Pathfinder Kingmaker Definitive Edition Recensione: un Re senza un trono

Pathfinder Kingmaker Definitive Edition

Tutti noi, videogiocatori incalliti o meno, abbiamo più volte espresso il desiderio di vestire i panni di personaggi epici, intraprendere avventure epiche, combattere (e vincere) nemici epici e scovare tesori, epici. Purtroppo, tutta questa ridondante epicità non è proprio alla nostra portata e, oltre all’immaginazione, nulla può darci quello che cerchiamo. O meglio, nulla ha potuto fino agli anni ’70, pur sempre in senso figurato: non vorrei destare alcun animo assopito con una pura illusione. Decennio che ha visto nascere uno dei board games destinato ad essere tra i più famosi, se non il più famoso in assoluto: Dungeons & Dragons. Già nel nome possiamo farci coccolare dai nostri più beati sogni di epicità e, molti all’epoca lo capirono. Andando avanti con gli anni, il gioco da tavolo ha fatto strada, si è aggiornato, così come si aggiornava di pari passo l’utenza, mantenendo inalterata e pura, solo l’immaginazione che serviva per intraprendere delle avventure. Proprio quelle avventure che Pathfinder Kingmaker Definitive Edition vuole darci.

Quest’oggi D&D (abbreviazione diventata anche simbolo del gioco) può vantare migliaia di giocatori, centinaia di libri diversi, infinite avventure da portare a termine con i nostri amici e, ciò su cui ci soffermeremo, un numero piuttosto ampio di trasposizioni videoludiche, andando così a creare una specie di scambio di utenza tra il classico gioco su carta ed il nuovo digitale concretizzando, in questo modo, l’enorme aumento della cerchia di giocatori che ne giovano. Negli ultimi anni, i videogiochi hanno preso davvero piede: Baldur’s Gate, Neverwinter Nights, Planescape Torment solo per citarne alcuni storici e famosi, fino a quelli più recenti e meritevoli come la serie Divinity o Pillars of Eternity. Tutti questi giochi sono più o meno basati sull’enorme regolamento di D&D e, possiamo dire, più o meno aggiornato. Gli sviluppatori scelgono quanto “appoggiarsi” al manuale, per poi creare tutte le sfaccettature all’interno di un mondo che vive ormai da decenni. Tra le tante modifiche fatte al gioco da tavolo, Pathfinder (così chiamata la “digressione” da D&D) ne costituisce una e, Deep Silver assieme allo studio di sviluppo russo Owlcat Games, hanno realizzato una discreta opera di rilettura che non ha molto da invidiare a produzioni più di successo, arrivata per di più su console. Terminiamo subito questa introduzione per gettarci nell’avventura proposta dal team russo.

Pathfinder Kingmaker Definitive Edition: la virtualizzazione del gioco di ruolo

Partiamo con l’analisi propedeutica del titolo riferendoci, prima, al gioco da tavolo Pathfinder, appunto. C’è da dire anzitutto che io non sono un esperto totale del regolamento e, per quanto abbia giocato personalmente a D&D (e anche Pathfinder), conoscere a menadito tutto il manuale è un’operazione che meglio riesce ai più devoti alla causa. Fatto sta che, chi soltanto abbia mai provato con qualche amico a cimentarsi nel metter su una campagna e, con essa, tutti i (pressoché enormi) preparativi per l’inizio dell’avventura, capirà ciò di cui sto parlando in maniera più fluida. Tenterò comunque, in vece di chi dovrebbe raccontare, sciogliere i dubbi e analizzare ciò che ha giocato per un pubblico, di semplificare il più possibile tutti i concetti e, punto fondamentale, di non rivolgere l’intera analisi sull’originale cartaceo. Fatta questa premessa, possiamo per davvero addentrarci nel fulcro del discorso.

