Saga di tutto rispetto, quella di Call of Duty è diventata in poco tempo una delle icone della game industry: da che nacque, nel lontano 2003, riscrivendo presto le regole di un genere destinato a spargersi a macchia d’olio per il globo. Le seguenti iterazioni, rispettivamente nel 2005 e 2006, continuarono a raccogliere proseliti, impreziosendo il filone storico di cui il brand cominciava a farsi bandiera e iniziando a dare vita alle “produzioni annuali” alle quali il grande pubblico sta lentamente cessando di strizzare l’occhio. Con Modern Warfare (2007), Call of Duty fa il suo grande salto, scrivendo indelebilmente una parte della cultura pop moderna, ed evolvendo la formula del multiplayer: da semplice gioco CoD diventa una cultura. In questo periodo l’espansione dello sparatutto in prima persona sviluppato da Infinity Ward sembra inarrestabile, a tutti i livelli: player professionisti incominciano ad affacciarsi in gran numero, la scena competitiva si allinea a quella del più storico Cunter Strike. Di questi fasti, seppur con un passo indietro da parte di molti team, Call of Duty continua a godere con World at War, che riprende i capitoli precedenti e l’anno successivo con Modern Warfare 2, uno degli FPS più amati di sempre, che poteva vantare una community ai tempi sbalorditiva. Nel novembre 2010 Black Ops da inizio ad una nuova serie destinata ad essere reiterata fino ad oggi. Da questo punto in poi la saga inizia a far discutere di sé e ad incominciare ad espandere sempre più il proprio pubblico. Activision compirà infatti un ottimo lavoro di marketing e riuscendo ad assorbire il cambio generazionale, traendone anzi beneficio.
Tra Black Ops 2 (2012) che esce poco dopo la punta di diamante di valve Counter Strike: Global Offensive (attualmente l’FPS con la scena competitiva più fiorene e con il maggior giro di affari), e Advanced Warfare (2014) la serie perde sempre più credibilità agli occhi dei veterani e degli hardcore gamer, iniziando a fare appello quasi esclusivamente ad un pubblico di casual gamer, giovane e catalizzato grazie all’esplosione di YouTube e di una nuova figura destinata a diventare mestiere: l’influencer. Il brand tenta di riprendere appeal con Black Ops 3, un tentativo di rispolverare dopo due anni la serie più giocata fino a quel momento, con risultati non deludenti. L’anno successivo, tuttavia, Call of Duty: Infinite Warfare realizza il record di dislike su YouTube, con il teaser trailer che supera il milione e mezzo di ‘non mi piace’, in antitesi con il trailer dello storico rivale targato EA, Battlefield 1, che con oltre un milione e centomila like totalizza il primato opposto. Sono tempi duri che il publisher mal vive, conscio che la competizione ha dimostrato di sapersi rinnovare assai meglio. Di qui il tentativo disperato di compiuto l’anno scorso con World War 2, un ritorno alle origini che possa dare una ventata di novità al tempo stesso, riavvincinando una fetta di giocatori da tempo perduta. Qui si conclude la storia di Call of Duty per come la conosciamo noi, quello che segue invece è il futuro della serie: Black Ops 4.
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Abbiamo provato infatti la quindicesima iterazione della serie in anteprima a Colonia, presso la gamescom e possiamo affermare che ci troviamo di fronte ad un sonoro cambiamento di rotta, non tanto tematico quanto sostanziale. L’ultimo capitolo in uscita quest’inverno promette infatti di riportare tutto ciò che più i giocatori hanno apprezzato dei Black Ops, filtrato tuttavia in chiave moderna e con degli innesti che possano restaurare il feeling da tempo perduto. Da dove cominciare? In anzitutto abbiamo messo le mani esclusivamente sul multiplayer del gioco, nella modalità Cattura, con accesso alla personalizzazione della classe e selezione dell’operatore. Il sistema ricalca quello di Back Ops 2, con un sistema di punti che permette di personalizzare in tutta libertà il nostro armamentario. La modalità che abbiamo (versione PC) provato è stata la solita Cattura, nella quale tre zone obbiettivo situate in diversi punti della mappa vanno occupate e mantenute in possesso della propria squadra. La prima cosa che si nota appena si scende in campo è la presenza, per la prima volta nella serie, di una barra della salute. Essa indicherà con precisione il quantitativo di HP attuali, i quali non si rigenereranno in automatico dopo non aver subito danno per un certo quantitativo di tempo. Questa prima differenza cambia Call od Duty dal giorno alla notte. Le cure sono infatti manuali e dall’attivazione, sono necessari circa tre secondi per rigenerare quasi tutta la salute, mentre tra la fine di una cura e l’altra vi è un cooldown (tempo di recupero) di circa otto secondi. Per concludere la panoramica sulle modifiche concrete al gameplay, la salute è passata da 100 punti a 150, nonostante il danno delle armi sia leggermente aumentato.
