Home Sweet Home Recensione | Se è vero che nel libro dei sogni la Paura fa Novanta, allora Home Sweet Home fa almeno centottanta. L’avventura horror per giocatore singolo sviluppata e pubblicata da Yggdrazil Group Co.,Ltd (che nessuno ha mai sentito nominare, ma già la citazione presente nel nome è tutto dire) possiede senza dubbio tutte le carte in regola per terrorizzare gli incauti giocatori, e lo dimostra il successo riscontrato dal titolo su PC. Nel suo arrivo su console, il team di sviluppo ha deciso di rincarare la dose per lasciare davvero pochi sopravvissuti: Home Sweet Home sbarca in questi giorni anche su home console Xbox One e PlayStation 4, su quest’ultima addirittura con supporto a PlayStation VR (che a nostro parere è caldamente consigliato per gli amanti del genere, e fortemente sconsigliato per i deboli di cuore). Prossimamente ci sarà spazio anche per Nintendo Switch. Ma lungi dal farci sorprendere da facili luoghi comuni a tema videogiochi horror, scendiamo più nel dettaglio con la recensione: cerchiamo di capire cosa in Home Sweet Home funziona molto bene, e cosa invece lascia un po’ a desiderare.
Home Sweet Home: Soli nel buio
Quando Tim si risveglia, non si trova più all’interno della sua casa. Attorno a lui si chiudono invece pareti asfittiche, stanzini mai visti prima, corridoi che potrebbero collegare tra loro i vari luoghi di un edificio fatiscente, decrepito. Dove è finita sua moglie, Jane? Gli sembra di scorgerla poco più avanti, ma a poco a poco l’atmosfera si fa sempre più inquietante, gli scricchiolii più insistenti e si sente qualcosa ansimare attraverso le pareti (qualcosa che di umano sembra avere davvero poco). Ancora pochi minuti di esplorazione e sia a Tim che al giocatore non restano dubbi: Tim sta inseguendo in realtà un demone con le fattezze della sua consorte, e ben presto l’inseguitore diventa preda. Cosa è accaduto a Jane? Dove si trova Tim? E perché di punto in bianco è costretto a visitare, uno dopo l’altro, ambienti sempre più inquietanti e abitati da strane presenze? Il viaggio del protagonista è quello di chi cerca un punto di arrivo razionale all’interno di una sequenza di vicende che di razionale non ha assolutamente nulla: è un viaggio nell’orrore pure, quello di corridoi a vicolo cieco con creature che inseguono senza avere nulla con sé per potersi difendere. Ce la farà? Lo scoprirà il giocatore.
Bisogna tenere a mente che lo studio di sviluppo ha tirato fuori dal cilindro Home Sweet Home con appena un paio di anni di lavoro: tecnicamente parlando si tratta di una produzione solida, come annoteremo più avanti, ma non eccezionale. Mantiene comunque una sua coerenza, un suo fascino e sa certamente offrire un’atmosfera che gli amanti del genere horror in prima persona semplicemente adorano, e che difficilmente riusciranno a trovare altrove. Ancora, va annotato che è il primo gioco in assoluto dei ragazzi di Yggdrazil Group Co.,Ltd, e che (come intuirete nel finale), è solo la prima parte di un’avventura ad episodi ben più vasta. Per portare a termine l’avventura principale, senza badare troppo ai collezionabili e tenendo presente vari fallimenti lungo il percorso, impiegherete circa due ore e mezza. Non molto, è vero: ma l’intensità dell’esperienza non si discute; parliamo principalmente di atmosfera, perché di jumpscare ve ne sono davvero pochi, e tutti studiati più o meno con una certa intelligenza. Home Sweet Home lascia comunque una sua impronta sulla psiche del giocatore: il bello (o il brutto, a seconda dei casi) arriva dopo, una volta spenta la console e andati a dormire a luci spente.
Nascosti e pronti a tutto
Se dal punto di vista della trama di gioco possiamo anticiparvi davvero poco senza incorrere in pesanti anticipazioni, è pur vero che l’avventura principale di Home Sweet Home si articola in due momenti differenti, ben distinti: le fasi horror vere e proprie (in vicoli bui, edifici fatiscenti, rigorosamente di notte e nell’oscurità) e le fasi di esplorazione all’interno della casa di Tim, che avvengono invece di giorno e dove si apprendono dettagli fondamentali sulla moglie, sulla persona di Tim in sé e sui vari dettagli che costellano (o meglio, costellavano) la vita dei due. Le due ore e mezza di gioco spostano la prospettiva in modo alternato tra queste due fasi, dando però la priorità a quelle più inquietanti: dal punto di vista del gameplay vero e proprio Home Sweet Home resta un horror in prima persona, psicologico e narrativo, che fa leva su una componente esplorativa arricchita da meccaniche stealth. Semplificando: l’obiettivo degli sviluppatori è quello di raccontare una storia inquietante, che il giocatore si deve godere; al tempo stesso il giocatore “gioca”, altrimenti avrebbe deciso di vedersi un film piuttosto che comprare Home Sweet Home, e gioca esplorando l’ambiente circostante, raccogliendo e interagendo con pochi oggetti, e (soprattutto) nascondendosi negli armadietti disseminati un po’ ovunque.
Proprio come accadeva in Outlast e Outlast 2, infatti, il giocatore di Home Sweet Home si ritrova completamente disarmato di fronte agli eventi soprannaturali e inquietanti cui deve assister. Può correre, scappare, al più nascondersi in ripari di fortuna: affrontare la vista delle creature che infestano i suoi incubi è già di per sé difficile, di combattere non se ne parla proprio. Ed è proprio qui che Home Sweet Home mostra il fianco a produzioni altrettanto valide, da cui dimostra di aver attinto i suoi elementi di gioco principali: non offre meccaniche innovative e si accontenta di conservare quanto hanno già offerto gli altri esponenti del genere. Una torcia per illuminare le zone buie e capire dove si sta andando, un tasto per accovacciarsi e uno per correre, il solito tasto per interagire a caso con oggetti lungo il percorso, collezionabili da trovare che arricchiscono il contesto narrativo: ed è tutto. Resta una storia piacevole e angosciante, che fruita con il PlayStation VR diventa direttamente terrorizzante. Il tutto condito con un comparto tecnico buono e solido, ma sicuramente non sfavillante, e da modelli poligonali che di tanto in tanto scoprono il fianco di quella che resta fondamentalmente una produzione realizzata con un budget limitato a disposizione. Comunque non vediamo l’ora di conoscere il proseguo delle vicende di Tim, e chissà, magari vedremo anche qualche idea innovatività a livello di gameplay.
Home Sweet Home è un horror in prima persona valido, angosciante, a tratti davvero terrorizzante, ma fortemente conservatore. L’acquisto è consigliato agli amanti del genere, a quelli che potrebbero trovare un elemento innovativo nella mitologia tailandese (relativamente poco sfruttata fino ad oggi) e chi non si annoia a macinare chilometri tra corridoi bui, collezionabili da raccogliere e armadietti in cui nascondersi. Si tratta comunque della prima prova del team di sviluppo, ed è certamente più che sufficiente: speriamo che nei prossimi capitoli arrivi anche qualcosa di più fresco ed innovativo.