In primis, la lore che costituisce il mondo di Pathfinder Kingmaker è la stessa (e intera) lore che avvolge tutto l’immaginario dentro l’omonimo gioco da tavolo. Quindi, per chi ci ha già messo le mani sopra, nel cartaceo, riconoscerà nomi, regioni, divinità e tutto quello che ne concerne. In generale, il mondo è (per forza di cose) ben sfaccettato, ricco di storie e personaggi da scoprire, così come luoghi, oggetti magici e via discorrendo. Sotto questo aspetto, la Owlcat Games ha ricostruito, non con poca minuziosità, il mondo di Pathfinder. Da ciò, deriva l’imponente mole di classi disponibili (aumentate anche grazie ai contenuti aggiuntivi disponibili): difatti sono ben 16 classi (di cui una tramite DLC) e per ciascuna di esse sono disponibili 3 archetipi, i quali consentono di creare personaggi ancora più dettagliati.

Sotto questo aspetto, lo studio russo ha davvero voluto alzare molto l’asticella e, così facendo, moltissimi fan sicuramente avranno speso anche ore per decidere il proprio personaggio, soprattutto chi già è immerso in un mondo di questo tipo. Il connubio di razza e classe scelta determinerà le statistiche del nostro personaggio principale e, conseguentemente, le abilità ed eventualmente incantesimi che esso avrà. Inoltre, sarà possibile ad ogni livello del personaggio, scegliere anche altre classi in cui farlo specializzare, creando così degli ibridi (ad esempio parte come Guerriero e possiamo poi scegliere di alternarlo con un livello da Mago e così via). Da menzionare la possibilità di poter scegliere l’allineamento del nostro personaggio, il quale però infine non risulterà essere poi così determinante.

Una storia e tante storie

Si parte quindi con l’avventura e, già nei primi minuti, le nostre scelte influenzeranno i nostri futuri compagni di party. Un folto gruppo di Pathfinders (così vengono chiamati coloro che vagano per le Stolen Lands e passano per cercatori di tesori, mercenari e tutto ciò che, principalmente, viaggia) viene chiamato a corte, una delle tante delle Stolen Lands, e tra questi ci sarà proprio il nostro personaggio. L’obiettivo, spiegato durante il discorso dei primi minuti di gioco, è semplice: eliminare il gruppo di banditi in una regione per poi prenderne il controllo. Poco dopo ci si ritroverà già di testa nel combattimento e qui, un’altra chicca si fa avanti. Pathfinder Kingmaker Definitive Edition riporta, senza grosse modifiche, il tipico setting isometrico (alla Pillars of Eternity, Baldur’s Gate, Divinity e così via) ma con una particolarità nel combattimento: potremo cambiare, in tempo reale, una modalità di combattimento a turni, tipica della versione cartacea, in combattimento dinamico e viceversa grazie alla pressione di un solo tasto. Durante la versione “dinamica”, ci sarà possibile mettere in pausa il gioco per poter effettuare decisioni in merito alle abilità da scegliere, oggetti, nemici su cui concentrarci e così via. C’è da dire però che, durante il cambio dallo stato dinamico a quello a turni (con tanto di tiro di Iniziativa), la nostra squadra perderà automaticamente un turno. Tutto sommato, risulta una buona aggiunta nel momento in cui si combattono nemici minori, dove il lento combattimento a turni risulta essere pesante se usato contro nemici di poco conto. Facendo qualche passo indietro, l’avventura principale del titolo (non terminata da me per l’estrema lunghezza) tiene abbastanza incollati, mentre le missioni secondarie, almeno quelle trovate dal sottoscritto, non sempre garantiscono un ritorno (sia di emozioni che di bottino) fedele. C’è da dire però che l’esplorazione degli ambienti premia e non poco. Ci si ritrova spesso con molti oggetti rari e potenti dopo aver girato per un po’ in qualche palazzo abbandonato, caverna, tane di Coboldi o altro ancora.

