Prima di Lara: il Girl Power ai tempi dei Pixel

Per tanti, troppi anni, la prima immagine che saltava alla mente ogni qualvolta si pensasse al ruolo della donna nel contesto videoludico era quella dell’indifesa dama in periglio: una figura retorica dal sapore stilnovista che, investendo l’utente di oneri cavallereschi sì desueti, ma assai pratici sotto il profilo del setting, etichettava sostanzialmente il videogame come roba da maschi.

Alle spalle delle più celebri icone di passività quali la pixellosa Pauline di Donkey Kong (1981) e la celeberrima Peach di Super Mario, già all’inizio degli anni’80 andava tuttavia sorgendo un promettente movimento di emancipazione destinato un giorno a ribaltare le carte in tavola. 

Il processo che avrebbe permesso all’eroina virtuale di reclamare il posto che gli spettava non sarebbe stato di certo breve, né semplice, né tanto meno scevro di eventuali contraddizioni ed è forse anche per questo motivo che vale davvero la pena tracciarne lo sviluppo…

La Prima Donna

L’equivoco secondo cui i videogame costituissero un medium a prevalente appannaggio dei maschietti vantava innanzitutto radici logistiche: ai tempi in cui i primi coin-op iniziarono ad affiancare flipper e biliardi, le ragazze non erano in effetti solite frequentare il bar del quartiere o la fumosa sala giochi all’angolo. Ad ostacolare un approccio già di per sé complesso, subentrava poi la natura stessa dei prodotti proposti i quali, a partire da Space Invaders (1978), passando per Asteroids (1979), fino a giungere a Centipede (1980), non proponevano certo un modello ludico accattivante per le ragazze dell’epoca.

Non appena il sommo Pac-Man (1980) fece capolino all’orizzonte col suo adorabile character design e tutti quegli asset colorati ad arricchirne gli scenari, le cose sarebbero tuttavia mutate rapidamente: di colpo, l’altra metà del cielo iniziò a provare una certa curiosità nei confronti del medium, creando in breve tempo le condizioni ideali per il debutto della prima, vera eroina videoludica.

Superficialmente ritenuta da molti alla stregua di una semplice variante rosa del codice originale, ma rivalutata con gli interessi nell’ottica del senno di poi, Ms. Pac-Man ebbe in tal senso il merito di porre la questione e delineare, al contempo, uno scenario in cui individui di ambo i sessi avrebbero potuto trovare nei videogame un punto d’incontro, piuttosto che un ulteriore dividendo.

Pur andando a costituire un precedente di rilevanza assoluta, la sua affermazione non avrebbe comunque rappresentato altro che il primo passo di un cammino molto più irto di quanto ci si aspettasse

Regressione Post-Crunch

Archiviato il destabilizzante crack economico del 1983 e assorbiti rapidamente gli ideali “machisti” che andavano caratterizzando la società di metà decennio, la rediviva industria dei videogame sarebbe tornata ben presto ad individuare nella platea maschile il proprio target di riferimento.

Dall’ideale promessa di un futuro prossimo ravvivato da dieci, cento, mille Ms. Pac-Man, la donna videoludica rischiò pertanto di restare nuovamente impantanata nel remissivo ruolo di “trofeo” assunto, nel frattempo, da novelle vittime in cerca di paladino come la pixellosa Sylvia di Kung Fu Master (1984), la dolce Prin Prin di Ghosts ‘n Goblins (1985) o le povere Marian e Marina rispettivamente viste in Double Dragon (1987) e Barbarian (1987).

A stemperare gli effetti di un’inversione di marcia preoccupante vi furono senz’altro delle piacevoli eccezioni, prima fra tutte l’agguerrita Thyra di Gauntlet (1985), la splendida Sodana di Sword of Sodan (1988) e l’altrettanto avvenente Tyris Flare di Golden Axe (1989)… Seppur ridotta in perizoma e immortalata dalla prorompete Maria Whittaker sulla copertina del gioco, la stessa Marina di cui sopra avrebbe poi assunto un ruolo decisamente più attivo in quel di Barbarian II: The Dungeon of Drax (1988). Eppure, nessuna di esse riuscì ad appropriarsi di un vero leading role, né tantomeno a sfuggire ai controversi cliché estetici legati alla tradizione Heroic-Fantasy.

