Keywe Recensione: due kiwi, tanto non-sense

keywe recensione

Keywe è forse il primo gioco di cui sto scrivendo la recensione… senza averlo capito. O meglio, sì, l’ho capito fin troppo bene. E non mi è piaciuto proprio per questo: perché ho capito che non c’era niente da capire davvero. Lo so, può sembrare un’introduzione un po’ caotica per una recensione; un articolo che solitamente deve fare chiarezza e aiutarvi a decidere se procedere o meno all’acquisto di un gioco. Il fatto è che Keywe è volutamente troppo insensato, sregolato, privo di logica fin dalle primissime premesse ludiche e… narrative? Parola grossa per un gioco passatempo fatto di task e minigiochi. Ma non è nemmeno questo il problema: il mondo dei videogiochi è pieno zeppo di titoli arcade che non hanno bisogno di spiegazioni per funzionare. Pur essendo fondamentalmente insensati. La falla di Keywe è il suo desiderio di partire con il presupposto che mettendo insieme tante idee singolarmente divertenti, se ne crei una gigantesca che farà ridere quanto la somma dei suoi addendi. Meno si legano l’una all’altra, e meglio è. Ma no, non funziona così. Per niente.

Keywe Recensione

Keywe Recensione, perchè i kiwi? PERCHÈ UNA PIOVRA?

Due Kiwi, uccellini australiani incapaci di volare grandi quanto un pugno, si trovano a gestire lo smistamento di pacchi, posta, telegrammi e via discorrendo in un ufficio postale alquanto caotico. Le tastiere su cui i Kiwi devono scrivere sono spezzate in due, per consentire agli uccellini di scrivere in contemporanea e, teoricamente, accelerare la produzione testuale? Chissà. Almeno potevano usare l’ordine dei tasti QWERTY, ma boh, forse a Kiwilandia non è altrettanto diffuso. E poi… i tasti cambiano di posto, girano e si divincolano? Perché mai? Sono forse posseduti? Non meno di quanto lo sia il nastro trasportatore dei pacchi da smistare ed etichettare, facendo attenzione alle note di spedizione allegate in ciascuna missiva. Avrebbe anche senso, se non fosse che tutto il resto dell’organizzazione nell’ufficio non lo ha. Insomma, zompettando di qua e di là maldestramente e lentamente (tanto lentamente) i Kiwi protagonisti si esibiscono (ci provano) in numeri platform degni di nota. Superano piattaforme girevoli, raggiungono elementi posti oltre la loro irragionevole bassezza (parliamo di statura eh, i Kiwi sono meravigliosamente pucciosi). L’enorme ufficio in cui devono lavorare, quindi, diventa un’ambientazione che alterna puzzle e quest (scrivi questo testo, porta l’etichetta là, apri quello ecc.) a sezioni platform senza soluzione di continuità. Ah già, e insieme ai Kiwi lavora anche una piovra; a volte d’ausilio, a volte di ostacolo ai due protagonisti. Una piovra. Com- asp- cos-, UNA PIOVRA?

Keywe Recensione

Forse ora ho iniziato a rendere l’idea, vero? C’è un limite al non-sense, e soprattutto al non sense “gratuito”, palesemente messo in campo in quanto tale, e non perché obiettivamente divertente in relazione a qualcosa che succede sullo schermo. Come si fa a divertirsi guardando un tale guazzabuglio di idee, elementi di gioco e “narrativi”, situazioni? Il cervello si annoda cercando di conciliare le task attribuite ai Kiwi, le procedure da seguire per riuscire a muoversi più o meno velocemente nell’ufficio. E contemporaneamente, venire a patti con l’insensatezza generale che aleggia ovunque in Keywe. Paradossalmente, poi, proprio mentre si comincia a ingranare, e qualche nodo viene al pettine, l’insensatezza a tutti i costi compie un altro passo falso; e trasforma un elemento di gameplay potenzialmente divertente e capace di variare la pasta nel piatto in un’ulteriore mazzata confusionaria e debilitante. Pensavate di aver capito come funzionano le piattaforme, le tastiere, i pacchi, le missive ecc.? Bene, proprio in quel momento l’ufficio si trasforma; avvolto da una tempesta di sabbia, sferzato da un uragano che allaga tutto. E fin qui, si tratta di agenti atmosferici, magari qualcuno ha lasciato aperta una finestra… no? No. Perché puff! All’improvviso non siete più in un ufficio, ma dentro un castello medievaleggiante infestato da fantasmi e attraversato da rotaie e carrelli da miniera. 