I vari personaggi di contorno (i quali hanno punteggi di caratteristica predefiniti e classi predefinite) hanno la loro ben definita personalità, dove alcuni di questi risultano essere degli stereotipi fondati principalmente sulla loro classe (il Barbaro è solo un barbaro, dopotutto), altri invece escono dai canoni per diversificarsi e non nascondo che alcuni di essi mi hanno piacevolmente sorpreso. Ve ne sono di tutti i tipi e sono davvero numerosi, sicuramente molti giocatori troveranno quel che cercano, potendo poi portare un massimo di cinque personaggi, oltre al proprio, nel party. Finita l’introduzione con tanto di tutorial principale, finalmente il titolo ci mette difronte alla possibilità del viaggio. Chiunque abbia mai giocato a D&D, Pathfinder o qualunque altra versione del gioco di ruolo su carta, sa benissimo che il viaggio, lo spostamento da parte a parte, è importante allo stesso modo di un dungeon. Pathfinder Kingmaker – Definitive Edition riprende benissimo quel concetto e meccanica, senza sfociare nell’hardcore e rendendolo piacevole. Ci si sposta, passano i giorni, i personaggi si affaticano e bisogna riposare. Il riposo comprende una meccanica di gestione del party, ove ci permette di scegliere chi cucinerà un pasto (esistono ricette diverse, con effetti durativi diversi), chi andrà a caccia, chi farà i turni di guardia e così via. Ovviamente, le possibilità di riuscita in ciascuna di queste attività dipendono dalle caratteristiche di ciascun personaggio presente in squadra.

La missione principale (una prima parte, perlomeno) è scandita dal passare del tempo: avremo 90 giorni per terminarla. Passato quel tempo, sarà game over automaticamente. Gli indizi sono molteplici, non è difficile arrivare al punto in cui non ci verrà richiesto di correre da parte a parte alla ricerca di cose da fare. A proposito di difficoltà, Pathfinder Kingmaker dà l’enorme possibilità di cambiare, sotto qualunque aspetto vi venga in mente, la difficoltà. Dai combattimenti, ai danni, agli incontri. Definirlo con precisione è davvero difficile, vista la mole di caratteristiche. L’avventura inizia facendoci scegliere tra difficoltà ben definite, ma nessuno vieta di aprire una “pagina bianca” e modificare a proprio piacimento qualunque punto. È si una cosa già vista e proposta in titoli simili, ma la quantità di opzioni supera di gran lunga quella di qualunque titolo recente (da tenere a mente che, all’uscita del gioco, molti utenti lamentavano l’estrema difficoltà iniziale; probabilmente numerosi cambiamenti sono avvenuti dall’uscita su PC fino a quella per console). Per concludere il “micro-cosmo” del titolo targato Owlcat Games, toccherò un punto davvero sudato: l’inventario.

In un gioco di questo tipo, l’inventario è davvero qualcosa di centrale e, Pathfinder Kingmaker Definitive Edition pecca non poco a riguardo. Se vogliamo spezzare una lancia a favore prima di un amaro ritorno di fiamma, il gioco è su console, richiedendo l’uso di un pad (cosa che fa risultare tutta l’esperienza piuttosto scomoda per una serie di motivi minori, come puntare, selezionare, aprire i vari menu). Già qui troviamo forse la metà dei problemi generici dell’interfaccia, così come ad esempio equipaggiare un oggetto sulla barra di azione di un personaggio, richiede una combinazione di pulsanti e schede di passaggio che nemmeno scalfiscono la sezione della “perfezione”.  Questi sono poi aggravati dal resto. Il “resto” è ben più spezzettato. Le immagini degli oggetti nell’inventario sono molto, molto simili tra loro (le Pozioni di Cura Ferite Leggere sono pressoché identiche a quelle di Cura Ferite Moderate, tanto per fare un esempio) e, dover necessariamente passare il puntatore per definirle, risulta molto frustrante, essendo la velocità del puntatore non modificabile e lento di per sé. Inoltre, molti oggetti non vengono impilati, avendo così oggetti uguali sparsi per tutto l’inventario. Cosa invece che potrebbe essere da un lato un buon dettaglio e dall’altro una grossa svista: gli oggetti chiave (non riconoscibili da altri oggetti comuni se non da una leggerissima e sfumata doratura nel riquadro) possono tranquillamente essere venduti. Personalmente mi è capitato di vendere qualcosa per errore nella foga di voler chiudere quell’inventario e ricavare qualche moneta per del nuovo equipaggiamento, per poi ricomprarlo a caro prezzo. Così come sento di dover raccontare brevemente di una missione e di un anello. Il semplice obiettivo era di riportare il fatidico anello ad una donna. Avevo venduto l’oggetto prezioso prima ancora di accettare la missione e diciamo pure che fin qui è tutto nella norma (in realtà c’è davvero da capire se la possibilità sia stata voluta o meno dagli sviluppatori, ma propendo per un sì). Ho dovuto ricomprare l’anello e, indovinate un po’ chi era il commerciante? Nientemeno che suo marito. Chiudendo tale risvolto non proprio epico e tantomeno eroico, Pathfinder Kingmaker offre ancora qualcosa che esamineremo durante il resto della recensione.

