Nel pieno di questo medioevo dell’anima abbattutosi sulla nostra civiltà proprio all’alba del “futuro” in cui i nostri precursori avevano riposto le speranze di un mondo finalmente libero dalle guerre, dalla tirannia e dall’odio, Se mi ami, non morire ci appare come un faro nel buio.
Liberamente ispirato ad un articolo apparso di recente sul quotidiano Le Mond e già distribuito in formato mobile nel 2017, la graphic novel interattiva prodotta da Playdius Entertaiment giunge su Nintendo Switch riproponendo la struggente storia di Nour: una ragazza siriana determinata a raggiungere l’Europa in cerca di un futuro migliore per sé e per i suoi cari. Benché confinata pur sempre alla dimensione simulativa e scandita da dinamiche che i più avvezzi al genere di riferimento potrebbero trovare ordinarie, l’opera riesce a raccontare il dramma dell’immigrazione molto meglio di quanto un approfondimento giornalistico sarebbe mai in grado di fare.
Piuttosto che indugiare sulla mera cronaca delle sciagure o sugli aspetti più sensazionalistici del fenomeno, essa punta difatti a ricostruire l’esperienza della migrazione seguendo le tappe di un viaggio odisseico attraverso il quale un essere umano – non un profugo, né un clandestino, né un rifugiato, né un ladro o qualsiasi stucchevole etichetta gli si volesse affibbiare – cercherà di ricostruirsi un avvenire avendo a disposizione soltanto i frammenti di un’esistenza distrutta da forze ed interessi al di là del proprio controllo. Il nucleo interattivo di Se mi ami, non morire ruota intorno all’organizzazione del viaggio, alla valutazione degli itinerari da seguire e, soprattutto alle conversazioni intrattenute via messaggio da Nour e suo marito Majd, rimasto bloccato in Siria. Nei panni di quest’ultimo saremo chiamati ad offrirle supporto pratico ed emotivo, aiutandola a superare ostacoli e problematiche di svariata natura.
Ne deriverà un’esperienza straordinariamente intensa che, traendo ampio slancio emotivo da quel fattore di immedesimazione che solo un videogame è in grado di assicurare, ha il potere di svelare anche al più insensibile degli utenti tutta l’imbarazzante grettezza di chiunque ritenga che soltanto gli occidentali abbiano diritto di ambire a prospettive di vita migliori. Nel corso del suo viaggio, Nour avrà l’opportunità di visitare una serie di località diverse, vivendo in prima persona le traumatiche vicissitudini legate ai cosiddetti “viaggi della speranza“. I consigli e le direttive che le inoltreremo matureranno sviluppi tangibili sul corso degli eventi, spianando così la strada ad epiloghi differenti. Allo stesso tempo, le conversazioni tra i due non presenteranno carattere unicamente pratico: la condivisione di emoticon, foto, selfie e link utili, finirà difatti per incidere sul morale della donna e persino sulla stabilità della sua relazione con Majd.
Di fronte al coraggio e alle aspirazioni di chi ha creduto nella realizzazione di questo progetto, trovo francamente fuori luogo perdersi in qualsiasi analisi tecnica, come pure abbandonarsi alle considerazioni estetiche che s’accompagnano alla comune valutazione di un prodotto ludico. Lo scopo di Se mi ami, non morire non è d’altronde quello di intrattenere il pubblico, bensì di aiutarlo a comprendere il prossimo, piuttosto che a temerlo. In tal senso, basterà rimarcare che esso costituisca un’esperienza formativa dal valore inestimabile di cui nessuno dovrebbe fare a meno. Non oggi. Non ora che i più elementari principi di solidarietà e umana misericordia sono stati inspiegabilmente rimessi in discussione per “difendere” gli immaginari confini di una Terra che, in realtà, non ha mai smesso di appartenere a tutti.
Nella viva speranza che dette riflessioni non diano adito a futili polemiche, o peggio, alle puerili obiezioni di chi afferma che “un videogioco non debba trattare tematiche di ordine politico o sociale”, scelgo pertanto sostituire il consueto giudizio numerico del redattore con un semplice appello accorato: provatelo. Vivetelo. Parlatene a chi accusa i videogame di essere diseducativi. E regalatelo a tutti coloro che si ostinano a ritenere che l’unica risoluzione al “problema” dell’immigrazione sia un freddo muro di calce, demagogia e pregiudizi.