Film d’apertura della 51° Quinzaine des Realisateurs, all’interno del Festival di Cannes 2019, Doppia pelle è la nuova irriverente pellicola di Quentin Dupieux, apprezzato regista di opere particolarmente originali come Rubber e Réalité, che qui dirige un Jean Dujardin in splendida forma. Più che una commedia vera e propria, questo nuovo lungometraggio ha in realtà un sapore prevalentemente grottesco, manifestando una grande capacità di giocare con registri e toni differenti, cosa molto utile ai fini della storia e del suo tema.
Protagonista assoluto è Georges (Jean Dujardin) il quale ha dato fondo al proprio conto corrente per acquistare una giacca di pelle di daino 100%. Morbida, decorata di frange, l’abito lo fa innamorare fino a possederlo completamente, facendolo precipitare in un delirio criminale. Ad assecondare la sua follia c’è Denise (Adèle Haenel), cameriera con la mania del ri-montaggio di film famosi. Deciso a girare un lungometraggio che celebri il suo vestito, Georges si arma di camera digitale e sbaraglia la concorrenza. Ogni altra giacca sulla faccia della terra non è che una mera imitazione e va eliminata. Ad ogni costo e con ogni mezzo.
Cadere nell’ossessione
Tra le prime scene che colpiscono del film vi è quella che presenta il suo protagonista totalmente fuori fuoco. Una scelta che sembra dire già tutto su di lui. È una descrizione per immagini che si ripeterà per l’intera prima parte dell’opera, fino all’agognata conquista della giacca di daino così importante per Georges. Un’introduzione quasi priva di dialoghi, che evidenzia però in modo più sottile e intelligente tutto ciò che occorre sapere sul personaggio principale. Il culmine, a tal proposito, sembra essere la sua vestizione con il suddetto abito. Non solo un oggetto ormai fuori moda, con le sue vistose frange, ma per di più di una taglia che sembra andargli leggermente piccola. Tutto ciò per esprimere al meglio la sua personalità disturbata, stretta in una società in cui non riesce ad integrarsi.
Una volta compreso il protagonista, è possibile gettarsi insieme a lui nella sua ricerca di uno scopo. Questo verrà ben presto alla luce attraverso un dialogo che egli ha direttamente con la giacca stessa, attraverso un gioco straniante che mira a conferire all’indumento una propria coscienza e dei propri desideri, e che mette in risalto l’esclusività dell’indumento. È a questo punto che il film, pur mantenendo una sua comicità di fondo, inizia ad acquisire un tono sempre più cupo, sfiorando in diversi casi il genere horror.
Nel tentativo di soddisfare la sua giacca di daino, il protagonista dà infatti luogo ad una serie di brutali omicidi, e a questo punto viene facile immaginare il film come l’origin story di un insolito omicida, con tanto di look e arma del delitto a renderlo esclusivo. Come se non bastasse, ogni suo gesto è ripreso da egli stesso attraverso una piccola videocamera digitale. Riprese che egli spera poi di montare insieme per farne un unico, epico lungometraggio. Una scelta che sembra suggerire il grande ruolo giocato dal cinema nella costruzione dei miti e dei grandi serial killer (si pensi a Zodiac, di David Fincher). Tutto ciò che Georges compie, appare dunque ora come la progressiva e inesorabile discesa nell’ossessione. Questa lo rende cieco, invidioso, governato da un oggetto materiale.
La doppia pelle del protagonista
Se occorre un po’ di pazienza per entrare nel vivo del film, con il rischio di sentirsi disorientati all’inizio, si viene poi premiati con una seconda parte decisamente più accattivante, tanto per risvolti narrativi quanto per idee di messa in scena. Ad impreziosire il tutto, infine, si ha un Jean Dujardin che si conferma un interprete eccezionale, credibile nel ruolo, in grado di essere comico e spaventoso allo stesso tempo.
Egli si muove all’interno di una pellicola che gioca con i generi, passando con naturalezza dalla commedia all’horror, generando una continua atmosfera di tensione che non priva lo spettatore di sincere risate. E qui si riconferma brillante sceneggiatore e regista Dupieux, capace di dar vita ad un lungometraggio originale, insolito e sorprendente, che si guarda con puro piacere.
Verso la fine, il lungometraggio si spoglia, mentre il suo protagonista continua a vestirsi di una doppia pelle, per parlare in modo più diretto con lo spettatore. Lasciandogli intendere che, sotto le risate procurate, vuole nascondersi una lucida critica alla contemporanea ossessione per oggetti materiali. Un’ossessione che spesso e volentieri porta a compiere atti, non estremi come quelli visti nel film, ma certamente dettati da egocentrismo e individualismo.