Non posso permettermi, in tutta coscienza, e non nel bel mezzo della recensione di Keywe, di scindere l’elemento “gameplay” da quello “art direction e narrazione ambientale”. Non in un gioco che “si gira” tutto in una stanza, e che fin dal principio fonde inscindibilmente i due comparti in un guazzabuglio caotico. Becca di qui, becca di là (i Kiwi non hanno mani, come pensavate di compiere tutte le vostre magie postali? Esatto), pesta questo e pesta quello, ogni azione diventa meccanica e fine a sé stessa in Keywe, senza una guida logica, un filo conduttore, un qualunque appiglio al quale aggrapparsi per raccapezzarsi e non pensare… “cosa sto facendo qui dentro”?. La domanda, così, resta libera di comparire e scomparire a intervalli regolari nella nostra mente. E per un gioco basato sul nonsense, è la peggior evenienza possibile. Il “senza senso” è il più sottovalutato e fuorviante dei generi mediatici. Nonché, paradossalmente, il più sensato di tutti. Devi costruire e definire un set di regole (insensate o meno), se poi vuoi romperle, e gridare al mondo che ciò che fai non ha senso. E invece lo ha, solo che lo nasconde bene. Keywe non fa niente di tutto questo, e si lancia in voli pindarici, comparse di personaggi casuali dalle finestre dell’ufficio nel tentativo di colorare il pacchetto artistico. Poi, all’improvviso, ti spara il proiettile sentimentale con una missiva particolarmente sentita. Così, a caso. Ma a che pro? 

Co-op da divano

Ah già, quasi me lo dimenticavo. Keywe non è un gioco in single player, bensì, un multiplayer. Si può, a dire il vero, cercare di giocare da soli, controllando entrambi i Kiwi nell’ufficio postale alternativamente. Ma il divertimento di una simile operazione è pari a quello che provereste cercando di guidare due biciclette, entrambe con ruote quadrate, per rendere la sfida più interessante. Ma che sfida è? Vi chiederete. Eh, è una bella domanda. Fatto sta che anche scegliendo di giocare con un altro player casuale online (è possibile farlo) la situazione non migliora. Ricordatevi delle premesse random elencate nei paragrafi precedenti, e capirete immediatamente il perchè. In mancanza di una chat vocale o testuale in game, ogni tentativo di farsi capire dal nostro alleato diventa vano. Ma il problema reale non è la mancanza della feature comunicativa, quanto piuttosto il fatto stesso che ne serva una. Possibile che un platform-puzzle-task game ambientato in una sola stanza ponga i giocatori di fronte a un tanto insormontabile gap comunicativo? Possibile, se le azioni da svolgere e la suddivisione dei compiti non seguono il benché minimo senso logico; e non sono leggibili né di primo acchito (come succede nei giochi più accessibili e chiari), nè con l’esperienza di gioco (come per i videogame più tecnici, tattici o complessi). Che esperienza può mai esserci nel ripetere meccanicamente task senza un ordine preciso, senza un output definito, e prive di senso fin dal principio fondante dell’azione che stiamo compiendo? 

Sarebbe quasi filosofico, un po’ alla Evangelion persino, se non fosse che manca tutta la componente di “non detto” in sottofondo, e non c’è niente più di quello che vediamo e facciamo in Keywe. Ovvero, nulla di esaltante o divertente in senso stretto. Forse, allora, ho pensato ingenuamente che con un compagno “da divano” Keywe potesse diventare più divertente; burlandosi in tempo reale delle vicendevoli deficienze di movimento degli uccellini  protagonisti, delle situazioni che si succedono senza comprenderne il motivo(che abbiamo detto non sussistere). E facendosi forza l’un con l’altro/a chiedendosi come si sia finiti in quel folle ufficio postale sregolato. Ma no, nemmeno con la co-op da divano Keywe diventa divertente, se non per i primi folli istanti in cui si accede ai Kiwi, e li si personalizza con skin sufficientemente varie e caratterizzanti. 

