Silent Hill: la fosca quadrilogia del Team Silent

Silent Hill

Quando comparve sugli scaffali dei negozi americani, nel gennaio del 1999, Silent Hill catturò immediatamente l’attenzione della comunità videoludica perché offriva un’esperienza parecchio distante da qualunque cosa avessimo visto fino ad allora: invece di affidarsi a brividi a buon mercato e spaventi facili come il suo più vicino concorrente e ispiratore, il primo Resident Evil di Capcom, Silent Hill aveva un ritmo tranquillo, posato, capace di trascinarti in maniera graduale nel suo mondo e nella sua storia. Piuttosto che giocare nei panni di un guerriero esperto e pronto all’azione, il titolo ci calava nei panni di Harry Mason, il classico “uomo qualunque” alla ricerca della figlioletta scomparsa, con scarsissima propensione al combattimento. Certo, era comunque possibile difendersi brandendo un tubo di ferro o una pistola, ma le nostre movenze risultavano intenzionalmente goffe e impacciate, dato che eravamo chiamati ad interpretare un padre single e non un artista marziale o un supereroe, archetipi classici nei quali rientrava la stragrande maggioranza dei protagonisti di videogiochi di allora. Il gioco venne rilasciato in sordina, poiché la stessa Konami non aveva molta fiducia nel progetto, tuttavia fu costretta a ricredersi grazie alla clamorosa accoglienza di critica e pubblico che mostrarono enorme apprezzamento per le atmosfere peculiari ed una trama molto più intensa e profonda del normale, incentrata su tematiche adulte come l’occulto, la tossicodipendenza e gli abusi sui minori. Benché l’inquietudine e l’emotività venissero parzialmente frenati da una traduzione un po’ sghemba e da un doppiaggio quasi amatoriale, Silent Hill era davvero una produzione unica nel suo genere per l’epoca, e venne premiata diventando non un semplice franchise ma un’opera di culto riverita da milioni di persone in tutto il mondo, che dedicano tuttora la propria attenzione a dissezionare la narrativa, i concetti ed i personaggi della serie.

Silent HillPer qualche tempo, Silent Hill venne considerato un autentico fenomeno mediatico, ispirando libri, fumetti e persino due adattamenti cinematografici. Ma, con il trascorrere degli anni, la sua influenza si è affievolita a causa di alcuni capitoli deludenti, dello scioglimento del team che aveva reso unico l’originale, e di una generale noncuranza da parte della holding giapponese, che di fatto ha trattato il brand come una vacca da mungere senza criterio buttando fuori titoli poco ispirati uno dopo l’altro. Quando poi sembrò che la serie stesse finalmente per compiere il degno ritorno che meritava, il progetto venne cancellato da un giorno all’altro a causa di un litigio tra Konami e il designer del nuovo episodio, Hideo Kojima, che forse qualcuno conosce per un certo Metal Gear. Oggi, il ricordo di Silent Hill resta ancora vivido nei cuori e nelle menti degli appassionati e, a seguito di una ristrutturazione dei reparti di sviluppo Konami, sembra proprio che le saghe storiche della compagnia (Castlevania, il già citato Metal Gear e, per l’appunto, Silent Hill) verranno alfine rivisitate grazie al contributo di un certo numero di team esterni: l’avversione della stessa per l’outsourcing è da sempre noto e manifesto, tuttavia i pessimi risultati conseguiti dalle ultime iterazioni sviluppate internamente (su tutte, Metal Gear Survive e Contra: Rogue Corps) hanno convinto la casa fondata da Kagemasa Kōzuki a richiedere il supporto di studi come Virtuos, multinazionale del settore che ha contribuito alla realizzazione di molti blockbuster moderni come Uncharted 4 e Horizon Zero Dawn, e che in molti vorrebbero al lavoro su un nuovo Metal Gear. Poiché anche i progetti che coinvolgono il revival di Silent Hill sembrano essere più di uno, riteniamo che il momento sia più che maturo per tracciare una retrospettiva sul franchise, dai suoi umili esordi fino alla prematura conclusione, partendo da uno sparuto manipolo di programmatori che il management della loro stessa azienda considerava un investimento fallimentare…

Silent HillSilent Hill: la paura del sangue tende a generare paura per la carne

La storia del primo Silent Hill inizia nel 1996, quando Konami maturò il desiderio di creare un gioco d’azione cinematografico in stile hollywoodiano che potesse piacere ai giocatori americani. L’equipe chiamata ad occuparsi di tale progetto era composta da alcuni dipendenti che non avevano ottenuto grandi risultati nelle loro esperienze precedenti, arrivando addirittura a manifestare un certo malcontento nei confronti degli altri dipartimenti di sviluppo che avrebbe potuto sfociare in una sequela di dimissioni volontarie. Stiamo parlando di talenti del calibro di Keiichiro Toyama, Hiroyuki Owaku, Akira Yamaoka e Masahiro Ito, autentici fuoriclasse che, con il senno di poi, semplicemente non riuscivano ad adattarsi allo spirito di gruppo che caratterizzava le divisioni aziendali più strutturate. dunque la speranza era che le loro capacità combinate sarebbero riuscite a confezionare un titolo di successo. Purtroppo, le cose non iniziarono con il piede giusto: quello che in seguito sarebbe divenuto celebre come Team Silent era incerto su come realizzare i desideri dei loro capi e questi ultimi, dopo svariati mesi senza risultati concreti, li lasciarono di fatto a se stessi senza più prestare loro attenzione, convinti che prima o poi avrebbero rinunciato da soli.

