Presentato all’interno della sezione Un Certain Regard, durante il Festival di Cannes 2019, dove si è aggiudicato il premio per la migliore attrice, L’hotel degli amori smarriti, è il nuovo film del regista francese Christophe Honoré. Celebre autore teatrale, il filmaker fonde qui i due linguaggi dando vita ad una storia che si svolge nel corso di poche ore, con un impostazione da palcoscenico dove è possibile dar completo dominio ai personaggi e alle loro vicende. Se così facendo l’autore si assicura l’attenzione dello spettatore, sono però alcune libertà di sceneggiatura a spezzare la magia messa in gioco dalla realizzazione, rendendo confuso il progredire della trama.
La trama ruota intorno a Maria (Chiara Mastroianni), il cui coniuge scopre intenta in ripetuti tradimenti coniugali. Dopo un duro litigio, la donna decide di lasciare il loro appartamento e prendere una stanza, la 212, nell’albergo situato proprio dall’altra parte della strada. La finestra della stanza affaccia proprio su quelle dell’abitazione dove il marito è rimasto. Mentre la protagonista passa la notte ad osservarlo, si ritroverà coinvolta in un via vai di presenze del passato, la quale la aiuteranno a prendere una decisione in merito al suo matrimonio.
Fare i conti con il passato
Costretto a muoversi pressoché in un unico ambiente, la stanza d’un albergo, il regista si sbizzarrisce nel dar vita ad una messa in scena vivace, dinamica, che raramente lascia il tempo allo spettatore di riprendere fiato. Tramite un continuo via vai di personaggi, parole, ricordi e sogni, la protagonista si ritrova accerchiata dal suo passato amoroso, che si rende concreto attraverso la presenza di invadenti “fantasmi”. Con questi la protagonista attua un dialogo da cui emerge tutta la delusione, la noia e il rimorso per chi, ad una certa età, si è ritrovato al punto di partenza, o più precisamente in un limbo, qui perfettamente incarnato dalla camera d’hotel.
La bravissima interprete, figlia del celebre Marcello, svela parola dopo parola una donna forte ma emotivamente fragile, bisognosa di ritrovare una propria stabilità dopo essersi divisa per anni tra molti, forse troppe, passioni. Il regista la segue con sinuosi movimenti di macchina da una stanza all’altra, cercando di cogliere ogni sfumatura sul suo volto. È su di lei che si costruisce l’intero film, un’ode al passato e a quegli amori smarriti del titolo, che rimangono parte della storia dei protagonisti, e di tutti noi, in modo indissolubile.
All’interno di questa confezione si ritrova la vicenda di una crisi di coppia, argomento trattato innumerevoli volte, ma che qui trova una propria originalità attraverso brillanti scambi di battute e una costruzione coinvolgente dello spazio. Tutto ciò risulta ulteriormente riuscito dal momento in cui Honoré sceglie di non prendere le parti di uno dei due coniugi ma concentrandosi nel consegnare un ritratto intimo di entrambi, con il loro passato, i loro amori e i loro sbagli.
I limiti della scrittura
Se la messa in scena di Honoré, come anche le interpretazioni dei protagonisti, risultano essere senza pochi dubbi i punti di forza del film, è proprio da quella sceneggiatura inizialmente convincente che arrivano verso la metà del lungometraggio i primi segnali di alcune forzature narrative che, con un po’ di attenzione, rischiano di minare la credibilità del racconto.
Il problema sorge, infatti, nel momento in cui i fantasmi del passato entrano in contatto anche con altri personaggi oltre a Maria, cosa che tuttavia non dovrebbe essere possibile, dato il punto di vista proposto inizialmente. La situazione sembra così sfuggire di mano, dando vita a sviluppi che tuttavia non trovano giustificazione narrativa, né da parte della protagonista né da parte di Honoré stesso.
L’hotel degli amori smarriti, che data l’impostazione teatrale dovrebbe dunque affidarsi ad una sceneggiatura solida, trova invece in questa alcuni buchi non indifferenti, sui quali tuttavia si potrebbe soprassedere a patto di mettere in campo un po’ di sforzo immaginativo in più. Fortunatamente resta che il film risulta comunque essere divertente, nostalgico, e grazie alle sue soluzioni visive il regista riesce a regalare più di un qualche momento di spensieratezza, mostrando nuovamente come la commedia francese possa essere più intelligente di quella di altre cinematografie.