Da Pathfinder a Barone in un attimo

È qui che personalmente credo che la Owlcat Games abbia lavorato duramente per dare qualcosa di differente. Passata la parte di storia principale menzionata sopra, il gioco apre un enorme porta ai giocatori. Esattamente, dopo aver eliminato il capo dei banditi, Stag Lord (e non prima di aver in realtà concluso un’altra missione importante), vi riceverà la stessa donna, di nome Jamandi, che ha parlato all’inizio. Stavolta però, non si tratta di mandarvi in missione, ma di darvi quanto promesso: la terra dell’ex capo dei banditi. Tale terra si propone di essere, oltre che la futura residenza e punto di governo del nostro personaggio, anche una regione che fa da cuscinetto tra altre terre, per questioni e fini che verranno enunciati solo dopo.

Come detto poco sopra, ciò che vi si parerà davanti è il motore dell’avventura da quel punto in poi, senza contare che, il vostro personaggio, rimane comunque un viaggiatore. Quindi il gameplay non solo varia ma si amplia: sarete barone e Pathfinder, il quale col proprio party, viaggia per scoprire i segreti delle Stolen Lands e oltre. Cosa comporta, però, esser barone? Principalmente, il sunto dello stato e benessere del nostro regno è costituito da dieci caratteristiche chiave, dal numero della popolazione, alla forza militare, alla religione, alla cultura e così via. Tali statistiche saranno influenzate dalle nostre scelte nei confronti del regno e, ovviamente, dalla costruzione di edifici, servizi e altro. Tutto va discusso col proprio consigliere, il quale altro non è che un membro del party scelto da voi. Attenzione però, se doveste andare troppo oltre con le idee, il vostro consigliere personale potrebbe anche andare via e ciò non gioverebbe alla vostra figura da barone tra il popolo.

In generale, questa nuova meccanica si basa sui BP (Building Points). Tali punti, guadagnati settimanalmente, sono quelli che serviranno per, appunto, costruire. Inoltre, potrete comunicare con gli altri baroni del reame, scambiare informazioni, guerreggiare o addirittura scegliere da che parte stare in caso di conflitto tra terzi. Tale meccanica può esser stata già vista, con sfaccettature diverse, in Pillars of Eternity ma vi assicuro che in Pathfinder Kingmaker, la cosa è ben più vasta e, oserei dire, più esaltante.

Pathfinder Kingmaker Definitive Edition: non è tutto oro quel che luccica

Qui è dove ci fermeremo con la recensione, non prima però di aver dato la giusta importanza al comparto tecnico e sonoro del titolo. In entrambi i casi, le pecche non mancano, così come i punti forti seppur mi ritrovo con una bilancia che tende nettamente da un lato, purtroppo. Partiamo dal lato prettamente visivo. Il gioco è stato costruito su Unity e, sorprendentemente, il titolo ne esce visivamente ben fatto. Le texture e le ombre dinamiche risultano di buona qualità, soprattutto quest’ultime quando ci si trova in una caverna con delle torce sparse, con in più degli effetti particellari (magie o abilità) nella norma, mentre i vari siti spesso risultano simili tra loro (cambiano da regione a regione spesso, ma sono pochi assets e, quindi, facilmente riconoscibili) seppur vantando una buona scelta di palette di colori.