Immediatamente, però, i nodi tornano al pettine, che si stia giocando da soli, in compagnia sul divano di casa, od online. Non solo per la generale mancanza di originalità dei puzzle proposti, o per la spasmodica ricerca di farci sorridere osservando avvenimenti random sullo schermo. Ma per via dei controlli di gioco, e delle dinamiche, dei movimenti richiesti agli indefessi Kiwi dentro un ufficio a loro sempre più ostile. La macchinosità dei movimenti, dei salti, delle beccate, delle beccate e persino della rotazione delle piattaforme da azionare si fa ben presto snervante. Frustrante, perchè costringe a fallire non per la difficoltà dell’azione richiesta al giocatore, ma per un’artificiale lentezza che immerge tutto in collosa melassa ludica. Non aiutano nemmeno i comandi poco responsivi, che rendono i movimenti già non troppo agili dei Kiwi ancor più insostenibili.

In conclusione: confuso e randomico… senza un motivo

Detto così, da questa recensione di Keywe sembrerebbe che del gioco non si salvi niente. E in effetti è così. Nella speranza che gli uffici postali australiani funzionino diversamente da quello di Keywe, vi sconsiglio vivamente di cedere alle tentazioni su cui il gioco fa leva. Quella di provare un gioco co-op da divano in una realtà videoludica che predilige i PVP online, o le “esperienzone” single player iper-morali che ti lasciano a piangere sotto alla doccia per due mesi. Nonché la tentazione di sperimentare la follia che nei trailer di Keywe è perfettamente manifesta, e disordinata tanto quanto lo è poi nel gioco effettivo. Penserete che io sia stato troppo duro. Che abbia iper analizzato un contenuto che non andava ridotto nelle sue parti fondanti per essere goduto con leggerezza; e che abbia forzato la mano parlando di “premesse narrative”, ricerca di senso in un gioco che “un senso non ce l’ha” direbbe Vasco. Il punto è che no, non penso di aver esagerato. Non parlando, in fase di recensione, di Keywe, e di come è stato concepito, realizzato e distribuito. C’è bisogno di giochi leggeri in quest’epoca videoludica. Titoli su cui non concentrarsi troppo, che facciano del divertimento, del gameplay, persino dell’insensatezza, come Keywe voleva fare, il loro fulcro. Ma non bisogna forzare una sensazione libera come il nonsense, la risata che ne scaturisce, il “wtf” come ha fatto Keywe. O si nota, e stona.

Piattaforme: PC, Mac OS, Nintendo Switch, PS4, PS5, Xbox One, Xbox Series X|S

Sviluppatore: Stonewheat & Sons

Pubisher: Sold-Out Software

Un’accozzaglia di non-sense non diventa divertente solo perché nulla ha senso; e due kiwi che gestiscono un ufficio postale in compagnia di una Piovra, scrivendo messaggi a volte semplicissimi, a volte strappalacrime non sono un’idea visionaria per il solo fatto che nessuno ci aveva mai pensato prima. Forse, invece, se nessuno lo aveva mai fatto una ragione c’era. Esistono diversi modi di portare il giocatore sull’orlo della follia, facendolo poi tornare indietro sano e salvo una volta chiuso il gioco, al sicuro fra le braccia delle regole del mondo reale. Keywe, però, è un viaggio, un trip mentale non richiesto, ferruginoso e che non lascia nulla se non il senso di aver perso del tempo. Peccato, perché l’art direction è deliziosa, e ogni seasonal-event che accade nell’ufficio è squisitamente rappresentata… visivamente. Più che un buon gioco, Keywe darebbe il meglio di sé come screensaver animato; una palla di vetro con dentro due Kiwi che si agitano cercando di restare in piedi, mentre una piovra li ostacola, poi li aiuta, poi li ostacola di nuovo. Con neve, sabbia, acqua, una finestra che si apre sul cielo e… vabbè, penso abbiate capito.

VOTO: 5.4

Vive in simbiosi con la sua Switch, segnato da un'infanzia vissuta solo sulle console Nintendo portatili. Persino la sua prima console Sony è stata la portatile PSP, il che è tutto dire. Monta video da quando erano ancora di moda gli AMV su Dragon Ball, e si usava Movie Maker pensando di essere i nuovi Spielberg. Malato di giochi competitivi ed E-sport, ma anche dal lato opposto dello spettro di GDR e Story Driven, pochi titoli si salvano dalle sue spire, e solo perchè ogni tanto deve anche nutrirsi e dormire. Ha scritto questo testo, ma di solito non parla di sè in terza persona. Così, per dire.