Silent Hill Invece, fu la cosa migliore che potesse capitare: senza più i rispettivi manager con il fiato sul collo, il Team Silent era praticamente libero di realizzare qualunque cosa, pertanto decise di scartare l’idea primigenia dell’action game e convogliare gli sforzi verso l’horror psicologico, facendo in modo di manipolare a regola d’arte le emozioni del giocatore. Gli sviluppatori volevano che Silent Hill si distinguesse dalla massa, quindi decisero di andare contro molte convenzioni dell’epoca, a partire dal protagonista determinato ma poco incline all’azione. Come ambientazione venne scelta una cittadina americana fittizia, Silent Hill per l’appunto, battezzata in tal modo perché il nome suscitava una sensazione di tranquillità o di inquietudine, a seconda del punto di vista. L’avventura inizia in maniera abbastanza sobria, con il nostro Harry Mason che arriva in città insieme alla figlioletta Cheryl per trascorrere una breve vacanza. Dopo essere rimasto vittima di un incidente che gli fa perdere i sensi, l’uomo si risveglia senza trovare alcuna traccia della bambina, immerso in una nebbia opprimente che avvolge strade e palazzi apparentemente deserti, eccezion fatta per una folta schiera di creature mostruose ed un manipolo di superstiti più o meno affidabili. Oltre alla scomparsa di Cheryl, dunque, il giocatore sente il bisogno di scavare a fondo nel torbido passato della cittadina e scoprire il mistero che si cela dietro la sua angosciante coltre di bruma.

Silent HillPer accrescere mistero e smarrimento, Harry viene spesso trasportato in una realtà alternativa contorta, oscura e sanguigna chiamata Otherworld, letteralmente “l’altro mondo”, una caricatura grottesca della cittadina e dei suoi ambienti dove solo la risoluzione di una serie di enigmi poteva ricondurci alla realtà. Il prosieguo della storia avrebbe poi lasciato emergere un recondito culto segreto noto come l’Ordine che adorava un’entità demoniaca, e la sua connessione con gli eventi di cui eravamo stati involontari testimoni. Il team di sviluppo ha persino inserito dei finali multipli basati su alcune decisioni fondamentali che Harry avrebbe dovuto prendere nel corso del gioco, aggiungendo non soltanto una considerevole rigiocabilità ma anche un quantitativo sconfinato di discussioni tra i fan in merito a quale fosse il “vero” finale dell’avventura. La questione sarebbe poi stata risolta da Silent Hill 3 nel 2003, ma all’epoca era davvero divertente assistere e partecipare alle varie speculazioni che nascevano su forum e gruppi di discussione. Quando il gioco venne finalmente ultimato all’inizio del 1999, per la prima PlayStation, Konami lo rilasciò in sordina con pochissimo battage pubblicitario. Eppure, con il semplice passaparola riuscì a diventare in breve un trionfo inaspettato, proclamato da molti addirittura migliore di Resident Evil, il già citato survival-horror che fino a quel momento aveva regnato incontrastato. Anche la critica ne fu conquistata, lodando la narrazione enigmatica e complessa ed i peculiari elementi di gameplay. La reazione colse la holding giapponese alla sprovvista, ma gli inconfutabili consensi raccolti in tutto il globo riuscirono a convincerla che il titolo sarebbe potuto diventare un proficuo franchise nel quale investire, tanto che di Silent Hill venne realizzata persino una versione per Game Boy Advance in occasione del lancio di quest’ultimo, che tuttavia rimase confinata in territorio nipponico perché costruita come un librogame stile “scegli la tua avventura” anziché riadattata alle scarse capacità poligonali del 32-bit portatile di Nintendo. Solo qualche anno più tardi, nel 2001, gli appassionati avrebbero fatto la conoscenza del vero e proprio sequel  dell’originale, consolidando Silent Hill come autentico punto di riferimento per l’intero genere.

