Valorant Recensione: il competitor dell’FPS più competitivo

Valorant

Riot Games non sarà per voi un nome conosciuto, tuttavia mi permetto di ripercorrere in pillole il percorso e i traguardi che la suddetta software house ha raggiunto gradualmente nel tempo e dello spazio che è riuscita a ritagliarsi nel mercato. Per i suoi primi 12 anni questa compagnia californiana è stata impegnata nel trasformare un anonimo clone di DOTA (il primo MOBA nato da Worcraft 3) in quello che è oggi un fenomeno videoludico mondiale e totalizzante, con un impatto e un fandom paragonabili a quelli avuti dalla saga di Star Wars nel cinema. Per ottenere questo risultato, nel quale onestamente nessuno avrebbe creduto, Riot ha portato avanti un’idea, una filosofia dietro al proprio prodotto pregnante e coerente: i videogame possono essere sport, gli esport devono essere accessibile a tutti, allontanare i giocatori che infrangono le regole, separare integralmente business e regole/struttura ludica. Il modello proposto è eccentricamente utopico, in totale contrapposizione con lo statuto tipico dello sviluppatore che cita “Non stai creando un titolo come TU lo vorresti, ma come lo vuole il CLIENTE.” Che ci crediate o no, Riot games ha infranto questo muro con un sistema di business che propone ai giocatori, non necessariamente clienti poiché i loro giochi sono gratuiti in tutto e per tutto, di divenire tali autonomamente acquistando elementi cosmetici (non impattanti sulle prestazioni di gioco), poiché genuinamente appassionati del prodotto e interessati a supportarlo senza ricevere vantaggi pratici su chi non volesse investirvi denaro, un modello che non molto dopo tanti altri sviluppatori di titoli esport hanno adottato (es. Valve con Dota 2).

Oltre a ciò League of Legends ha ricevuto una costanza negli aggiornamenti e nel bilanciamento invidiabile da chiunque, tanto da trasformare i punti deboli (come personaggi e elementi di gioco vecchi e stantii) in punti di forza al momento del loro rework, con eventi appositamente abbinati. Il costante interfacciarsi con la propria utenza, ma soprattutto con l’elite di giocatori professionisti in grado di fornire le opinioni più autorevoli è un altro degli elementi per i quali LoL ha compiuto da poco il ragguardevole traguardo dei 10 anni dall’uscita ufficiale. Proprio in concomitanza di questo straordinario traguardo (pensate che Overwatch non ha compiuto 4 anni che si prepara a lasciare spazio al sequel) Riot ha pianificato il più grande degli eventi in-game che la community avesse mai visto. Al contempo ha squarciato il cielo con una serie di annunci atti a “giustificare” l’ultima lettera di Game”s”. È dunque doveroso conoscere il panorama odierno che contraddistingue il gioco professionistico, la storia e le sue evoluzioni… Proprio come Valorant, FPS tattico che punta almeno quanto LoL sull’offrire una pura e viscerale esperienza sportiva. L’origine del genere risale a ormaI più di vent’anni fa, quando l’intera matrice sparatutto ancora non aveva incalzato il grande pubblico, non essendo ancora approdata su console, ma ancora oggi immortale capace di catturare milioni di giocatori grazie alla spettacolarità e alla tecnica profuse dai suoi massimi esponenti. Valorant non punta pertanto a sfondare un muro generazionale, ma a conciliare elementi familiari ai campioni di un domani, senza uscire dal tracciato severo preposto dalle sue ispirazioni e ponendosi in un rapporto di sana e diretta competizione con Counter-Strike, similmente a quanto Dota 2 non abbia fatto nei confronti di LoL: un’alternativa in grado di ravvivare un’offerta competitiva che si appresta a raggiungere uno step di maturità ulteriore generabile solo dal confronto.
La sedia che vuole prendersi Riot è al momento vacillante come la V di Valve, quella dello sparatutto puro, tattico e di squadra competitivo per eccellenza, pur non disdegnando di strizzare l’occhio anche a tutti quegli utenti che si sono avvicinati a questo mondo tramite un hero shooter oppure che non si sentono più totalmente appagati dalle ore spese negli sparatutto mainstream più casual e meno punitivi.

