Col debutto di Xbox Series X e PS5 le generazioni di console avvicendatesi sulla ribalta videoludica diventeranno ben nove. Ad eccezione della prima, rappresentata da progetti pressoché sperimentali come il Magnavox Odyssey e l’Home Pong Atari, ognuna di esse si è risolta nell’economia di un acceso conflitto a distanza tra i brand coinvolti, cui i rispettivi supporter hanno sempre conferito romantiche sfumature ideologiche.
Ribattezzato col nome di Console War ai tempi dell’accesa sfida tra Sega Mega Drive e Super Nintendo, detto fenomeno registrò la sua prima, eclatante manifestazione all’inizio degli anni ottanta, quando la solitaria leadership vantata sul mercato dall’Atari 2600 (1977) venne messa idealmente in discussione dal lancio di due ambiziosi competitor: l’Intellivision Mattel (1979 / 1980) e il ColecoVision (1982).
La prima guerra dei Pixel
Quella che sarebbe passata agli annali come la Prima Console War di tutti i tempi partiva da presupposti molto diversi da quelli che caratterizzarono le future battaglie: non essendoci stati precedenti e persistendo una certa ignoranza di fondo nei riguardi di questa nascente branca dell’intrattenimento, il pubblico dell’epoca vi si ritrovò coinvolto quasi inconsapevolmente: abituato com’era agli standard mutlibrand propri dei settori TV Color e Hi-Fi, mai avrebbe immaginato che prediligere una marca piuttosto che un’altra potesse maturare differenze sensibili sull’esperienza di gioco, né tanto meno precludere l’accesso a determinate produzioni di carattere esclusivo.
Almeno in principio, si può dunque affermare che la guerra si combattè più negli uffici di ricerca e sviluppo delle aziende interessate che all’interno dei negozi specializzati. I videogiocatori sarebbero in tal senso scesi in campo solo in un secondo momento e cioè quando i mezzi di comunicazione più diffusi dell’epoca, quali spot televisivi, promozione pubblicitaria e riviste specializzate iniziarono, se non a far maggior chiarezza sull’entità delle forze in campo, quanto meno a veicolare l’attenzione delle masse verso questa o quella proposta.
Di fatto, quando i gamer furono pronti a prendere una posizione effettiva nella schermaglia gli esiti della stessa, almeno a livello di numeri, erano già scontati. Beneficiando di circa 2 anni di vantaggio sulle rivali, buona parte dei quali vissuti in assenza di oppositori davvero credibili, Atari poteva contare già su una base istallata di unità pari a svariati milioni di pezzi worldwide… Il che faceva della sua console ammiraglia una sorta di inattaccabile leviatano in grado di monopolizzare l’interesse di publisher e sviluppatori a prescindere dal gap tecnico che lo separava dai suoi antagonisti.
Come accaduto anche negli anni a venire, si pensi ad esempio alla Console War che vide la Playstation sbaragliare N64 e Dreamcast pur non essendo la macchina più potente del lotto, le limitazioni tecniche dell’Atari 2600 non costituirono mai un ostacolo al suo dominio. E poco importa se, col passare del tempo, una fetta sempre crescente di utenti cominciasse a notare le differenze qualitative caratterizzanti i titoli multipiattaforma. La macchina di Nolan Bushnell sarebbe sempre rimasta al vertice della catena alimentare, con l’Intellivision determinato a recuperare prezioso terreno a suon di prestazioni da antologia e il ColecoVision maggiormente interessato a sedurre una più stretta cerchia di utenti “hardcore” attraverso prodigiose conversioni da Coin-Op.
Il fronte italiano
Essendo sostanzialmente relegata ai margini del circuito mediatico l’Italia e, di conseguenza, buona parte del pubblico di riferimento, non interpretò la sfida tra Atari 2600, Intellivision e ColecoVision al pari di una reale Console War: analogamente a quanto accade tutt’oggi in alcune frange della platea casual, molti giocatori dell’epoca si limitavano difatti a inquadrare le macchine in questione come il “videogioco” o l’ “apparecchio” senza prestare troppa attenzione ai brand o alle differenze vigenti tra i cataloghi software a rispettiva disposizione.
