Waiting for The Barbarians Recensione | In un deserto imprecisato, di un tempo imprecisato, un magistrato interpretato da Mark Rylance cerca di amministrare una frontiera nella maniera più misurata possibile. Ben presto, però, in loco giunge un colonnello assai cinico (Johnny Depp), pronto a dimostrare che le mire espansionistiche dell’impero possono spingersi sempre più oltre. A farne le spese potrebbero essere i civili che quelle terre le hanno sempre arate, vissute e coltivate. Ma, a chi crede di detenere lo scettro del progresso, cosa può importare?
Un film low budget con attori di fama mondiale
Waiting for the Barbarians: storia del colonialismo permanente
Presentato in concorso alla 76ma edizione della Mostra del cinema di Venezia, Waiting for the Barbarians è un lungometraggio tratto dall’omonimo romanzo di Coetzee.
La scelta di Ciro Guerra di ambientare il suo film in un deserto senza troppe coordinate spazio-temporali è certamente una delle scelte migliori del suo lavoro. È un tema ricorrente, l’a-temporalità del misfatto, che in in questa edizione della kermesse veneziana ritorna anche in un altro film in concorso, Martin Eden di Pietro Marcello. In Waiting for the Barbarians, così come in quel lavoro, tutto sembra essere sospeso in una storia che potrebbe essere valida sempre, dai tempi dell’impero romano a quelli delle colonizzazioni extraterrestri viste nell’ Avatar di James Cameron.
Come dar torto a Guerra? Gli effetti del colonialismo (e del neo-capitalismo) sono evidenti ancor oggi nei Paesi in via di sviluppo, nonché influenzano assai le mutazioni politiche del Vecchio Continente. Sembra, allora, come se quell’antico fardello dell’uomo bianco, l’Occidente non voglia scrollarselo mai di dosso, incancrenito nella antica convinzione che ci sia un “noi” da anteporre a “loro” (ed in tal senso, fa effetto ricordare che ieri, in Laguna, è passato Roger Waters, per presentare il suo Us + Them, un documentario dedicato ai suoi concerti che parla esattamente di ciò).
Una foto dal set
Un lavoro low-budget con qualche colpa da espiare
Un film low budget, pervaso da una luce caldissima che irradia i corpi per tutto il tempo della sinossi. Tutt’intorno un deserto che pare ostico come l’Atacama. Non per il personaggio interpretato da Johnny Depp, capace di adattarsi ad ogni tipo di contingenza esterna. Il colonnello messo in scena dall’ormai ex Jack Sparrow è però una figura spesso vittima della celebrità del suo attore, che non riesce mai fino in fondo a scomparire dietro la maschera che è chiamato a rappresentare (si pensi ai celebri occhialini rotondi…). Si ha allora l’impressione che Waiting for the Barbarians sia stato concepito come un lungometraggio che già ammicca ad un certo tipo di distribuzione, capace di portare il film il più lontano possibile dalla sala cinematografica.
Molte le inquadrature strette: le totali, i primi piani e tutto quel corollario di campi dalla facile fruizione anche su piccoli dispositivi. Ciò a discapito di certi campi lunghi sul deserto che forse – come Leone insegna – avrebbero descritto con maggior poesia i paesaggi resi brulli dal sole.
Dunque Waiting for the Barbarians ha il grosso pregio di riportare in auge un classico della letteratura moderna, riproponendo tematiche attuali oggi più che mai. L’effetto filmico è però decisamente sotto le aspettative, soprattutto per un regista come Guerra che, con El abrazo de la serpiente aveva vinto un Oscar per il miglior film straniero soltanto pochi anni fa.