Code Vein | Dopo aver stuzzicato l’immaginario dei giocatori con una serie ben mirata di intriganti anticipazioni per tutto il mese di aprile del 2017, Bandai Namco rivelò infine il progetto Code Vein sviluppato da Shift, autori del franchise God Eater, fissando la data d’uscita per l’autunno dell’anno successivo: con un gameplay ispirato alle meccaniche dei souls-like ed un’estetica decisamente cartoonesca, il titolo scatenò un discreto chiacchiericcio sulle testate giornalistiche e sui forum di discussione dedicati, salvo poi scomparire per diversi mesi dopo l’annuncio dello strategico rinvio della sua data d’uscita, voluto per ottimizzarlo al meglio. Durante il weekend appena trascorso, l’editore nipponico ha offerto la possibilità di saggiare con mano i progressi compiuti tramite un Network Test limitato ad una manciata (molto generosa, in verità) di partecipanti, che ci ha permesso di creare il nostro alter ego con un editor inaspettatamente complesso e addentrarci nel microcosmo post-apocalittico immaginato da Hiroshi Yoshimura e dal suo team: sebbene le influenze della saga firmata From Software siano evidenti un po’ ovunque, bisogna ammettere che l’impegno proclamato mostra frutti notevoli, e tanto la struttura dell’ambientazione di gioco quanto la caratterizzazione dei protagonisti vantano un’ampia gamma di concetti freschi e interessanti.
Il mondo di Code Vein è cupo e angoscioso: il personaggio principale, al pari di molti dei compagni e antagonisti che incontreremo nel corso degli eventi, è un cosiddetto redivivo, ossia individui deceduti e tornati in vita grazie ad un parassita insediatosi nel loro muscolo cardiaco. Finché la sete di sangue di quest’ultimo viene soddisfatta, e posto che non venga distrutto con un colpo mirato, i redivivi possono tornare costantemente in vita dalla morte ma, qualora l’apporto di linfa vitale venga interrotto per un periodo più o meno lungo, l’organismo invasore inizia a consumare il corpo e la mente del proprio ospite fino a trasformarlo in un corrotto, esseri mostruosi e aggressivi manchevoli di qualsivoglia barlume di razionalità. Confinata all’interno di una città in rovina a causa di una misteriosa barriera, generatasi dopo la morte di un’entità conosciuta come la Regina, queste ultime vestigia della razza umana sono dunque impegnate in una disperata lotta intestina per la sopravvivenza, utilizzando i poteri vampireschi di cui sono dotati per abbattere le mostruosità che si annidano dietro ogni angolo e nutrire la creatura endofaga che portano dentro.
Code Vein: Vieni, guarda dentro di te, nel profondo
La strana mescolanza di veloci attacchi combinati, parate, deviazioni, manovre elusive e contrattacchi con le ardue dinamiche a tentativi dal ritmo lento e ponderato genera un singolare coinvolgimento, e la presenza di elementi quali scorciatoie sbloccabili e il corrispettivo codeveiniano dei falò assicurano una familiarità quasi istintiva a quanti sono già avvezzi con gli schemi comuni agli Action RPG di From. In particolar modo, i suddetti fuochi all’aperto vengono qui rimpiazzati da cespugli di uno strano vischio lattescente, che le incomprensibili capacità di cui siamo dotati ci permettono di trasformarli in arbusti capaci di generare gocce di sangue, un frutto con le stesse proprietà fisiologiche del sangue che consente ai redivivi di tenere sotto controllo l’istinto primordiale dei loro parassiti. Di contro, come è ormai lecito aspettarsi, il ciclo continuo di decessi e rinascite nel quale siamo incastrati consente anche agli avversari già sconfitti di risvegliarsi e tornare a brancolare per i cunicoli devastati dopo il nostro riposo, per quanto breve che sia. Tutto come da copione, appunto. Ci sono anche ottime probabilità che buona parte della storia verrà lasciata alla nostra libera interpretazione: non capita infatti di rado di imbattersi in un riferimento a cose, persone o eventi che non viene spiegato nel contesto, e resta da vedere quanto riusciremo effettivamente ad apprendere durante la narrazione, ma l’esplorazione con un occhio sullo schermo e un altro al forum frequentato da chi tenta di sviscerare ogni più piccolo dettaglio della trama fa sempre parte dell’inconfutabile fascino di questo tipo di giochi.