Ma, c’è un grande “ma”. Per quanto apprezzabile nel suo insieme artistico, non è eccelso e, per questo, risulta davvero strano avere dei cali di frame piuttosto evidenti. In alcuni punti (generalmente luoghi più grandi della media), nemmeno così pochi a dir la verità, il gioco sembra aggirarsi attorno ai 15 frame al secondo, con in più un freezing dello schermo ogni qualvolta che si apre il menù. Ciò risulta davvero pesante da buttar giù, senza aver ancora messo sul piatto qualche glitch (fortunatamente abbastanza dimenticabili) e un crash del titolo durante un caricamento. Menziono che il tutto è stato fatto girare su una PlayStation 4. Infine, la colonna sonora del titolo dovrebbe non accompagnare ma addirittura esser parte quasi centrale delle gesta, eroiche o meno, nel corso dell’avventura. Qualcosa di epico che viene accompagnato da una musica epica, no? Ebbene no, non va proprio così in Pathfinder Kingmaker Definitive Edition. Difatti, l’unica parte che più mi ha distrattamente preso della colonna sonora, era proprio il caricamento. Dopo quello, molto poco si fa ascoltare con piacere e senza sforzi, il resto è piuttosto dimenticabile. È puro e semplice accompagnamento: non è parte integrante dell’avventura, per così dire.

Deep Silver e Owlcat Games hanno voluto metter piede nel mondo di D&D e Pathfinder, tanto amato da numerosi fan grandi e piccoli, con un titolo che non può esser certo definito una perla del genere ma, d’altro canto, nemmeno una mal riuscita impresa. Pathfinder Kingmaker Definitive Edition entra quatto quatto tra le produzioni, ormai colossali, senza però spiccare. Una serie di problemi che spaziano quasi in ogni punto dell’opera come quest secondarie di poco conto, frame rate ballerino e un inventario e conseguente gestione di esso davvero pessimi, fanno ombra su quello che sarebbe potuto essere un titolo alla pari di altri, visti anche i numerosi punti di forza.

C’è da dire che l’approdo del titolo targato Owlcat Games su PlayStation 4 potrebbe essere una nuova prova, visto che dalla sua originale uscita su PC, tempo ne è passato e aggiornamenti sono stati fatti e purtroppo, l’accoglienza non proprio calorosa del 2018 ha fatto si di tener lontane molte persone dall’esperienza che offre. Ora il team ha la possibilità di rifarsi, contando che è praticamente quasi l’unica produzione del genere ad arrivare su console, il che è un passo piuttosto importante. Importante perché, con un titolo che si addentra piuttosto in profondità nel bellissimo mondo del gioco di ruolo su carta di Pathfinder, potrebbe portare il pubblico di quest’ultimo ad ampliarsi ulteriormente o, perlomeno, a far conoscere questo universo pieno di possibilità dettate e “limitate” solo dalla pura immaginazione.

All'età di sei anni, Fabio ha potuto mettere le mani su quella che sarebbe diventata, in estremamente poco tempo, la sua passione più grande: il videogioco. Dalla prima Playstation, vagando tra le terre simil-burtoniane di MediEvil fino a Crash Bandicoot e Tombi arriva, nel suo percorso di videogiocatore, a farsi appassionare da una moltitudine di generi e a crescere con loro, facendoli diventare parte integrante della sua vita e riconoscendo nel videogame una nuova forma di pura arte, oltre che di intrattenimento. Da quel momento, i suoi interessi mettono radici anche altrove, arrivando alla Settima Arte e alla musica, il gioco di ruolo e la lettura e tutto ciò che permette di sentire e immaginare mondi che ci sembrano, o sono effettivamente, lontani dalle nostre realtà.