Bleeding Edge Provato dall’E3 2019

Bleeding Edge Cover

L’E3 2019 verrà ricordato per l’impressionante numero di leak emersi ancor prima delle conferenze dei vari publisher, fra i quali uno dei più chiacchierati ha riguardato Bleeding Edge, il cui nome era venuto a galla già da diverse settimane settimane. Dopo migliaia di speculazioni sul suo conto, più o meno fondate, è venuto fuori che il nuovo videogioco di Ninja Theory sarà un action 4v4 online, accomunato a diverse produzioni Blizzard dalla presenza di una struttura basata sugli eroi, ma dal quale si differenzia per avere soltanto qualche elemento da sparatutto: in Bleeding Edge, infatti, prima di tutto si combatte all’arma bianca. Noi abbbiamo avuto il nostro primo approccio col gioco durante lo Showcase di Xbox, momento perfetto per iniziare a prendere confidenza con un sistema che, sebbene parta da una base piuttosto derivativa, mostra ben visibili le sue peculiarità.

Bleeding Edge, il multiplayer à la Overwatch secondo Ninja Theory

Tanto per cominciare, abbiamo svolto un breve tutorial che ci ha permesso di prendere confidenza con i comandi di base, per poi finire per breve tempo in un dojo in cui impratichirci con alcuni personaggi prima di passare alla fase di gioco vera e propria, in cui abbiamo sfidato un altro team da quattro giocatori. Bleeding Edge ha tre classi di eroi: i tank, che per il momento sono quattro, i support e gli attaccanti, tre per ogni tipologia, per un totale di dieci. I personaggi giocabili, almeno al lancio, potrebbero sembrare pochini, ma gli sviluppatori ci hanno assicurato che – per ora – il bilanciamento è stato studiato attorno a pochi ma significativi ruoli all’interno della squadra. A non convincere appieno, del pool di personaggi iniziali (chissà se ne verranno aggiunti altri, ma è probabile di si) è il loro design, che, a parte qualche caso, ci è sembrato un po’ anonimo e discontinuo, privo di una personalità ben definita e di una caratterizzazione profonda. Gli artisti di Ninja Theory sono rimasti su livelli piuttosto conservativi, in alcuni casi scegliendo di “accorpare” fra loro diversi design per creare un personaggio unico, in altri rinunciando completamente e limitandosi a riproporre i classici stereotipi del nerd, del guerriero senza macchia e senza paura e della “ragazza cattiva”.

Anche nei ruoli i dieci eroi si mantengono tradizionali: abbiamo quindi il classico spadaccino (qualcuno ha detto Genji?), l’ingegnere, l’healer, il DPS melée, il DPS con danno ad area e via dicendo. Ognuno di loro è dotato di abilità che sarebbe un eufemismo definire classiche: alle combo tradizionali si affiancano skill diversificate a seconda dell’eroe scelto, con la possibilità di cambiare a piacimento le super abilità scegliendole fra due differenti. Tutti i personaggi hanno una mobilità più che discreta, potendo contare anche su una schivata e un attacco in salto, e possono muoversi su una sorta di skateboard fluttuante per raggiungere più rapidamente le posizioni designate e il resto della squadra. Nell’unico match che abbiamo svolto, il nostro pick è stato Miko, la healer del gruppo, con un design e uno stile vagamente ispirato a un Predator: oltre all’armatura, la sua super abilità le consentiva di rendere invisibili i compagni nelle vicinanze, permettendo di attuare tattiche stealth e legate all’aggiramento degli avversari. Le skill di base, fra una cupola protettiva e una sorta di raggio curativo, erano invece principalmente di supporto. Anche Nidhoggr, ovvero il metallaro del gruppo, ci è parso piuttosto interessante, a cominciare dal design, passando per le abilità, che gli consentono di sprigionare fulmini dalla sua chitarra come un novello Thor e infliggere danni AoE e prolungati nel tempo.

Nel ritmo e negli obiettivi da portare a termine, Bleeding Edge funziona in maniera piuttosto simile a Overwatch e a qualsiasi altro videogioco competitivo più o meno simile: due squadre, equamente composte, devono combattere per diversi obiettivi in una mappa studiata attorno a simmetrie ben precise. Noi abbiamo giocato in uno scenario ambientato nelle vicinanze di una ferrovia, con un treno che passava di tanto in tanto (anche sulle bandiere, investendo chiunque stesse conquistando in quel momento) e su cui era anche possibile arrampicarsi, per raggiungere in fretta un’altra zona dello scenario. Come spiegato anche da un membro del team che giocava con noi, in Bleeding Edge la cooperazione è vitale: il gioco premia non tanto le singole uccisioni, quanto la capacità di essere utili alla squadra, conquistando un obiettivo o aiutando gli altri a non morire, per rimanere tutti insieme. Se la squadra si disunisce e qualcuno se ne va per i fatti suoi, infatti, c’è il fortissimo rischio di passare in svantaggio, il che obbliga a un contrattacco di massa per riconquistare almeno una fra le bandiere. Ogni partita a Bleeding Edge, dunque, è un sottile gioco di equilibri: basta pochissimo per vincere o perdere, e tutto si gioca sul filo del rasoio. Le abilità richieste ai singoli giocatori sono diverse da quelle di Overwatch e simili, e si basano più sulla capacità di mettere a segno efficienti combo di squadra, senza grande spazio per la skill personale. Il ritmo di gioco ne esce molto rallentato, ma questo non è necessariamente un male, anzi: tutti quei giocatori che a tratti trovano i giochi competitivi piuttosto caotici, probabilmente riusciranno ad apprezzare Bleeding Edge per la sua maggior lentezza e per la netta preminenza di tattica e strategia rispetto a una velocità d’esecuzione fulminea.

A dispetto delle feroci critiche ricevute in questi giorni, insomma, Bleeding Edge ci è parso un progetto perfino più a fuoco di altri concorrenti più blasonati, e potrebbe finire per essere una graditissima sorpresa, specie se associato a un servizio eccezionale come il Game Pass (magari nella sua versione Ultimate). È uno di quei videogiochi pensati per durare, e per rimanere a lungo uno dei pezzi forti del catalogo Xbox, incastrandosi in un puzzle che privilegia la quantità rispetto alla qualità. Ciò non significa che in sé valga meno di altri, anzi: anche considerato il basso prezzo a cui verrà venduto, si proporrà come uno dei candidati da tenere in seria considerazione per tutti coloro che amano Overwatch ma, magari, si sono un po’ stufati di giocarlo da ormai tre anni e vogliono provare qualcosa di un po’ diverso. Se avete anche soltanto un barlume di curiosità, il nostro consiglio è di provarlo non appena sarà disponibile in preview alpha, dal 27 giugno. Potreste rimanere sorpresi. O, nel peggiore dei casi, avere a disposizione in forma praticamente gratuita una validissima alternativa al “solito” videogioco competitivo online.

Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.