Ci fu un’epoca in cui i giochi di ruolo giapponesi avevano perso il loro smalto e sembravano non interessare più al pubblico. A quel tempo Square Enix, ammiraglia del genere con pietre miliari come Final Fantasy e Dragon Quest, tentò di intraprendere nuove vie con timidi tentativi di distaccarsi dai suoi grandi classici e proponendo nuove IP. Tra queste vi erano Infinite Undiscovery e The Last Remnant, entrambi usciti inizialmente come esclusiva per Xbox 360 (solo The Last Remnant arrivò in seguito anche su PS3 e PC). In realtà nessuno di questi nuovi JRPG riuscì a imporsi come rivoluzionario del genere, ricevendo giudizi altalenanti nelle recensioni di tutto il mondo. Per questo motivo sorprende che a distanza di 10 anni Square Enix abbia deciso di riproporre un’edizione remastered di The Last Remnant, di certo non una delle punte di diamante del catalogo di JRPG della software house giapponese. Provata questa nuova versione del titolo, andiamo ad analizzare quanto può dare agli appassionati di JRPG.
Tra politica e fantasy
La storia di The Last Remnant parte da spunti molto classici. Il tutto è ambientato in un mondo fantasy con chiare influenze derivanti da Final Fantasy XII, gioco uscito in origine solo due anni prima del nostro titolo. Infatti sia il character design che la moltitudine di razze presenti all’interno del mondo di gioco rimandano al dodicesimo capitolo della saga per eccellenza di Square, senza contare che anche in questa storia la componente politica ha una grande importanza. I Remnant del titolo sono un elemento chiave della storia: si tratta di reliquie di un passato perduto dotate di enorme potere, in grado di proteggere o soggiogare interi regni. Ogni Remnant può essere controllato da una persona cui si lega indissolubilmente, ma se questa muore o se manca il legame allora il Remnant può diventare instabile e pericoloso. Protagonista della storia è Rush Sykes, giovane impulsivo che vive su un’isola con la sorella Irina, mentre i genitori, due importanti scienziati studiosi dei Remnant, portano avanti le loro ricerche in un misterioso luogo chiamato l’Accademia. Un giorno i genitori dei due mandano ai ragazzi un messaggio in cui li invitano ad andare a vivere insieme a loro, ma il bel momento è presto interrotto da alcuni loschi figuri accompagnati da mostri che rapiscono Irina e feriscono Rush. Il giovane riesce a salvarsi solo sprigionando casualmente il misterioso potere del suo medaglione. Da questo momento Rush tenterà in tutti i modi di salvare Irina, alleandosi con David Nassau, signore di Athlum, una città posta a difesa di un importante regno, e i suoi generali, che presto diventeranno nostri compagni di viaggio in un’avventura che destabilizzerà la scena geopolitica del mondo. La storia nel suo complesso sa molto di già visto e la piattezza dei personaggi, a cominciare dal protagonista, non convince molto. Gli intrecci politici e narrativi a volte risultano complessi anche per via delle poche spiegazioni fornite durante il gioco e le dinamiche tra i personaggi vengono spesso appena accennate senza grandi approfondimenti. Non vi verrà naturale affezionarvi ai protagonisti, che non spiccano né per carisma né per design, soprattutto Rush, che incarna lo stereotipo del protagonista senza spiccate caratteristiche che lo contraddistinguano. La trama, ad ogni modo, è abbastanza godibile, con qualche colpo di scena specialmente alla fine, ma senza mai entusiasmare il giocatore in modo eccessivo.
Scontro tra eserciti
Il gameplay di The Last Remnant è molto classico nel suo genere, si basa infatti sull’esplorazione di dungeon, combattimenti e fasi di riposo nelle diverse città presenti. L’esplorazione in realtà è facilitata e ridotta al minimo, poiché la mappa del mondo sarà un insieme di punti da visitare semplicemente scegliendo la nostra meta, cosa che potremo fare con i quartieri delle diverse città. Anche le città non saranno enormi e avranno poche aree esplorabili, dove sono segnati negozi e NPC con cui parlare.
