Light of my Life Recensione

Light of my Life | Le porte del cinema The Space di Roma si spalancano ancora una volta per concludere un ciclo di anteprime di prima qualità targate Notorious Pictures e Alice nella città. Light of my Life non è solo all’apparenza un prodotto inusuale, ma qualcosa che trascende dal cinema moderno: l’involucro di un messaggio rimarcato dal regista da anni. Mentre il red carpet pian piano si fomenta con il brusio di giornalisti e star accorse per gustarsi l’attesissima pellicola, la serata ha occhi solo per l’esclusivo ingresso sul palco di Casey Affleck: pluripremiato attore e reduce da anni di carriera intensa. Grazie al successo di Manchester by the Sea, lo statunitense ha strappato al mondo l’Oscar da miglior attore, il Golden Globe come miglior attore in un film drammatico e il BAFTA come protagonista; anni di gloria per Casey. Bastano tali premesse per rendere la pellicola un’opera appetibile al pubblico, specialmente se si tratta del primo lavoro diretto ed interpretato dallo stesso divo. Una sfida che smuove delle tematiche interiori personali: l’amore tra padre e figlia, ma anche le dinamiche che tale legame indelebile comporta. “Non ci sono storie necessarie da raccontare. Questa è la mia ed è l’unica che voglio raccontare”, poche attimi prima dell’inizio del film chiariscono sin da subito che questa volta potremmo doverci confrontare con un garbuglio di emozioni, scorgeremo tra le righe l’animo dell’artista?

Il macigno emotivo che si è sedimentato nel cuore di Casey Affleck in questi anni, ha dato vita ad un’opera profondamente disimpegna, ma provata. L’intera trama di Light of my Life è l’esasperazione della parabola d’amore tra padre e figlia: un viaggio di formazione e introspezione. Il duetto formato da Casey Affleck e Anna Pniowsky è intenso. Ogni attimo emotivo e delicato, ora merito di una recitazione sublime dei due sul grande schermo, ora grazie al rapporto naturale e spontaneo che la coppia esibisce, un tassello cruciale per una pellicola con tali premesse. Entrambi si prendono i loro momenti, per costruire e consolidare il legame che rende questa storia non per forza originale, ma certamente raccontata in modo unico. Quando una piaga sconosciuta lascia sull’orlo dell’estinzione tutto il genere femminile, un padre decide di scovare un posto sicuro dove crescere la figlia Rag. Il mondo però non è più quello di un tempo. La perdita del gentil sesso ha reso i maschi irruenti, aggressivi e malvagi, mentre il mondo cade in un’apparente entropia morale. Il genere umano si sgretola, lasciando un senso di vuoto e cieca frustrazione, oscurando il mondo con una crudeltà mai vista. La perdita della donna non ha solo avuto ripercussioni nella procreazione, ma anche sulla morale e l’etica: una lezione che il regista bisbiglia allo spettatore in vari frammenti di dialogo. Una trama che, fiorendo come pellicola di formazione tra padre e figlia, germoglia in qualcosa di assai controverso e dalla dubbia interpretazione. Tutto nel film grida al femminismo. Che sia uno sfogo interiore del regista, o un ruggente messaggio moderno sull’esasperante lotta tra generi, non è del tutto delineato, anche se, tra le righe, non posso fare a meno di leggere “Un mondo senza donne è l’apocalisse”. Qualcuno avrebbe da eccepire anche se fosse?

