-5 ore e, pur non essendo rigiocabile, sarà intensa e piuttosto condensata, con continui colpi di scena. Proprio quel che mancava ad Until Dawn, che invece, soprattutto nella seconda metà, aveva un ritmo a dir poco disastroso e si liquefaceva in scene del tutto dimenticabili.
L’idea alla base di The Dark Pictures e Man of Medan è davvero interessante: finalmente, Supermassive Games sembra aver trovato un vero senso e identità ad esperienze di questo tipo, senza sentirsi obbligata dai legacci e dagli obblighi di un titolo tripla A. Il supporto fornito da Bandai Namco non dovrebbe far rimpiangere Sony, e la libertà creativa pressoché totale concessa agli sviluppatori potrebbe permettere alle idee del team di Guildford, nate ormai molti anni fa, di continuare a sopravvivere in modo più che degno in un ambiente per loro diverso e, stavolta, davvero idoneo.