Valorant Recensione: Ibridazione, rivisitazione, plagio o novità?

Come il La prodotto dalle vibrazioni di un metronomo scosso risuona nell’aria, così ai primi click e battiti di tastiera un titolo dello studio con base a West Los Angeles si avverte la passione e l’essenza tipica dello sport. In questo Riot comunica una forte brand integrity, che solo poche altre aziende al mondo come Apple sanno trasmettere e ritengo che in questo caso il paragone sia più che azzeccato, dal momento che Jobs (citando Picasso) ribadì orgogliosamente che “i buoni artisti copiano, i grandi artisti rubano”. È proprio quello che entrambe queste compagnie hanno dimostrato di saper fare con i loro prodotti.

Valorant è una naturale evoluzione di Counter-Strike in chiave più moderna, colorata e più politically correct. Quest’ultima decisione, sebbene saggiamente mitigata da effetti grafici comunque non eccessivamente family friendly (il sangue sprizzato dai nemici, particolarmente se colpiti in testa), appare in linea con quanto portato in scena nell’ultima decade dallo sviluppatore ma non solo. Di fatti più che una mossa commerciale tesa a inglobare quante più giovani leve possibile, la scelta sembra in linea con la legittimazione e la prominenza che la scena esports si sta ritagliando sul panorama dei grandi circuiti sportivi. Il fatto che non vi siano bombe, né terroristi e la distanza da un benché minimo realismo, potrebbero portare il genere degli FPS tattici a venire considerato dal Comitato Olimpico per un’apparizione al debutto delle cyber-discipline, se e quando verrà. parti Ad ogni modo il fiammante hero-tactical shooter di Riot Games ha anche preso spunto da altri titoli come Overwatch e Rainbow Six Siege, proprio nell’intento di svecchiare uno scheletro che rimane il medesimo, ma che giocato trasmette una sensazione molto diversa. Lo shooting ricalca quello del competitor, ma risulta più comprensibile e intuitivo, pur rimanendo molto legato all’abilità del giocatore. La precisione, i riflessi, il controllo degli spray delle armi (la cui ispirazione è chiarissima anche in questo aspetto)… È tutto assolutamente comparabile al titolo nato da Half-Life 2 un paio di decadi fa. Quello che cambia è che il rinculo leggermente meno esagerato e un controllo della parte finale delle raffiche più affidato all’istinto che alla memoria muscolare, rendono l’esperienza leggermente meno frustrante per i novizi. Anche l’ottimo tool di allenamento predisposto, il “poligono”, è un’introduzione estremamente utile per entrare in confidenza con il sistema di shooting e regolare i prorpri settaggi per ottimizzare le performance.

Quella che è in effetti invece una vera e propria innovazione è l’aggiunta di un sistema di ADS (la possibilità di puntare con il mirino dell’arma) che differentemente da CSGO (nel quale mantiene le stesse proprietà dello shoting tradizionale, ovvero visuale bloccata a dove si punta e colpi che seguono il pattern) il mirino si sposterà e con esso la visuale per seguire i colpi che comunque manterranno lo spray pattern standard. Inoltre su Valorant la stragrande maggioranza delle armi dispone di una modalità di fuoco alternativa (che in quasi tutte le bocche da fuco corrisponde all’ADS): dallo sparare raffiche anzichè full auto, piuttosto che riducendo lievemente la cadenza di fuoco come per i due fucili d’assalto principali. Questo significa che, nonostante non sia effettivamente efficiente in parte delle situazioni (starà all’abilità del player alternarle al meglio), sarà comunque possibile mirare e tracciare i propri colpi “come negli FPS che non sono Counter-Strike”, creando di fatto un ponte per tutti i giocatori che non provengono direttamente dalla creatura di Valve. Questo è, a mio parere, un espediente geniale per far collimare due mondi e per inserire al contempo maggiore profondità d’uso al nostro arsenale. Il discorso è estremamente evidente, ovviamente, mouse e tastiera alla mano: anche gli abituè di un Apex Legends o di Battlefield avranno la sensazione di controllo nello sparare garantita dalla possibilità di usare il mirino. Con questo non intendo che non dovrete fare i conti con meccaniche essenziali, quale ad esempio la disciplina nel tenere il puntatore sempre il più vicino possibile alle teste dei nemici (crosshair placement), tuttavia sarà più facile immergersi in un mondo così complesso e punitivo grazie a questa feature conciliante.
La parte che Riot ha voluto rimaneggiare principalmente è invece tutto ciò che ruota attorno lo sparare: utility (le granate di CSGO) e lo shop, le mappe e il movimento. Le prime sono state eliminate in favore di abilità e ne tratterò al paragrafo successivo. Miglioramenti al menù di acquisto in-game e all’interfaccia di CSGO ne abbiamo quindi? Quanti ne volete: dal poter comperare l’equipaggiamento in movimento durante tutti i 40 secondi di fase di acquisto (dove occorre posizionarsi sulla propria zona di mappa a mo’ di Overwatch), alla possibilità di acquistare armi per i compagni con un click, ovunque essi siano durante tale periodo. Anche “l’undo” (annullare l’acquisto di un oggetto) rende l’organizzazione dell’economia del team molto più facile, oltre all’infinitamente utile interfaccia che ci comunica quanto sarà il guadagno minimo nel prossimo round (che vi renderà, specie se non esperti, la vita estremamente più facile). Una semplificazione avviene invece per quanto concerne il defuse kit per i difensori, che a tutti gli effetti non esiste, benché il disinnesco richieda solo 7 secondi, divisi in due fasi da 3,5 secondi: terminata la prima non occorrerà ricominciare da capo.

