Uno studio spinge a limitare i giochi con loot box ai maggiorenni

loot box

La polemica sulle loot box non si limita certamente ai soli confini europei. L’inchiesta sulle microtransazioni, richiesta dal Senato Australiano all’inizio di questa settimana, induce una seria presa in considerazione dell’idea di limitare l’acquisto dei giochi con loot box ai “giocatori che abbiano raggiunto l’età legale per il gioco d’azzardo”.

Il dott. David Zendle della York St. John University e Paul Cairns dell’Università di York, a tal proposito, hanno condotto uno studio, presentato da Zendle al Comitato Referente per l’Ambiente e le Comunicazioni del Senato Australiano, intitolato “Loot box spending in video games is linked to problem gambling severity” (trad. “Lo spendere soldi in loot box nei videogiochi è legato alla serietà del problema del gioco d’azzardo”). Per lo studio sono stati intervistati 7.422 giocatori attraverso un sondaggio online a pagamento (oltre seimila risposte sono state scartate a causa di risposte non serie, incomplete o preoccupazioni a livello etico).

Lo studio prende in diretta considerazione la visione che la game industry ha riguardo alle loot box:

Le dichiarazioni del settore, solitamente, separano le loot box dal gioco d’azzardo, tendendo ad evidenziare invece le somiglianze tra queste e prodotti innocui come le figurine o i Kinder Sorpresa. Come ha detto l’Economic and Social Research Council: “Non consideriamo le loot box come gioco d’azzardo […] sono più paragonabili alle carte da baseball, dove c’è un elemento sorpresa e ottieni sempre qualcosa”. […]  Questi risultati supportano la posizione di quegli accademici che sostengono che le loot box siano psicologicamente simili al gioco d’azzardo. Spendere grandi quantità di denaro in loot box viene solitamente associato a livelli problematici di spesa per altre forme di gioco d’azzardo. Questo è quello che ci si aspetterebbe se le loot box costituissero psicologicamente una forma di gioco d’azzardo. Non è quello che ci si aspetterebbe se fossero, al contrario, psicologicamente paragonabili alle carte da baseball.

I loro risultati suggeriscono che “le loot box fungono da porta d’accesso al problema del gioco d’azzardo tra i giocatori” o che esse concedono agli sviluppatori “un modo non regolamentato di sfruttare a loro piacimento i disturbi del gioco tra i loro clienti”. A tal fine, il dott. Zendle e Cairns si sono poi aggregati a quelle domande che chiedevano l’esposizione di bollini che marchiassero la presenza di loot box nel gioco, e di un descrittore che notava la presenza di “contenuti assimilabili al gioco d’azzardo in-game”, compiti poi assolti dai sistemi di classificazione.

Gli studiosi hanno inoltre osservato che la relazione tra uso delle loot box e il problema del gioco d’azzardo era “più forte delle relazioni precedentemente osservate tra il gioco d’azzardo problematico e fattori come l’abuso di alcool, l’uso di droghe e la depressione”. Tuttavia hanno denotato che si trattava semolicemente di una ricerca condotta per correlazioni, e che era impossibile determinare se i loro risultati stavano guardando a una situazione in cui la spesa in loot box incoraggia il gioco d’azzardo, o viceversa.

Potrebbe anche essere che entrambe le direzioni di causalità siano vere: i giocatori d’azzardo problematici spendono di più in loot box, mentre l’acquisto di esse genera simultaneamente un aumento del gioco d’azzardo tra i giocatori.