Iron Fist (Stagione 2) Recensione, Danny Rand torna a menare le mani brillanti

Iron Fist

Danny Rand ha imparato dai propri errori: partiamo con il dire che la seconda stagione di Iron Fist è nettamente superiore alla prima. E di quest’ultima è rimasto ben poco: i rimandi alla prima stagione si contano sulle dita di una mano, impiegati con poca convinzione anche quando si tratta di ricordarne gli avvenimenti più cruciali. È stato compiuto un paziente lavoro di restauro che ha coinvolto la sceneggiatura, i personaggi e tutto il resto, risultando riuscito in alcuni ambiti ma un po’ carente in alcuni altri.

In questa città non c’è spazio per tutti e due

Smussati alcuni angoli duri aventi principalmente a che fare con il packaging, fra cui l’eccessiva lunghezza già ampiamente contestata dagli appassionati, il prodotto che ne risulta va a edificare in modo efficace sulle fondamenta traballanti della prima stagione. Benché la continuità non si ravvisi tanto fra le due stagioni di Iron Fist quanto più fra quest’ultima e The Defenders, la nuova avventura di Danny fa tesoro delle critiche di cui la prima stagione ha fatto man bassa: le coreografie dei combattimenti sono eseguite, filmate e distribuite con criterio, gli sviluppi di trama si dipanano in un minutaggio accettabile e i rapporti fra i personaggi risultano finalmente credibili, quasi del tutto privi di forzature. D’altra parte, sarebbe disonesto tacere l’incoerenza che a tratti si insinua nella sceneggiatura: una trama che all’inizio potrebbe apparirvi ingarbugliata, non mantiene a lungo il suo alone di mistero ma si risolve ben presto in un intreccio più che lineare pur senza risultare privo di colpi di scena. La faida fra Danny e Davos per il controllo dell’Iron Fist assume tutti i contorni di una lotta fratricida che scaturisce da diverse interpretazioni del concetto di giustizia ma non offre spunti di riflessione degni di nota, limitandosi a esporre con una forte carica patetica le sfumature più incerte della moralità. Un tema già ampiamente esplorato nelle seconde stagioni di Luke Cage e Jessica Jones riconferma l’intenzione di questo brandello dell’MCU di rimanere coi piedi per terra e non lesinare su dubbi compromessi qualora se ne presenti la necessità, prendendo le distanze, a eccezione di Capitan America: Civil War, dalla netta linea di demarcazione morale che in altre produzioni costringe buoni e cattivi a compiere solo azioni che si confacciano al loro ruolo. Il mezzo principale attraverso cui si dona caratterizzazione ai personaggi, ancora una volta, è costituito dalle decisioni che prendono; si riconferma tuttavia il vizio delle serie sui Defenders di introdurre personaggi che abbiano la sola funzione di mostrare o rafforzare i lati caratteriali delle personalità più importanti.

Iron Fist

Un’allegra combriccola

Sotto il versante dei personaggi è stato compiuto un lavoro certosino che risulta ben congegnato per alcuni ma subisce degli scivoloni in altri: il protagonista, nello specifico, mostrava un’ingenuità piuttosto irritante che si è infine risolta in un ragionevole idealismo, un nuovo atteggiamento che il biondo miliardario ha già cominciato a esibire in occasione del suo cameo nella seconda stagione di Luke Cage. È palese che Finn Jones si senta più a suo agio a vestire i panni di un personaggio più misurato, realistico e ottimamente integrato nell’universo narrativo e nei contesti che abita. Jessica Henwick riconferma l’ottima ricezione che il personaggio di Colleen ha ricevuto e non teme di rubare (anche con una certa costanza) la scena a Danny, costituendo un intreccio che ha più l’aspetto di un valzer piuttosto che di un one man show. Un plauso anche al personaggio di Ward (Tom Pelphrey), soggetto a una piacevolissima evoluzione, e a Misty Knight, che raccoglie il testimone di Claire nel fare da collante fra le diverse produzioni dedicate ai Defenders. Alice Eve nei panni di Mary Walker fa un ottimo lavoro nell’interpretare due personaggi al prezzo di uno: una spietata investigatrice e una sognatrice sprovveduta che non hanno altro in comune se non il volto. Discorso più difficile per quanto riguarda l’altro schieramento, quello dei villain: Davos, fratello di Danny interpretato da Sacha Dhawan, esibisce motivazioni appassionanti a inizio stagione ma ricade vittima di leggerezze narrative che finiscono con il relegarlo fra i “cattivi arrabbiati che credono di fare la cosa giusta”, mentre la Joy di Jessica Stroup non riesce a essere coerente né nelle sue velleità da figlia risentita né nei suoi propositi di redenzione, confinandosi in uno spazio intermedio che la rende uno dei personaggi meno riusciti di questa seconda stagione. Il tema della lotta fratricida fra Danny e Davos viene esplorato con una dovizia di particolari a tratti eccessiva, fatta di dialoghi lunghi e pieni di pathos, spesso e volentieri con l’intento di far leva sul senso di smarrimento di Danny: se il compito dell’Iron Fist era distruggere La Mano e questa è stata sgominata, cosa rimane del destino dell’Immortale? Nel complesso, le loro occasioni di confronto, che sia a parole o a suon di kung-fu, sono scritte e interpretate in modo eccellente; ma la continua enfasi posta sulle ottime ragioni di Davos per avercela con Danny smette relativamente presto di suscitare empatia nello spettatore, complice anche la scadenza del cattivo in una delle categorie di antagonisti più abusate nell’industria dell’intrattenimento del terzo millennio. Bene ma non benissimo.

La Stagione 2 di Iron Fist non è un capolavoro, ma è innegabile che siano stati compiuti significativi passi in avanti rispetto al circo di stereotipi che è stata la prima stagione. Il prodotto ha fatto del suo meglio per eliminare le lungaggini che erano state fonte di tanto criticare, rinnovando con criterio e ragionevolezza quella che molti vedevano come la serie sui Defenders meno riuscita delle quattro. E non manca di rivoluzioni coraggiose che ci auguriamo vengano sviluppate a dovere nei prossimi capitoli di Iron Fist, qualora ce ne fossero. Si fa guardare con piacere e a tratti con passione, ma non con sufficiente trasporto.