Per quanto ci si possa allontanare dalla propria casa, alla fine si torna sempre lì. Sembra essere questo il concetto alla base di Tigertail, il nuovo film Netflix in arrivo sulla piattaforma a partire dal 10 aprile. Un lungometraggio diretto da Alan Yang, affermatosi negli Stati Uniti per essere stato una delle menti dietro le serie Parks and Recreation e Master of None. Nato e cresciuto in California, Yang ha tuttavia origini cinesi, con i suoi genitori nativi di Taiwan. Con questo suo esordio alla regia di un’opera sul grande schermo, il regista compie così un viaggio semi biografico che è anche un ritorno alla propria dimora.
La storia è quella di Grover (Tzi Ma), un ragazzo nato in una povera famiglia di Taiwan, rimasto presto orfano del padre. Per anni egli è cresciuto insieme a sua madre cercando di bilanciare vita sentimentale e il lavoro che permetteva a lui e al genitore di sopravvivere. Ma il desiderio del giovane è quello di raggiungere gli Stati Uniti e creare lì la propria fortuna. Nel momento in cui gli verrà proposto un matrimonio combinato, con la possibilità di trasferimento nella terra dei suoi sogni, il protagonista si troverà a dover scegliere se rinunciare agli affetti o ad un eventuale radioso futuro.
La strada verso i propri desideri
Il film scritto e diretto da Yang svela da subito una doppia costruzione temporale. Egli ci permette di vedere il passato e il presente del protagonista, ciò che è stato e ciò che è. In questo modo, lo spettatore viene accompagnato dalle scelte compiute dal personaggio e dal loro risultato nella contemporaneità. Attraverso questa duplice narrazione, appare sempre più evidente come vengano costruiti sottilmente, tanto da passare quasi inosservati, due moti esattamente contrari l’uno all’altro.
Se il passato di Grover è segnato dalla spinta verso gli Stati Uniti, che rappresentano la promessa di possibilità di vita migliori, il suo presente, che lo vede ormai anziano, è invece caratterizzato dal desiderio di tornare al passato, di compiere il viaggio inverso nel tentativo di ripercorre e recuperare quanto lasciato indietro. Ad accompagnarlo in entrambi questi percorsi vi sono le figure femminili più significative della sua esistenza. La prima è la moglie assegnatagli, che altro non era se non il suo lasciapassare verso l’America, mentre nell’attualità è la figlia, con la quale ha un difficile rapporto, ad essere nel bene e nel male al suo fianco.
Sono entrambi rapporti burrascosi, fatti di emozioni taciute e rinunce sofferte. In particolare, con la moglie Zhenzhen si costruisce il rapporto più coinvolgente della pellicola, che porta i due giovani sposi ad assistere impotenti al crollo dei loro sogni. Tutto ciò che tra di loro non funziona si ripresenterà di nuovo, quasi per carattere ereditario, nella relazione del padre con la figlia. Ma sarà proprio quest’ultima a far nascere il bisogno di un viaggio per fare i conti con il passato.
Il percorso verso casa
Delle due linee narrative presentate, è probabilmente quella ambientata a Taiwan che manifesta i maggiori spunti di interesse del film. Qui il regista abbraccia le tradizioni del cinema orientale, avvolgendo lo spettatore con colori e sapori che raccontano meglio delle parole i personaggi protagonisti. Appare infatti evidente lo scarto tra le due sequenze temporali. Se quella nel passato è più ricca da un punto di vista cromatico e sonoro, quella del presente è invece più gelida, asettica, monocolore.
Una scelta che racconta come la vita possa spegnersi nel momento in cui si compiono scelte di comodo che vanno in contrasto con i veri desideri del cuore. Per il protagonista, rientrante in questa categoria, diventa dunque necessario un ritorno alle origini, seppur tardivo. La sequenza conclusiva del film arriva allora a conclusione di uno struggente percorso fatto di luoghi, gesti e persone che c’erano, e ora non ci sono più.
Il film di Yang si dimostra pertanto un coinvolgente racconto di carattere universale, dove il regista è attento a sottolineare con le sue inquadrature i dettagli più significativi del percorso del protagonista, senza tuttavia calcare la mano sull’elemento drammatico. A fronte di ciò, a frenare il lungometraggio è un ritmo talvolta poco incisivo, che rischia di perdere l’attenzione dello spettatore, riconquistata però nell’istante in cui quanto visto fino a quel momento, tende a ricongiungersi in un unico binario.