La cosa più interessante del gioco è il sistema di combattimento, che, sebbene sia gestito come un classico a turni, presenta delle caratteristiche uniche. Quando ci troveremo a combattere non controlleremo mai un singolo personaggio, ma solitamente un’unità composta da un massimo di 5 individui, arrivando ad avere schierate dalla nostra parte anche 15 o più unità che combatteranno seguendo i nostri ordini. Ogni unità sarà componibile liberamente con i personaggi che troveremo nel corso della storia, tramite quest o assoldandoli in una gilda. Durante il combattimento impartiremo ordini generici alle nostre unità, con comandi come l’attacco semplice, attacco tramite tecniche speciali o magiche, cura ecc. Non potremo decidere per ogni singola unità l’attacco da utilizzare, ma i nostri ordini generici verranno poi gestiti dall’IA. Anche gli HP e gli AP (valore che servirà per eseguire tecniche speciali e magie) derivano dalla somma di quelli di ogni personaggio all’interno di un’unità, e la sconfitta, sia per noi che per i nemici, deriva dall’azzeramento di quel valore, indipendentemente dal personaggio colpito: quando si azzera, tutta l’unità è sconfitta. Oltre a ciò, ci sarà anche una sorta di componente strategica, che ci darà dei bonus a seconda della posizione durante un attacco ai nemici (ad esempio, lanciare un attacco laterale o circondare gli avversari ci darà dei bonus), inoltre dovremo tenere conto della barra morale che volgerà a nostro favore o contro di noi a seconda delle diverse azioni compiute in battaglia. Questa barra donerà di volta in volta bonus all’attacco e alle statistiche a seconda di chi prevale nello scontro.
In realtà, nonostante la particolarità del sistema, il giocatore avrà poco spazio d’azione, dovendosi limitare a impartire un ordine generico alle sue truppe per poi stare a guardare. L’unica interattività nella battaglia è data dal premere al momento giusto un tasto per amplificare i danni o la difesa, ma questa opzione può essere disattivata nel menu di sistema. La componente strategica è piuttosto blanda e confusionaria e non avrete un reale modo per decidere il posizionamento delle vostre truppe, ma potrete solo decidere chi attaccare, sperando che il nemico non si muova troppo mandando all’aria il vostro piano di affiancamento. Anche il combattimento dunque, nonostante il tentativo, già dieci anni fa, di rinnovare il classico sistema a turni, non brilla per originalità: e se già non lo era dieci anni fa, figuriamoci adesso. Fortunatamente gli sviluppatori hanno inserito un’opzione per velocizzare sia le esplorazioni che i combattimenti, un po’ come nell’edizione remastered di Final Fantasy XII: in questo modo sarà come premere il pulsante di Fast Forward per evitare le parti più noiose. Anche la fase di personalizzazione non sarà troppo marcata, potremo infatti equipaggiare di armi e oggetti soltanto Rush e potremo apportare qualche piccola modifica alle nostre truppe, ma senza decidere la progressione nei livelli, che sarà tutta gestita automaticamente. Oltre che alla storia principale, potremo anche dedicarci a diverse sidequest sparse all’interno del mondo. Basterà avvicinarsi a un personaggio con il simbolo dedicato sopra la testa e parlargli: accettando di occuparci della sidequest verremo portati immediatamente nel luogo dove è richiesto il nostro aiuto, per poi essere ritrasportati davanti all’NPC una volta conclusa la nostra missione. Una nota positiva del titolo è quindi la diminuzione drastica delle “fasi perditempo”; non avremo mai momenti di backtracking o di viaggi da un punto all’altro grazie al sistema di viaggio rapido, costante all’interno del titolo. Certo il grinding non sarà però sempre evitabile, specie per alcuni scontri contro i boss.
Rinascita grafica
Ai tempi della sua uscita, The Last Remnant, nonostante l’ottima grafica, presentava diversi problemi tecnici. Quest’edizione remastered riesce a risolvere gran parte dei problemi legati al framerate e ai pop-up, migliorando qualitativamente anche la grafica generale del titolo, che sicuramente appare visivamente molto più in forma di quanto potesse apparire dieci anni fa. Certo è pur sempre una remastered e chiaramente non può competere con i titoli attuali in quanto a qualità. Il titolo mantiene alcuni problemi dell’epoca, specialmente per quanto riguarda il level design, che, se ci dona ottimi panorami principalmente nelle città ed in pochi altri luoghi, risulta piuttosto scialbo e monotono nei diversi dungeon presenti. Le animazioni dei personaggi sono piuttosto ben riuscite, soprattutto nei combattimenti, anche se spesso la situazione diventerà troppo caotica e si farà fatica a distinguere le proprie truppe, specie per via di una gestione non sempre ottimale della telecamera. Per quanto riguarda il comparto sonoro, le musiche d’accompagnamento sono senza infamia e senza lode, facendo il loro dovere senza rimanere impresse; segnaliamo però un buon doppiaggio in inglese, anche se avremmo trovato interessante l’inserimento, in questa nuova versione, anche del doppiaggio giapponese.
The Last Remnant Remastered è un JRPG che risorge dopo essere finito nel dimenticatoio per 10 anni. Il suo essere troppo classico e senza elementi che lo distinguono dalla massa di suoi simili era un problema già ai tempi della sua uscita, e a distanza di tutto questo tempo appare solo aggravato dall’evoluzione che nel frattempo il genere ha intrapreso. Forse qualche vecchio nostalgico potrà trovare delle qualità interessanti in un sistema di combattimento a turni un po’ atipico e in una trama incentrata più sul fattore politico, ma sicuramente esistono classici molto più coinvolgenti nel panorama dei JRPG.