“La costruzione di un amore mescola il sangue col sudore” cantava Ivano Fossati nel ’78; Capcom lo sa bene, poiché esattamente vent’anni più tardi dava alla luce uno dei suoi capolavori più amati dal grande pubblico, quel coraggioso secondo capitolo di Resident Evil che qualsiasi rivista del settore salutava come una pietra miliare. Prodotto da Shinji Mikami e diretto da Hideki Kamiya, che sul curriculum ha poi collezionato successi del calibro di Devil May Cry, Okami e Bayonetta (giusto per citarne alcuni), Biohazard 2 (questo il titolo originale) è un po’ il “Dawn of the dead” di Romero nel mondo dei videogiochi; perfino chi non l’ha vissuto in prima persona ne ha coscienza, come se facesse parte dell’immaginario collettivo. Un giovane poliziotto al primo giorno di servizio, una motociclista in shorts dai capelli castani raccolti, una stazione di polizia dall’architettura assurda e tanti, tanti zombi: era l’incidente di Raccoon City, era Storia con la S maiuscola, era Resident Evil 2.
Era il 1998, e Resident Evil 2 mi mise davanti a una scottante constatazione: dovevo assolutamente procurarmi una PlayStation. Incredibile a dirsi, da quella folgorazione di quel pomeriggio sono passati due decenni; il nuovo Resident Evil 2, in uscita tra poco più di un mese, non è però una sorta di “morto vivente”, che torna a tormentarci come una ex fidanzata. Capcom sta infatti cesellando una nuova costruzione di un amore o, meglio, di un orrore. In senso buono. Se da una parte la riscrittura del gameplay e della regia di gioco, tramite l’abbandono delle inquadrature statiche a favore di una camera libera alle spalle dei personaggi, può far perdere un po’ della potenza fotografica dell’originale, è anche vero che le peculiarità di questa nuova produzione sono da ricercarsi in mille altre componenti, capaci di recuperare e ricreare il senso degli archetipi contenuti in quei vetusti, bellissimi CD dal fondo nero, ammodernandolo nel linguaggio senza snaturarlo.
Nella generosa porzione di gioco che è stata resa disponibile in sede di anteprima stampa, è balzato subito agli occhi come alcune sezioni iniziali dell’avventura siano state rimodellate per rendere l’esperienza più snella, lineare, forse quasi scriptata; il sospetto che la componente narrativa fosse stata preferita a quella interattiva è stato però subito fugato dallo scoprire l’eccezionale amalgama di questa produzione, perché quando i giri del suo motore iniziano a cantare scende in campo una vera sinfonia di sensazioni. L’aspetto più riuscito, e che non trovavo così approfondito dai tempi del primo The Evil Within, è lo studio delle proporzioni degli ambienti e del posizionamento dei mostri nello spazio: è incredibile come si abbia sempre la sensazione di essere braccati, di non avere scampo, ma soprattutto di non avere… aria. Ci troveremo di frequente a guardare una porta in fondo a una angusta stanza, con qualche zombi tra noi e lei, e a valutare il da farsi: “Non ho abbastanza proiettili. Riuscirò a correre tra loro e le scrivanie senza che mi agguantino?”. Una cattiva pianificazione delle nostre azioni e dei nostri percorsi comporterà l‘inesorabile game over, pianificazione che passa anche da un inventario simile a quello visto non troppo tempo fa in Resident Evil 7: limitato, sì, ma pratico e funzionale.
L’impatto grafico/sonoro è davvero di altissima qualità. Non siamo probabilmente al cospetto di numeri “poligonali” da record, ma l’atmosfera è pressoché ottima, rispettosa del passato e moderna al contempo, con quel design dal gusto internazionale che non rinuncia però a guizzi squisitamente nipponici nella modellazione al quale Capcom ci ha ormai felicemente abituato. Che dire poi dei mille momenti iconici che i giocatori più rodati conservano impressi nella memoria? Sembra siano stati preservati tutti, alcuni riscritti (ma non per questo meno efficaci), alcuni intatti. Senza scendere nei dettagli per non rovinare il piacere della scoperta, è comunque importante sottolineare come i programmatori abbiano preparato moltissime sorprese per i giocatori, anche in termini di nuovi scenari.
Di fatto, tutto il nuovo Resident Evil 2 è una infinita sorpresa. È incredibile constatare come la maggior parte delle planimetrie delle ambientazioni siano fedeli alle loro controparti del 1998, eppure tutto è cambiato: non compierete una sola azione allo stesso modo di allora, non risolverete un enigma appellandovi alla memoria, non sopravviverete se non affrontando questo viaggio con occhi nuovi. Siamo al cospetto di un “manuale di riscrittura”, e certamente di uno dei migliori remake che il medium annoveri.