ValorantLe mappe sono un altro fronte di innovazione dove la cura maniacale degli sviluppatori mi ha stupito non poco. Non solo la struttura di esse presenta forti novità nel genere come teletrasporti, funi o la presenza di tre bomb sites, ma la cura del bilanciamento tra spazi chiusi e aperti e dei singoli spot appare surreale, tanto che nelle quattro mappe per ora a disposizione si fa veramente fatica a non prendere velocemente familiarità ed altrettanto difficilmente ci si stufa o ci si inviperisce per un punto particolare in esse. Il level design è estremamente pulito e bilanciato, favorendo nient’altro che la bravura dei giocatori. Giungendo al movimento, ho rintracciato un minore sopravvento della fisica “stile half-life” sul gioco, una minore accelerazione quando ci si sposta e una più veloce decelerazione. Questo porta ad un gameplay più controllato (niente runboost o bhops fulminei) ed in generale ad un ritmo meno concitato dell’azione, complici le mappe molto equilibrate. Se steste storcendo la bocca al sentire che in Valorant ci si sposta più lentamente e che i round si risolvono con meno esplosività, potreste essere tuttavia sorpresi di quanto questi tempi portino ad un aumento dei clutch nelle situazioni di inferiorità, di modo che nessun round sia vinto dopo pochi secondi e che la tensione rimanga sempre alle stelle.
Oltretutto Riot ha pensato anche ad una modalità alternativa, denominata Spike Rush, in grado di fornire un’esperienza rilassata e più fugace (8-12 minuti contro i 30-40 di un match standard), che, ricalcando gli stilemi dell’ARAM di League of Legends, regala un ottimo intrattenimento disimpegnato. In Spike Rush ogni membro del team in attacco possiede la bomba, mentre la stessa arma casuale viene assegnata all’inizio del round a tutti i giocatori e non potrà essere sostituita usando il sistema di acquisto assente in questa modalità. A creare ulteriore scompiglio in questa divertente rissa a squadre alla meglio dei 7 round vi saranno dei bonus speciali, la cui comparsa coincide con l’inizio del round, che se collezionati (come avviene per gli Orb che conferiscono una carica dell’abilità suprema nella modalità classica) conferiscono un power-up al singolo o a tutto il team. Questi bonus sono molto vari e spaziano dall’infliggere dei pesanti malus alla squadra nemica, all’ottenere un’arma più potente per il round.

Valorant: Qualcuno ha una smoke?

