Super Crush K.O. Recensione

Si mena e si spara in Super Crush K.O., ultima fatica degli autori del lodato Graceful Explosion Machine. Un giochino simpatico e frenetico dove, pure, si sparava tanto. Ecco, nella nuova opera di Vertex Pop si spara sicuramente di meno, ma si mena molto di più. Ed è tutto rosa, alle volte pesco. Con poche variazioni ad una palette zuccherosa al servizio di un “disegno” in realtà poco ispirato. Quel che funziona in Super Crush K.O. è tutto nel gameplay. Veloce, ritmato, persino pudicamente stiloso laddove approfondito, metabolizzato e amato. Circa 4 ore di campagna e neppure un attimo per riprendere fiato: quel che resta di questo brawler mescolato ad uno shooter è tutto nelle classifiche e in quei comandi precisi ed essenziali che ne fanno un videogioco vero. Di quelli che si giocano, ecco.

Super Crush K.O. non punta certo sulla trama, eufemisticamente accessoria. Per qualche giorno ho dovuto dividere la mia personalità con quella di tale Karen, una ragazza cui gli alieni hanno rapito il gatto. Una variante futuristica di Kiss Me Licia, con cui Karen condivide parte del suo “stile”. Il felino, d’altro canto, potrebbe ricordare alla lontana, per stazza ed espressioni, il compianto Giuliano. Per recuperare il gatto, attraverso una ventina di stage sempre troppo rosa, Karen dovrà buttare giù centinaia e anzi migliaia di robot al servizio dell’Aliena che guida la cricca, utilizzando armi da fuoco e soprattutto il proprio corpo, potenziato a dovere già nelle prime fasi di gioco.

Uno studio in rosa

In dettaglio, si segnalano pugni, spari e schivate come attacchi base da combinare ad avvitamenti, dash in aria, colpi tonanti al suolo e super raggi. Raggi KO, si intende, capaci si disintegrare qualsiasi cosa capiti a tiro. Il move set, piuttosto ampio e variegato, è stato studiato con cura. Ogni attacco può essere concatenato ad un altro, per creare combo davvero devastanti  e innalzare, di volta in volta, livello dopo livello, la propria furia distruttiva, il ritmo di gioco e anche la qualità degli attacchi, soggetti ad una valutazione in odor di stylish aggiornata in tempo reale nell’angolo alto a destra dello schermo. Nel nostro caso, quello di Nintendo Switch, hardware utilizzato per il test. E non crediate che tutto quel rosa, fiori rosa fiori di pesco, nasconda banali meccaniche da button smashing. Il rischio, sempre dietro l’angolo in questo genere di produzioni, è scongiurato dalla presenza di barre energetiche che limitano, grazie alla loro risicata capienza, l’abuso di una meccanica piuttosto che un’altra. Persino il semplice sparo, pena surriscaldamento del cannone in dote, dovrà essere centellinato e sempre alternato ad altre mosse, altre soluzioni. Il risultato è buono. Lontano dall’eccellenza, ma terribilmente vicino al divertimento puro, in pieno stile arcade. D’altro canto, quasi a voler stimolare le sinapsi addormentate di un vecchio videogiocatore da sala, Karen ha a disposizione 5 vite 5. Finite quelle è Game Over, si infila idealmente un’altra monetina nella console e si ricomincia il livello dall’inizio, alla ricerca del micio ciccione e di migliori fortune.

La traduzione in verbo del gameplay nasconde altre varianti. In primis, i nemici. Brutti da vedere, ma in fondo sono i cattivi, i robot alieni si differenziano per forme, caratteristiche e pattern. Impossibile, anche al netto di qualche insidia ambientale sparsa sulle piattaforme, pensare di affrontare il temibile esercito “camperando” da posizioni di favore. Meglio, decisamente meglio sfruttare la mobilità di Karen saltellando per lo schermo, tra una ridotta verticalità e controlli sempre precisi anche con i lillipuziani analogici dei joycon. Fondamentale l’attacco, preziosa la difesa, fatta di schivate e controattacchi. Quando si muore, e qualche volta capiterà nonostante una difficoltà non certo proibitiva, si muore per un motivo ben preciso. L’errata lettura della situazione, certo. Oppure, una barra energetica scaricatasi troppo presto. In generale, meglio affidarsi all’intera lista di azioni, rigettando con forza ipotesi di innamoramento per un’arma piuttosto che una special. In Super Crush K.O. serve tutto quello che si ha a disposizione. Fosse solo per compiacersi di un punteggio stratosferico e stiloso da caricare nelle classifiche online. Rosa pure quelle.

Difficile, in conclusione, trovare difetti oggettivi al giocato o ai controlli: tutto appare figlio di studio e concetto ben definito. Tutto, pad in mano, pure, funziona. Il rischio, se mai, è quello di non tollerare sul lungo termine il particolare stile elaborato dai grafici di Vertex Pop. Gli sviluppatori canadesi hanno voluto scimmiottare lo stile anime infarcendolo di tratti occidentali. Eppure, fermi nella convinzione che se Lamù atterrata a Montreal avremmo sbavato decisamente meno,  diventa difficile promuovere il disegno di umani, alieni e robot. Persino i boss di fine livello, grandi e grossi come da tradizione, non impressionano. Karen, in particolare, non è bella da vedere. Non lo è nel gioco vero e proprio e, neppure, nelle schermate che, tra un’area ed un’altra, hanno il compito di raccontare una storia poco interessante portata avanti da qualche buona battuta in stile anni ’90. E allora, tra richiami più o meno espliciti ad un Momoko 120% qualsiasi e, più in generale, ad una palette che si prende beffe del vostro daltonismo, quel che resta è una colonna sonora poco ispirata  ed il solito, lodato gameplay. Quello sì, da videogioco vero. Quello sì, ci ha convinto parecchio.

Super Crush K.O. riesce a metà. Diverte grazie ad un gameplay frenetico e a controlli precisi. Stupisce grazie ad un ritmo forsennato e soluzioni ludiche mai banali. Delude sotto l’aspetto meramente visivo e artistico. Non si tratta di puzzona sismo tecnico, quanto del ragionevole dubbio che ci sia qualcosa, in tutto quel rosa e carta da zucchero, che poteva essere migliorato. Semplicemente, presentato meglio. L’opera ultima di Vertex Pop, insomma, diverte, ma non incanta. Meno di un giorno di pioggia con Andrea e Giuliano, quando incontrarono Licia per caso. Quando era tutto più bello da vedere.