È dura sentenziare su quale sia la verità assoluta dietro il messaggio di Casey Affleck, ma ne capisco il motivo. Nel delicato periodo storico in cui ci troviamo le vicende di cronaca che macchiano il mondo dello spettacolo e non, è bene talvolta fermarsi a riflettere su ciò che dovrebbe colpire il subconscio dello spettatore. E Light of my Life è solo la punta dell’iceberg. Il crescendo emotivo dosato in ogni scena della pellicola è direttamente proporzionale al legame tra il padre e sua figlia: un continuo ribaltarsi di situazioni genuinamente naturali, che fanno parte della maturazione dei due individui. Da una parte Casey Affleck appare con un padre amorevole, ma drammaticamente insicuro, mentre dall’altra la piccola Rag cresce scrutando silenziosamente le barbarie che attanagliano il mondo. Entrambi fortemente provati dalle vicissitudini, entrambi in cerca della propria identità. Sebbene si possa parlare per ore degli attimi che rendono Light of my Life un’opera di pura formazione, il tutto è annacquato da un contesto poco articolato e frammentario. Metaforicamente è una fiaba: un vascello emotivo che fa sfondo alle anime tormentate dei protagonisti, certo. Ma troppe leggerezze narrative confondono solamente lo spettatore, che rimane spiazzato dagli scarni approfondimenti che rendono la pellicola un post apocalittico. L’origine del virus è eccessivamente fittizia, ma ancor più nebuloso è il background sociale che ha mutato il mondo. Aspetti a mala pena accennati, che avrebbero meritato risposte di un certo peso, e che sicuramente avrebbero solo che rafforzato il palpabile clima di drammaticità e violenza rappresentato.

L’ambientazione stessa è un inno alla solennità e alla desolazione, un invito all’armonia e all’introspezione. I paesaggi di Light of my Life sono imponenti e impreziosiscono notevolmente la godibilità visiva del titolo, spesso schiavo dei silenzi e dell’esasperata tensione. La natura assume un ruolo molto più centrale di quanto si possa pensare, essa non solo contribuisce alla crescita di un clima d’ansia e solitudine, ma rafforza l’idea del cosiddetto “mondo selvaggio” rappresentato, ovvero un palcoscenico imponente e imparziale, che delinea i protagonisti come un simbolo di speranza: una fioca luce tra i Lupi che lacerano la Terra.  L’opera invita a riflettere, e lo fa con tutti i mezzi che ha a disposizione. Ci fa perdere in un paesaggio innevato, o ci costringe a seguire i sussurri di una fiaba raccontata a lume di candela, anche se spesso abbandona ingenuamente lo spettatore a momenti spiegati solo marginalmente. Lo stesso montaggio ne facilità la visione: brevi scorci di normalità, interrotti da un diluvio di emozioni, che sgorgano timidamente dall’una e dall’altra parte. Light of my Life non è solo bello da vivere, ma anche da contemplare, e ormai sta diventato una qualità sempre più rara e ricercata.

L’esordio di Casey Affleck si rivela così essere il momento perfetto per una diatriba culturale, coinvolgente e attuale. La brillante recitazione dell’ex premio Oscar e della giovane Pniowsky è deliziosa da vivere e da respirare, complice una naturalezza umana e apparentemente più sciolta dai canoni della recitazione. La pellicola sottolinea con eleganza il pensiero intrinseco dell’autore, lasciandosi andare a una narrazione che profuma del fruscio di fiabe di vecchia data. La trasposizione videoludica più coerente potrebbe essere per tematiche e stile The Last of Us, ma il dualismo padre-figlia annacqua quella che sarebbe potuta essere un’intelaiatura narrativa ricca di originalità e provocazione. Forse la troppa paura di sfociare nella politica, o un infondato sentore di velleità, ma l’opera non osa mai. Rimane nel suo piccolo “un’avventura d’amore” – per citare il film – , dimenticandosi, forse ingenuamente, di sopperire agli inevitabili quesiti dello spettatore.

Sebbene abbia un nome così letterario, sin dalla tenera età egli matura un interesse per il genere RPG e quello fantasy, al punto tale da sognare di farne parte. Avete presente quei bambini che emulano l’onda energetica? Ecco, il suo sogno è invece quello di entrare nella realtà virtuale per lanciare lui stesso magie ai suoi nemici! Se non gli piace qualcosa, attenti, vi farà assaggiare la potenza degli elementi!