A conti fatti, l’unica donzella in grado di reggere il peso di un’intera produzione action fu dunque la sola Samus Aran di Metroid (1986), la cui rivalsa tradì comunque connotati da vittoria di Pirro… Imprigionata nella sua ingombrante armatura da combattimento, l’identità sessuale dell’eroina ideata da Gunpei Yokoi sarebbe d’altronde rimasta tanto celata da suonare come l’implicita conferma del fatto che, per ambire ad una ribalta esclusiva, la donna videoludica dovesse sostanzialmente sembrare un uomo

In attesa di tempi più propizi, le più convincenti icone di attiva femminilità emerse dagli eighties saltarono pertanto fuori dalla morbidosa scena dei Platform, con The Great Giana Sisters (1987) in prima linea, e quindi dalla più sofisticata galassia dei Punta & Clicca, dove la mitica Rosella di King’s Quest IV (1988) prima e l’avvenente Laura Bow di The Colonel’s Bequest (1989) poi ottennero ruoli di primo piano senza essere per questo costrette ad indossare scafandri…

Segnali di riscossa

Con l’arrivo degli anni ’90 e la conseguente esplosione dei picchiaduro a incontri, il pubblico poté accogliere una nuova progenie di eroine virtuali che, pur occupando posizioni di contorno nelle relative produzioni, andarono ad incrociare i pugni con alcuni tra i più formidabili guerrieri del silicio.

Idealmente capitanata dalla pimpante Chun-Li vista in Street Fighter II (1991), detta corrente trovò un numero pressoché indefinito di testimonial, alcune delle quali – la Mai Shiranui di Fatal Fury 2 in primis – sarebbero però balzate all’onore delle cronache più in virtù della propria esuberanza erotica che per la capacità di contribuire al processo di emancipazione femminile.

Molto più incisive si rivelarono in tal senso ed ancora una volta le rappresentanti della new wave degli adventure: a partire dal tenace Governatore Elaine Marley di Monkey Island passando per Maureen “Co” Corley di Full Throttle e Maggie Robbins di The Dig, esse esportarono difatti un modello assai intrigante di eroina videoludica in cui acume, sarcasmo e indipendenza si sostituivano a striduli ammiccamenti e scollature fin troppo generose.

Agevolata da questi preziosi contributi e da paralleli fenomeni culturali sopraggiunti intorno alla metà del decennio come l’esplosione della Girl Power Phylosophy legata al successo di film come Thelma & Louise e nuove star della musica quali le Spice Girls, la rivoluzione rosa si sarebbe in ogni caso completata nel solo nel 1996, anno in cui il mondo dei videogame venne letteralmente stravolto dal debutto dell’archeologa destinata a diventarne la sua indiscussa regina…

Una nuova Era

Sebbene Tomb Raider non potesse vantare il merito di aver sdoganato il modello di eroina videoludica, è francamente innegabile che l’arrivo di Lara Croft abbia incarnato la vera svolta negli equilibri concettuali dell’industria. Il successo registrato dalla prorompente eroina della Core Design fu in effetti tale da ridefinire irreversibilmente i canoni della femminilità videoludica.

Liberatasi probabilmente per sempre dalle briglie di un pregiudizio che la vedeva confinata quasi sempre al ruolo di comprimaria se non addirittura a quello di “ricompensa”, la donna virtuale era ora pronta per spiccare il volo e poco importa se persino di fronte all’incontestabile ribaltamento dei fronti ci fu chi tentò di ridurla soltanto ad un “giocattolone sexy per il gamer maschio”: il tabù poteva dirsi finalmente sfatato. Come qualcuno non mancherà di sottolineare, l’affermazione di Miss Croft, con annessa progenie di emulatrici più o meno fortunate non avrà liberato ancora il mondo dei videogame da sessismo o maschilismo e Dio solo sa quando potremmo davvero parlare delle starlette tutte poppe come reperti di un’era tramontata…

Ciò nonostante, gli ultimi quindici anni di gaming hanno visto la donna videludica trasformarsi in una figura sempre più complessa e intraprendente, sensuale quando vuole e non perché “deve” e soprattutto consapevole della propria forza al di là di ogni eventuale cliché: un traguardo notevole, se si pensa a come andassero le cose negli eighties, che sottintende la promessa di un futuro ancor più stimolante.

Nato e cresciuto sulle pagine di Game Republic dove ha diretto per generazioni la sezione Time Warp, Gianpaolo Iglio ama il retrogaming e lo considera una seconda vita. O una seconda amante. Ha scritto un libro sulle avventure Sierra e insegna Game Journalism e Storia del Videogame alla VIGAMUS Academy con Metalmark.