Death’s Gambit Recensione, a spasso con la Morte nel soulslike di White Rabbit

Death's Gambit

Sorun si risveglia affianco ai resti maciullati dei suoi compagni, impilati uno sull’altro e dati alle fiamme. Non il migliore dei risvegli. E come se non bastasse, una lucertola obesa che brandisce un’ascia più grande di lui, lo schernisce reclamando la vittoria. Ma Sorun, al contrario di tutti i suoi alleati, è vivo. Cos’è che l’ha salvaguardato e perché? La risposta non si fa aspettare: davanti a noi si para la Morte che, con spiccato accento britannico, ci fa intendere immediatamente le massimali della sua polizza. Sorun ha stretto un patto per tornare in vita, ma tutto a questo mondo ha un prezzo. E il ritorno dalla Morte, com’è giusto che sia, non costa poco. Per ripagare il meno docile dei creditori dovremo infatti recuperare un artefatto capace di donare l’immortalità, cosa che toglierebbe ovviamente lavoro e divertimento alla nostra simpatica benefattrice, raggiungendo la città di Caer Siorai in un infinito ciclo di uccisioni e resurrezioni. La fame di vendetta è una brutta bestia, ma a Sorun questo non importa. È pronto a tutto pur di vendicare i suoi compagni ed espiare le sue colpe.

“It’s just like Dark Souls!”

Dopo quattro minuti di Death’s Gambit viene subito da gridare il fatidico: SOULSLIKE. E, in effetti, i parallelismi con Dark Souls si sprecano. Fin da subito ci accorgiamo come la scelta della classe sia molto importante, pur non pregiudicando la possibilità di rivoluzionare completamente la nostra crescita durante il gioco: le classi sono sette, ognuna con una caratteristica differente, in linea con il carattere della stessa (il Nobile avrà accesso a un mercante esclusivo, per esempio. Kasta!1!). Vrael, il nostro acerrimo e ambiguo nemico, ci spiegherà che i nemici rilasciano frammenti, che hanno la stessa identica funzione delle anime in Dark Souls: quando troveremo il corrispettivo dei falò, ovvero delle statue raffiguranti la Morte, potremo spenderli per aumentare le nostre statistiche di base. La differenza sta nel fatto che non lasceremo dietro di noi frammenti quando cadremo in battaglia, bensì Piume. E queste Piume avranno praticamente lo stesso funzionamento delle Fiaschette Estus, oggetti curativi che potranno essere ripristinati a ogni raggiungimento di checkpoint (o Statua della Morte, o falò… come preferite). Dunque, la possibilità di poter essere curati ci spingerà a tornare indietro per andare alla ricerca delle Piume perdute, che si possono anche ottenere pagando una cospicua somma al raggiungimento del falò, pari a quella utile all’avanzamento di livello. Non saranno però in molti a prendere questa decisione a cuor leggero.

Una Morte per amica

Vi troverete faccia a faccia con boss enormi e invincibili, come da tradizione, e dovrete imparare una precisa combinazione di mosse da riproporre a ogni resurrezione. Sì, morirete un numero illimitato di volte. In Death’s Gambit, nome omen, avrete un rapporto con la Morte tutto speciale. Questo ci porterà in un certo senso a non vederla più come un ostacolo, e a poter persino adottare una strategia di sviluppo del personaggio focalizzata sulla morte di questo. Un paradosso? Non esattamente. Credo che in un panorama videoludico come quello odierno, in cui la sperimentazione di nuove dinamiche di gioco è passata in secondo piano rispetto allo sviluppo del comparto grafico e della trama accattivante, un Action RPG come Death’s Gambit che, utilizzando come perno l’atmosfera Dark Souls, prova a creare nuovi rapporti con l’unica vera spartiacque nella vita virtuale e non, sia davvero innovativo oltre che rinfrescante. Prendetemi per pazzo, ma chiunque ribalti le regole della Morte a me sta simpatico. La White Rabbit non nega assolutamente di essersi ispirata al colosso della From Software, né di essersi emozionata guardando le opere di Hidetaka Miyazaki, e io non l’ho trovata una cattiva scelta. Oltre a lasciare da parte tutti gli spiegoni del caso, utilizzando il pretesto narrativo alla Dark Souls per riuscire a togliersi di mezzo tutto quello scarto narrativo già visto e sentito, evita di ragionare su ogni impresa compiuta. Il combattimento cattura completamente tutta la nostra attenzione, senza far apparire il gioco vuoto o privo di significato. I dialoghi sono scarni e ridotti all’osso, facendoci in un certo senso immaginare ciò che c’è dietro le battute, piuttosto che spiegando la psicologia dei personaggi e la motivazione che spinge ogni loro azione. Ho trovato un po’ deludente e poco fantasioso il range di armi, dato che ne abbiamo una per ogni tipologia (falce, martello,spadone, ecc..), ma in questo contesto grafico, che non mette in risalto alcun dettaglio visivo, la differenza tra un arma e l’altra è quasi impercettibile, rendendo quest’accortezza più un capriccio che altro. Invece ho trovato estremamente ispirata sia la direzione artistica che la colonna sonora da applausi a scena aperta.

Death’s Gambit è un gioco che non illude, ti dà esattamente ciò che ti aspetti: un misto nostalgico di dinamiche da soulslike affiancate a quel terrore reverenziale che provavamo vedendo gli enormi e temibili boss a cui ci hanno abituato le opere di Hidetaka Miyazaki. Alcuni brevi sprazzi di sperimentazione, una splendida mappa totalmente interconnessa e una colonna sonora memorabile, rendono il metroidvania di White Rabbit uno degli indie più interessanti del 2018.

Il grifone come figura araldica chimerica simboleggia custodia e vigilanza. Inoltre poiché riunisce l'animale dominante sulla terra, il leone, con quello dominante in cielo, l'aquila, il grifone simboleggia anche la perfezione e la potenza. PSN ID : Aquilayoulooseit