Chi ha paura del Gaming Disorder? Tutto ciò che c’è da sapere

Gaming Disorder | Ogni volta che le associazioni della salute si ritrovano per qualche ragione a parlare di videogiochi, la stampa si scatena. E si scatena male. Ovunque si guardi, si trova la notizia che la “dipendenza dai videogiochi” sia stata ufficialmente riconosciuta dalla OMS come tale, con tutte le conseguenze di tale sconvolgente decisione.  Non è difficile ipotizzare il motivo per il quale articoli simili spuntino come funghi: è certamente un argomento caldo, che riesce a dividere l’opinione pubblica come pochi. In realtà la notizia di questi giorni è pressoché inesistente: si tratta unicamente di un ulteriore passo avanti in una direzione già presa da anni. In questi giorni infatti si è svolta l’Assemblea mondiale della sanità, nel quale l’OMS ha ufficialmente presentato il nuovo ICD, che però era già bello che pronto da un bel pezzo.

Nel 2013 il DSM V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) ha incluso nei disturbi da dipendenza l’Internet Gaming Disorder, basandosi prevalentemente su una patologia legata al gioco online. È stato un primo tentativo di separare la dipendenza da videogiochi da quella da gioco d’azzardo e da sostanze psicotrope, a cui in precedenza era strettamente legata. Sono stati delineati dei precisi criteri diagnostici per l’identificazione di tale patologia, che sono:

  1. Preoccupazione eccessiva riguardo ai videogiochi
  2. Sintomi di astinenza quando il gioco viene negato
  3. Tolleranza verso il gioco, che richiede sessioni sempre più lunghe
  4. Tentativi falliti di ridurre le ore di gioco
  5. Perdita di interesse in altre attività ed hobby ad eccezione del videogioco
  6. Continuo dell’utilizzo eccessivo del videogioco nonostante la consapevolezza del problema
  7. Ingannare familiari, amici o terapeuti riguardo a quanto si gioca
  8. Giocare per fuggire da situazioni negative o dal cattivo umore
  9. Mettere a repentaglio o perdere lavoro, relazioni o carriera accademica per il videogioco

Sono necessari almeno 5 criteri su 9 per almeno 12 mesi consecutivi per la diagnosi, ed appare subito evidente come si configuri una patologia molto seria, di certo ben divisa dalla semplice passione per i videogiochi.

Nel 2018 l’OMS ha compilato la nuova versione dell’ICD (Classificazione Internazionale delle Malattie), che ha così raggiunto la decima revisione. È ovviamente essenziale che sia frequentemente aggiornata, per star dietro alle novità diagnostiche e classificative imposte dalla medicina moderna. ICD e DSM sono entrambe classificazioni nosologiche, ma hanno origini e scopi ben diversi, e come tali vanno accuratamente distinte. Il DSM raccoglie unicamente i disturbi psichiatrici, è redatta da specialisti del settore per specialisti del settore, si usa prevalentemente per diagnosi precise e con criteri ben definiti ed è pensata prevalentemente per gli USA, seppur essendo poi adottata ovunque.  L’ICD invece categorizza tutte le malattie di qualsiasi organo, è realizzata per i medici di tutto il mondo ed è ampiamente sfruttata dal punto di vista legale e burocratico, fornendo numeri precisi per catalogare le diagnosi da parte di aziende sanitarie e assicurative.

L’ICD 11 include il Gaming Disorder tra le patologie da abuso e dipendenza. Viene descritto secondo le caratteristiche seguenti:

  1. Mancato controllo sul gaming (inizio, frequenza, intensità, durata, termine)
  2. Aumento della priorità data al gaming, fino al dargli precedenza sulle altre attività quotidiane e sugli altri interessi del soggetto
  3. Continuare a giocare o aumentarne l’intensità nonostante l’avvenire di conseguenze negative sulla vita del soggetto. Il comportamento deve essere così severo da impattare su abitudini sociali, personali, familiari, educazionali o occupazionali del soggetto

Anche in questo caso i sintomi devono essere presenti per almeno un anno, ma per fare diagnosi può essere sufficiente una durata minore, se la manifestazione è particolarmente grave. L’inserimento della patologia nell’ICD è sembrato a molti un “atto dovuto”, vista la sua presenza nel più specialistico DSM. In verità la scelta ha raccolto numerose critiche dalla comunità scientifica: i problemi sollevati sembrano legati principalmente allo scarso numero di ricerche svolte al riguardo, per di più di bassa qualità. La diagnosi di Gaming Disorder ricalca in buona parte i criteri utilizzati per il gioco d’azzardo e per la dipendenza da sostanze, pur separandosene formalmente, e ciò costituisce un altro grosso difetto. Per di più, diversi medici si sono detti preoccupati dalle conseguenze dell’esistenza di tale diagnosi: si teme un aumento della diffidenza verso il videogioco ed un incremento esponenziale delle diagnosi errate di disorder, in soggetti che semplicemente giocano tanto. Per chi crede, some la sottoscritta, nei benefici importanti del gaming, questi pericoli sembrano un autentico disastro. Ovviamente numerose associazioni di psichiatri e psicologi hanno invece supportato la decisione, creando così una divisione netta tra specialisti. Reputo molto importante la creazione di una entità patologica precisa, poiché fornisce strumenti per distinguere ciò che è patologico da ciò che non lo è. Chiunque, anche non addetto del settore, riesce a comprendere quanto siano gravi i sintomi elencati dalle classificazioni, e dunque quanto sia improbabile che il ragazzino medio appassionato di Fortnite possa essere effettivamente malato. Il rischio di peggiorare la percezione comune sulla sanità mentale dei videogiocatori è direttamente proporzionale alla malafede di chi vuole usare in tal modo lo strumento fornito. Da questo punto di vista, credo che cambierà molto poco.

Il fatto che esista la patologia fornisce sì un’arma aggiuntiva a chi odiava questo media, ma i detrattori ne avevano già a sufficienza per prendersela con questa forma di intrattenimento anche senza aiuti extra. Gli ignoranti rimarranno ignoranti, ma intanto i medici di tutto il mondo sapranno finalmente come fare diagnosi precisa di dipendenza da gaming e potranno decidere chi ha bisogno davvero d’aiuto e chi no. I potenziali benefici, insomma, superano di gran lunga le paure, ma dobbiamo assicurarci di continuare a informare correttamente sul videogioco e sui suoi pregi e difetti.

Mangiatrice compulsiva di sushi e cibarie di ogni genere, ama alla follia tutto quello che è Nintendo, non disdegnando neppure il dorato mondo dei Pokémon. Videogioca sin da quando era bambina, ed ora che è grande forse lo fa addirittura più di prima. Anzi, sicuramente.