La beta includeva un tutorial piuttosto minuzioso che introduce i tre codici sanguigni primari, equivalenti delle classi in un qualsiasi altro RPG: occultista, ranger o combattente, a seconda che ci piaccia far piovere fuoco e altri proiettili elementali di vario tipo sui nemici dalla distanza sfruttando l’icore assorbito da loro stessi, attaccare con lame leggere e baionette mantenendo una mobilità eccellente oppure indossare armature pesanti e brandire spadoni più grandi di una persona. Sempre per merito delle nostre doti peculiari, siamo liberi di scambiare i codici a piacere, fermo restando che certi oggetti possono essere utilizzati soltanto da determinate classi e risultano quasi inservibili per le altre, mentre tanto l’equipaggiamento quanto le abilità speciali possono essere potenziati dal velo di sangue indossato, una veste speciale che interagisce in maniere differenti con classi e relativi poteri incentivando la sperimentazione. A onor del vero, l’impressione generale è che, per quanto il gameplay presenti i classici stilemi del genere con mappe labirintiche ricolme di trabocchetti, mostri che saltano fuori all’improvviso o che accorrono a supporto dei loro “colleghi” e necessità di memorizzare percorsi e schemi di attacco per superare agevolmente determinati passaggi, il nostro avatar sia di gran lunga più forte della norma anche senza approfondire troppo le logiche di mutevoli vantaggi tra doni, veli e classi, ma si trattava pur sempre di un prologo con annesso un brevissimo boss rush ed è facile che la situazione sarà molto più complessa nel prodotto finale.
Conosco un posto dove saremo al sicuro
Non posso inoltre evitare di spendere un elogio al character editor, una parte fondamentale in qualsiasi RPG o presunto tale che si rispetti: possiamo tranquillamente ammettere di esser rimasti piacevolmente colpiti dall’incredibile quantità di opzioni messe a disposizione da Code Vein per forgiare il redivivo dei nostri sogni: a parte l’inspiegabile mancanza di peluria corporea, la fisionomia degli avatar può essere modificata con una pletora di alternative e tanto i vestiti quanto gli elementi a corredo come cappelli, cinture, occhiali, sciarpe, zainetti, tatuaggi e molto altro sono posizionabili e personalizzabili a piacimento. Per quanto si tratti sempre di una componente marginale, il lavoro svolto da Shift denota una cura per i particolari davvero difficile da rintracciare persino in altre produzioni analoghe escluso Black Desert Online che, a tutt’oggi, detiene lo scettro di miglior editor di personaggi mai realizzato in assoluto.
Ricapitolando: con il suo stile accattivante (anche se potenzialmente divisivo, dato che i palati più tradizionalisti potrebbero non apprezzare le sue esagerazioni), un mondo intriso di folclore tutto da scoprire e una giocabilità a cavallo tra Dark Souls e Bloodborne improntata sulla cinematograficità, il nuovo dungeon crawler di Bandai Namco ha tutte le carte in regola per affermarsi come valida alternativa del genere. Permane qualche dubbio riguardo la durata complessiva dell’avventura e il suo effettivo livello di difficoltà, che si spera possano venire dissolti con il rilascio definitivo, fissato ancora entro l’anno ma senza una data specifica. Dopo un impatto iniziale non troppo ottimista, posso dichiararmi soddisfatto delle ore passate in compagnia di Code Vein, perciò resto in fervida attesa dei prossimi, spero non troppo remoti sviluppi.