Quante volte vi siete pentiti di aver iniziato una partita in matchmaking in solitaria su Counter-Strike dopo che il vostro sgangherato e scoordinato team non ha saputo darsi dei ruoli, comprare le utility o nessuno ha voluto fare da entry fragger, sacrificandosi per prendere informazioni? Questo è dovuto al fatto che in CSGO non vi sono ruoli dichiarati in un gruppo di player accozzati dal matchmaking, nonostante di alcuni ruoli come l’entry fragger, l’IGL (shotcaller) o il support un team abbia indiscutibilmente bisogno. Allo stesso tempo però ogni player ha la possibilità di acquistare lo stesso arsenale di granate, il che permette ad ogni membro delle squadre di improvvisare un tipo giocata diversa a seconda della situazione in maniera molto eclettica. Valorant decide di spezzare questo squilibrio fatto di alti e bassi, almeno sulla carta riducendo le possibilità di coprire la totalità dei ruoli (in maniera efficiente) ai giocatori, ma di fatto incoraggiando ad un playstyle differente a seconda dell’agente (un incrocio tra un operatore di R6S e un eroe di Overwatch) in uso, che rimarrà tale per l’intera partita. Di fatti non vi sono utility condivise dagli agenti ed ognuno dispone di un arsenale diverso ma tendenzialmente bilanciato (vero Raze?) di modo da garantire una certa varietà da partita a partita (dipendentemente dalla team composition scelta).

Gli agenti sono divisi in categorie, dove i duelist sono più adatti alle azioni in solitario e a quella aggressive (es. Lurker, Entry Fragger su CS), i guardiani sono personaggi completi e in grado di fornire supporto (es. Support, AWPer), gli strateghi saranno necessari per controllare il campo di battaglia (IGL, Playmaker), mentre gli initiators sono necessari per compiere manovre offensive corali e prendere velocemente informazioni sui nemici. Ma quanto le quattro abilità dei vari agenti influiscono sul gameplay rispetto a dell granate incendiarie, delle smoke bomb o delle flashbang? Per la verità, queste abilità sono piuttosto analoghe alle appena citate utility ‘nades di CSGO, tanto che vengono comprate ugualmente a inizio round, sono ugualmente limitate in quantità a seconda del tipo di abilità e tendenzialmente hanno il medesimo scopo. La differenza vera (oltre al fatto che non vengono perse alla morte) sta nel fatto che lo skill-set di ogni personaggio tende a fare delle piccole variazioni allo stesso concept di utility (es. la smoke di Viper è grande e tossica, quella di Jett può essere curvata mentre le smoke di Brimstone vengono lanciate dalla minimappa) e che, nonostante un agente possa essere molto forte in un tipo di azione, sarà molto più limitato nella varietà. Questo comporta una maggiore complementarietà degli agenti e un focus ulteriore sull’aspetto strategico ai danni di quello tattico individuale, oltre che una maggiore chiarezza del ruolo che in ogni round i giocatori andranno svolgere, e questo significa che giocare in solitario risulterà un po’ meno frustrante. Esattamente come in LoL, inoltre, è facile scorgere come alcuni agenti abbiano certamente un’utilità maggiore nei team organizzati e viceversa come altri brillino per autonomia e imprevedibilità.

Comparto tecnico e infrastruttura

Valorant si è presentato come uno sparatutto in grado di rispondere alle esigenze e ai problemi principali del pubblico del genere, dai pro agli sfidanti meno dotati. Parole come peking advantage, low ping e high tickrate sono volati fin troppo ottimisticamente durante il primo trailer di annuncio, e in questa sezione vedremo fin dove Riot Games è riuscita a spingersi nel rendere il proprio titolo fluido e imparziale.
Il peaking è nel gergo degli shooter, il termine col quale si indica l’atto di lasciare la propria copertura per arrivare in linea di tiro con l’avversario. Quello che è conosciuto come peaking advantage è un problema certamente fastidioso che garantisce a chi si “sporge” un piccolo vantaggio in termini di tempo nella renderizzazione dell’altro giocatore: in definitiva meno tempo per avvistare (e quindi eliminare) l’avversario. Questo genera un paradosso dove chi ha una buona posizione si trova in una posizione  di inferiorità suo malgrado. L’idea di Riot di risolvere questo spiacevole inconveniente passa per dei server molto prestanti ed una tecnologia all’avanguardia. In questo caso c’è da dire che i risultati sono molto soddisfacenti, e questo è uno degli ulteriori motivi per i quali lanciarsi contro l’ultimo avversario in vita non è mai stato così punitivo quanto in questo gioco. Il tickrate (tick/sec) è la frequenza con la quale in server si aggiorna. Molti titoli blasonati e popolari come Fortnite, Call of Duty o Apex Legends sfruttano server da 32t/s, mentre CSGO ha nei server proprietari 64t/s. Nonostante questo l’impressione di responsività del gioco potrebbe sembrare più alta su Apex che su CSGO.