In controtendenza con il flusso di mercato internazionale, il Bel Paese parve in ogni caso prediligere l’Intellivision, riservando attenzione relativamente minore all’Atari 2600 e interesse ancor più scarso alla proposta ColecoVision. Quale riflesso diretto del succitato contesto, questa “scelta” non era in ogni caso da ricondursi a precise valutazioni, bensì alla maggiore influenza commerciale esercitata dalla Mattel che, grazie al successo riscosso da prodotti come Barbie e Masters of the Universe, trovava entro i nostri confini uno dei bacini d’utenza più redditizi del’intero panorama europeo.
Con questo non intendiamo chiaramente sminuire il comunque sostanzioso bottino di unità hardware piazzate lungo lo stivale da Atari, ma solo definire meglio le ragioni per cui molti compatrioti fanno oggi riferimento all’Intellivision come la prima, indimenticabile console mai acquistata. Dispiace, d’altro canto, vedere il ColecoVision rivestire un ruolo men che secondario nell’economia della bagarre, ma alla luce dei modesti investimenti profusi dalla stessa Coleco nel suo soggiorno italiano sarebbe stato probabilmente ingiusto chiedere di più.
Il “Big Crunch” ci mette lo zampino
A prescindere dalle sfumature socio-commerciali di casa nostra, la Prima Console War della storia sarebbe in ogni caso passata agli annali anche per le singolari congiunture economiche che ne segnarono radicalmente gli sviluppi a partire dal 1983. Come facile prevedere, il famigerato Big Crunch che sconvolse l’industria dei videogame durante quella fatale annata non mancò infatti di maturare conseguenze significative sugli equilibri della contesa. Benché si sia discusso molto sull’eventuale esito che questa avrebbe potuto maturare in assenza di un tale shock produttivo, il nostro parere è che né Mattel, né tanto meno Coleco vantassero comunque delle reali chance di insediarsi ai vertici del mercato.
A conferma dello strapotere esercitato da Atari su quest’ultimo potremmo tirare in ballo le cifre inerenti alle unità hardware piazzate dall’azienda in tutto il mondo al momento del fattaccio, ma sarà paradossalmente più emblematico rimarcare l’entità dei danni riportati dalla major fondata da Nolan Bushell. Tecnicamente parlando, solo una compagnia tanto potente da rappresentare almeno il 70% del settore avrebbe potuto riportare danni così ingenti dal rispettivo breakdown.
Si è in tal senso tentati di affermare che, qualora il mercato avesse risposto positivamente agli spregiudicati investimenti profusi da Atari nella sua chimerica corsa al dominio assoluto, la rispettiva leadership non avrebbe potuto far altro che consolidarsi.
Al contrario di quanto si possa ipotizzare, Coleco e Mattel non trassero alcun beneficio tangibile dall’implosione di Atari e di certo non furono in grado di arginare la parallela ascesa dei Personal Computer quali macchine da gioco, né l’arrivo delle prime console made in Japan.
Da qui, la lenta ed inesorabile agonia di un conflitto destinato a fare Storia non solo perché inquadrabile come il primo del suo genere, ma anche e soprattutto per lo scenario che ne scaturì. Ridotto in rovina dalla dissennata corsa agli armamenti dell’unica, reale Super Potenza impegnata nella bagarre, il mondo dei videogame dovette infatti apparire ai posteri quale una sorta di Ground Zero su cui ricostruire un futuro, cercando magari di far tesoro degli errori commessi.
A guidare la rinascita, almeno per quanto concerne la sfera console, ci avrebbero pensato i giapponesi – Nintendo e Sega in prima linea – varando quella novella e più matura Età dell’Oro destinata a ridefinire per sempre i connotati dell’universo videoludico. Un universo in continua espansione, che la Prima Console War di tutti i tempi avrebbe segnato per sempre.