Al di là dei numeri, come questi cambiamenti permeano in sostanza il le dinamiche di gioco? Primo, il time to kill o TTK è visibilmente aumentato. Ciò significa che saranno per esempio necessari almeno un colpo di carabina o due colpi di mitraglietta in più, mediamente per portarsi a casa l’uccisione. Questo è un sostanziale passo indietro rispetto ad una politica che è andata sempre più a ridurre tale tempo, probabilmente per rendere il gioco meno frustrante agli occhi dei giocatori più casual e di un pubblico sempre più giovane e meno esigente in termini di dedizione e profondità. È proprio così: aumentando la durata dei duelli a fuoco si aumenta l’abilità richiesta per trionfare. Facciamo qualche esempio: con un TTK molto basso (Call of Duty: Infinity Warfare) la possibilità di colpire un avversario alla sprovvista senza lasciargli margine di risposta è molto più alta. In questo modo non solo si aumenta la probabilità di morire per il solo fatto di essere stati visti per primi o per essere stati presi alle spalle, ma diviene anche meno prioritario il saper mantenere il mirino sopra il nemico, ovvero una parte della componente di abilità dello sparare. Il risultato è una formula di gioco che torna a premiare il migliore e non il più fortunato, che punta ad una playerbase più conscia e più competitiva. È d’altronde innegabile che lo step back da parte di Activision denota due cose: una presa di coscienza per un brand che è ben lungi dal suo più autentico fulgore e la pressione esercitata da titoli che a parità di target sono riusciti a creare una profondità maggiore e comunità più numerose.
Analizzando la storia recente dei Call of Duty è facile accorgersi di come l’FPS abbia sempre più puntato sul sicuro, andando via via ad essere bollata come “impermeabile al cambiamento” o “serie di reskin dello stesso titolo”. Nonostante il bacino d’utenza si stesse allargando, sempre più veterani abbandonavano il gioco in cerca di altri lidi recriminando di vedersi servita sempre la stessa minestra riscaldata. A ciò si è unita una fisiologica perdita graduale di ispirazione: dalle campagne al level design sempre più caotico delle mappe per l’online. Il pubblico su PC, di norma più esigente, da tempo si era diviso tra chi aveva abbandonato la saga e chi era tornato sul proprio CoD preferito, Black Ops e i primi Modern Warfare certamente tra i più quotati. Mentre la filosofia adottata negli ultimi tempi sembrava dunque non fruttare, la concorrenza come Battlefield ed i battle royale in primis si faceva efferata. L’arrivo di PUBG, come un fulmine a ciel sereno, ha spostato le attenzioni di media e streamer su un nuovo trend… Ed era solo l’inizio. È infatti con Fortnite che Call of Duty riceve il colpo decisivo: il battle royale di Epic Games è free to play, può contare su incredibili aggiornamenti settimanali, raccoglie un pubblico ancora più vasto (essendo “family friendly”) e, pur mantenendo una formula di gioco frenetica e spensierata, riesce allo stesso tempo a mettere in risalto le abilità dei giocatori più talentuosi. Forse è proprio la maggiore complessità e pratica richiesta da un Fortnite ormai divenuto, se non il gioco, sicuramente lo shooter più giocato di sempre a far scattare qualcosa in Activision, a incoraggiarla a questo cambio di rotta quasi inaspettato. Call of Duty Black Ops 4 ha oltretutto in risposta ad Epic Games una modalità regina in stile king of the hill con una mappa formata dalle più iconiche ambientazioni della serie. Si chiama Blackout e sebbene sia l’ennesima in questi tempi che CoD è costretto a rincorrere i propri rivali, insieme ai cambiamenti previo descritti ed alla coraggiosa ed imponente nuova modalità per 100 giocatori, questa potrebbe essere la volta buona per la franchise di recuperare terreno.
Che sia una mossa obbligata o meno, anche Call of Duty sembra finalmente aver chiuso con la sua deriva casual. La speranza è che con questa imminente quindicesima iterazione della saga sviluppata da Treyarch e Beenox, Activision torni a fare sul serio perché quando c’è da rispondere alla chiamata alle armi, i giocatori sono sempre pronti a rispondere.