Qualcuno sa perché? La verità é che un FPS che si affida così tanto alla precisione come Valorant o, appunto CSGO, mette molto più a nudo i problemi di prestazione dei server di quanto non faccia un CoD o un Battlefield. Lo shooter di Riot, fortunatamente dispone di server a 128t/s e, lasciatemelo dire, si vede eccome! Non solo la fluidità è eccezionale, ma anche le probabilità che i vostri colpi a segno non siano registrate sono veramente esigue. La vera promessa che tuttavia il colosso della West Coast deve mantenere e che sembra ancora  lontana è l’infrastruttura che permetta a “quasi” tutti di avere una bassissima latenza (< 35ms). Al momento purtroppo, seppur l’esperienza di gioco sia molto fluida e responsiva, il ping medio dei giocatori non si discosta particolarmente da quello che siamo abituati a sperimentare su LoL ad esempio, d’altro canto parliamo di una buona infrastruttura, che tuttavia sarebbe bello vedere raggiungere le potenzialità annunciate. In ultimo, e qui difficilmente potrò smentire la dichiarazione, Valorant è un titolo che riesce ad essere insieme graficamente soddisfacente ed per niente esoso sulle specifiche hardware dei PC supportati. Letteralmente chiunque può giocare a Valorant, anche se, per un titolo così competitivo, macchine in grado di superare i 200fps e monitor ad alto refresh rate sono caldamente raccomandati per giocare al massimo del potenziale. In queste settimane, inoltre, molti si sono espressi dubbiosi sull’impatto visivo di Valorant, ed effettivamente il gioco non è stupefacente, nè vuole esserlo: l’obiettivo, che di fatto centra alla perfezione, è quello di essere pulito e di favorire il gamplay. Inoltre Valorant mi sembra meno stancante di Overwatch e le mappe stesse riescono a non stufare dopo diverse ore su di esse. Naturalmente per alcuni lo stile e la caratura della grafica rappresenteranno un muro invalicabile per l’avvicinarsi al titolo, ma esso stesso non punta a questa tipologia di giocatori già dalle premesse.

ValorantUn incredibile Ranking System

Ad un giorno dall’uscita della tanto attesa modalità classificata, vero cuore pulsante di un esperienza ludica come Valorant, possiamo infine tirare le somme sul sistema di piazzamento, di progressione, la divisione in fasce di abilità e l’algoritmo atto a captare il livello dei player intenti nella loro scalata alla vetta della classifica. Per prima cosa come è strutturata la modalità competitiva? Si tratta sempre di partite alla meglio dei 25 round nella modalità bomb defuse, con la sola differenza che saranno sbloccabili solo dopo aver disputato 20 match in modalità “unrated”, che differisce dalla prima solo per il fatto di non avere impatto sul ranking. A questo punto avrete la possibilità di essere piazzati in una delle seguenti leghe, dalla più bassa alla più alta: Ferro, Bronzo, Argento, Oro, Platino, Diamante, Immortale e Radiante. Ad eccezione dell’ultimo grado, in ogni lega avremo tre divisioni (Argento I, Argento II, Argento III, Oro I, Oro II, etc…), le quali costituiranno la progressione all’interno della lega stessa.

