Nulla per cui stracciarsi le vesti. Nulla, almeno per il momento, di cui esultare. Il “divorzio” tra Sony e Quantic Dream, notizia calda di queste ore, non è neppure un divorzio. È solo la naturale (?) evoluzione di un rapporto per anni monogamo che, soggetto alle leggi di mercato, abbraccia il “libertinismo” tipico dell’industria videoludica di questi anni.
Un nuovo sogno quantico
Nulla per cui stracciarsi le vesti, appunto. La scelta della software house francese di indirizzare gli sforzi su più piattaforme, non rinnovando il contratto di esclusività con Sony, è figlia, prima ancora che di manovre finanziare e cessioni di quote azionarie, del successo in termini di vendite dei prodotti firmati da David Cage in questi 12 anni. Da Heavy Rain e Detroit, passando per Beyond, di acqua, sotto i ponti della Senna, ne è passata tanta. E tanta, siamo pronti a scommetterci, ne passerà ancora. Il forte marchio autoriale dei titoli, valore aggiunto per produzioni tutt’altro che ridotte, necessitava e meritava, evidentemente, platee ancor più estese rispetto al recinto dorato di PlayStation. In una situazione ottimale, il pubblico Sony non ha nulla da temere: Quantic Dream continuerà a sviluppare giochi, grandi giochi, per le piattaforme Sony. Titoli fantastici, che potranno essere goduti, anche, dai possessori di Switch e Xbox. Condividere l’arte, intesa come esperienza ed emozioni, non è mai una brutta cosa.
Nulla, almeno per il momento, di cui esultare. Perché sposare le opportunità, certamente incredibili, del mercato libero apre, pure, ad una lunga serie di rischi. Ed è questo, in buona sostanza, che preoccupa l’utenza affezionata a Cage e soci. Se allargare lo sviluppo ad ambienti cari a Nintendo e Microsoft resta, per certi versi, una garanzia di qualità creativa e tecnica, lo stesso, oggettivamente, non si può dire per l’altra faccia del mercato. Quello mobile, demonizzato alle volte a ragione dagli hardcore gamer, resta, sotto l’aspetto puramente qualitativo, un titanico punto interrogativo su cui, in queste ore, sono in molti a nutrire perplessità. Una “sterzata” o, quanto meno, un duplice impegno sull’altro lato dell’industria garantirebbe a Quantic Dream un bacino di utenti praticamente infinito, ma la esporrebbe, e non mancano precedenti in tal senso, alle critiche dello “zoccolo duro” di videogiocatori. Una mossa, questa sì, che verrebbe vista come un tradimento.
Androidi al lavoro
In questo contesto, le più o meno recenti accuse piovute sullo studio francese riguardo le condizioni lavorative – “un ambiente di lavoro tossico”, lo definirono alcuni ex dipendenti – difficilmente hanno pesato nella “risoluzione” del contratto con Sony, in realtà, già in origine, legato proprio alla pubblicazione di soli 3 titoli in esclusiva. Difficile, anzi, credere che la scelta di allargare lo sviluppo ad altre piattaforme e ad altre realtà sia maturato ai piani alti di Tokyo dove, probabilmente, non avrebbero certo avuto problemi a rinnovare la fortunata collaborazione. Semplicemente, è lecito credere che Quantic Dream, forte di milioni di copie piazzate world wide, non avesse più bisogno di Sony. O, quanto meno, non convenisse semplicemente più. La strategia aziendale, anche al netto della partnership con NetEase, apre, così, a scenari molteplici. Non si tratta, solo, di confrontarsi con altre utenze, ma anche, questa la speranza, di allargare in maniera sensibile i valori produttivi di uno studio relativamente piccolo, chiamato, sin dalle prossime settimane, a pianificare i nuovi progetti anche attraverso nuove assunzioni e nuove figure professionali. Nonostante la cessione di quote di minoranza e, pure, la perdita dello status di First Party, la sensazione è che per Quantic Dream l’operazione in oggetto fosse un obbligo finanziario e, perché no, pure artistico. Espandere il pubblico, aumentare i profitti e, soprattutto, riacquisire in toto quell’indipendenza creativa pur sempre rivendicata nell’era PlayStation.
Insomma, nulla per cui stracciarsi le vesti. Nulla, almeno per il momento, di cui esultare. Nel soppesare pro e contro che colorano il futuro di Quantic Dream, la bilancia di Games Village pende, decisamente, sul piattino dell’ottimismo. Piuttosto che improvvisarci analisti o, in maniera simile, novelli Nostradamus, preferiamo, nel chiudere questa breve analisi, lasciarci guidare dalla stima, infinita, nutrita per il lavoro di David Cage e per quel modo, tutto particolare, di approcciarsi al media videoludico. Con grazia, eleganza, carisma e innovazione tecnica. Valori e qualità importanti, che meritano di essere conosciuti anche da chi, per un motivo o per un altro, non ha mai giocato ad un prodotto targato Quantic Dream. Tutto sommato, è proprio questa l’anomalia più grande.