Se LoL si è imposto come il banco di riferimento per i sistemi classificati nei videogiochi competitivi, grazie ad un impianto ben regolamentato e intrinsecamente valido, Valorant si prepara a cambiare le carte in tavola ancora in meglio. Grazie ad algoritmo che riesce a tenere conto in maniera sensibilmente accurata delle prestazioni individuali e di quelle di squadra, il sistema è in grado di captare, specie nelle prime decine di partite, molto accuratamente il livello di abilità di ciascun giocatore. Nel mio caso, ad esempio, a seguito delle prime 5 partite, sono stato piazzato in Platino 2 (nonostante io abbia vinto solo 3 partite su 5), livello davvero prossimo a quello nel quale ho terminato la mia esperienza con la closed beta (che prevedeva anch’essa questo sistema, sebbene meno rifinito). Questo significa, per tutti gli amanti del fair play, che su Valorant assisteremo non solo generalmente a match molto equilibrati, ma anche che non sarà necessario spendere centinaia e centinaia di ore per raggiungere un buon rank da zero. Inoltre, il fatto che l’algoritmo tenga inizialmente molto in considerazione le prestazioni del singolo contribuirà quasi certamente a ridurre sia il fenomeno dello “smurfing” (quando un giocatore crea un secondo account, nel quale generalmente si trova a compere slealmente contro giocatori novizi o di livello inferiore), dal momento che si verrà – più rapidamente di quanto abbia mai sperimentato in titoli simili – posizionati al di sopra dei giocatori meno competenti; che la frustrante esperienza del boosting – ove un giocatore (generalmente usante un account smurf) aiuta scorrettamente un altro utente a raggiungere un grado che non merita – proprio grazie al fatto che il sistema saprà premiare il singolo giocatore meritevole e non tutta la squadra indiscriminatamente (anche in caso di sconfitta).

Anche nel caso del sistema che gestisce le partite classificate Valorant effettua un ottimo miglioramento di quanto già visto sul mercato e le premesse sembrano essere davvero delle migliori.
Colgo la palla al balzo per trattare infine della struttura stagionale che caratterizzerà il gioco dal momento che si è appena aperta la season 1 che prende il nome di Ignition. Similmente a quanto abbiamo sperimentato con l’acclamato battle-royale di Epic Games, anche Valorant si comporrà di capitoli accompagnati da Battle Pass. L’acquisto della versione premium di quest’ultimo garantisce l’accesso a succose ricompense come skin, spray, e buddies da sbloccare durante il corse della stagione e il cui prezzo sembra molto ragionevole per l’ottima mole di contenuti che offre. D’altronde vi sono state numerose diatribe sul prezzo delle skin nel negozio, che similmente a quelle di un LoL o di CS: GO possono arrivare a costare varie decine d’euro. C’è da dire però che questi aspetti personalizzati per armi e coltello hanno un aspetto e una cura notevoli, essendo sia potenziabili con la valuta Radiant Points, sia estremamente belli e rifiniti dal primo sguardo agli effetti grafici e sonori. In ogni caso non credo sia minimamente sensato discutere il prezzo di skin e set di skin premium, dal momento che il loro acquisto è a discrezione dell’utente.

Valorant è un brillante esempio di come il panorama esport sia destinato ad espandersi ulteriormente. Il titolo di Riot riesce a svecchiare la più intoccabile delle formule per trarne fuori un prodotto più semplice ma non meno profondo, in grado di attirare attorno ad una scena estremamente competitiva un pubblico molto numeroso come avvenuto con il suo titolo di punta (al momento), sfornando un FPS tattico meno frustrante ma solo in minima parte meno complesso e spettacolare. Nonostante sarà difficile (se non impossibile) scalzare Counter-Strike dal podio delle attrazioni più avvincenti e sensazionali del panorama esport, starà nell’organizzazione dei tornei e nell’abilità dei futuri giocatori professionisti dimostrare al mondo intero quanto abilità Valorant richieda una volta spinto al limite, nonché quali siano le vere implicazioni strategiche della formula hero-shoter adottata. Nell’attesa di valutarne proprio dal banco di prova del gioco professionistico le vere potenzialità non ci resta che augurarvi e augurarci di vedere mantenute tutte le promesse degli sviluppatori e che il gioco non perda la scintilla che attualmente lo caratterizza. Riot Games ha dimostrato negli anni di essere garanzia di qualità e controllo, di saper aspettare per non sbagliare un colpo. Complice anche un algoritmo potente e preciso in grado di portare la competizione ad un nuovo livello, un’intelaiatura pulita e rifinita e una visione chiara del developer. Dai primissimi footage di Valorant infatti, le personalità più preparate del mondo esport non hanno messo in discussione nemmeno per un istante che il nuovo FPS avrebbe avuto le carte in regola per eguagliare LoL e divenire la prossima big hit mondiale… Era semplicemente scontato.