Silent HillLi vedi anche tu? Per me… è sempre così

Quando Sony annunciò la Playstation 2 nel 1999, uno dei giochi che componevano la lineup iniziale fu proprio Silent Hill 2 di Konami che, per molti, ha rappresentato motivo di acquisto preferenziale per il leggendario monolite nero rispetto al SEGA Dreamcast o alle console di Microsoft e Nintendo. Naturalmente, le comunità di sostenitori della “collina silente” esplosero in un turbinio di ipotesi e congetture: il nuovo capitolo avrebbe visto anche il ritorno di Harry Mason? Ci saremmo spostati oltre i confini della cittadina? Alcune voci insistenti supponevano persino che le vicende si sarebbero incentrate su Cybil Bennett, personaggio secondario di Silent Hill promossa ad attrice principale. Ma, a quanto pare, il Team Silent aveva ben altri propositi: anziché portare avanti la storia già raccontata, l’intenzione era quella di elaborare una trama inedita ma ambientata sempre nell’inquietante e desolata città di Silent Hill. Le meccaniche di gioco sarebbero state simili al primo, ma più profonde e robuste, e ovviamente la grafica avrebbe sfruttato le potenzialità del nuovo hardware. Gran parte dello staff originario contribuì a realizzare anche il sequel, malgrado il regista del primo episodio, Keiichiro Toyama, avesse lasciato Konami per lavorare con Sony Computer Entertainment poco dopo l’uscita di Silent Hill e creare il suo personale progetto survival horror, Forbidden Siren (noto semplicemente come Siren in patria), la cui trilogia non è mai riuscita ad ottenere la medesima popolarità del franchise Konami ma ha comunque goduto di un certo successo.

Silent HillSilent Hill 2 venne pubblicato durante il primo anno di vita della PlayStation 2, il 25 settembre 2001, riuscendo non soltanto a surclassare il predecessore ma anche a cristallizzarsi nella memoria dei più come uno dei migliori videogiochi horror mai realizzati. Se Silent Hill era la storia di un padre alla ricerca della figlia scomparsa, il sequel ha amplificato i turbamenti emotivi del pubblico concentrandosi su James Sunderland, un uomo tormentato dalla perdita della moglie e da un bel po’ di scheletri nascosti in fondo al proprio armadio. All’inizio sappiamo molto poco del protagonista, oltre al fatto che è vedovo e che la consorte, Mary, è deceduta per una malattia: devastato dalla sua scomparsa, la vita di James va in pezzi, finché un giorno riceve una lettera che sembra essere stata scritta proprio da Mary e che lo invita a fare ritorno a Silent Hill, dove avevano trascorso una breve vacanza felice prima che lei si ammalasse. Intenzionato ad ottenere risposte sugli interrogativi che lo lacerano, l’uomo si reca nel posto indicato e lo trova nelle medesime, sinistre condizioni in cui vi si è imbattuto Harry nel primo gioco, ma la sua risolutezza non vacilla, sostenuta dalla flebile speranza di poter ritrovare Mary ancora in vita, e fa comunque il suo ingresso all’interno della tetra cittadina.

Silent HillJames si immerge tra i vicoli e le case di Silent Hill, incontrando occasionalmente altre persone attratte come lui dallo spettrale centro (dis)abitato a causa di qualche profondo senso di colpa o dolore personale. Questa volta, però, l’obiettivo non è svelare il mistero annidato nei trascorsi della comunità rurale, quanto piuttosto scoprire cosa si cela nel cuore e nei ricordi dello stesso James: man mano che la storia si sviluppa, affiorano sempre più informazioni riguardanti la sua relazione con Mary, che spesso vanno in contrasto con quanto sapevamo all’inizio dell’avventura e ci costringono a chiederci cosa sia reale e cosa no. Il gioco approfondisce diversi concetti psicologici sulle relazioni, i rimpianti, i diversi modi di affrontare un lutto e di catalogare i nostri ricordi, prendendo spunto dai demoni personali di James che assumono forma fisica e lo costringono ad affrontare una sequela di verità dolorose su se stesso. È stata proprio questa narrativa, così intensa e matura, a far presa sui giocatori e ad aiutare Silent Hill 2 a svettare in mezzo alle decine di altre produzioni simili: l’introspezione del protagonista si estende ad ogni aspetto del suo viaggio, tanto che persino i connotati dei mostri offrono indizi visivi sui suoi trascorsi, di cui ci saremmo resi conto solo nelle partite successive. Il nemico più emblematico del gioco è lo spietato Pyramid Head, antagonista principale del gioco destinato a diventare un vero e proprio simbolo di riconoscimento per la saga: con la sua figura imponente, la caratteristica maschera triangolare e l’enorme lama che si trascina dietro, è la rappresentazione concreta dei tormenti interiori di James e del suo desiderio di essere punito per ciò che aveva fatto in passato, tanto che la sua sconfitta diviene possibile solo se saremo disposti a scendere a patti con la nostra coscienza. La salute mentale e fisica del personaggio principale gioca un ruolo imprescindibile anche per stabilire a quale conclusione andremo incontro, poiché le condizioni del nostro alter ego e il modo in cui l’avremo trattato nel corso dell’avventura, ad esempio stando accorti ad evitare ogni pericolo oppure lanciandolo a testa bassa contro qualsivoglia sfida disinteressandosi della sua incolumità, servono a stabilire il successo o il fallimento del suo lento, progressivo e doloroso percorso di guarigione. Oltre ad essere un seguito eccellente sotto ogni punto di vista, Silent Hill 2 è stata una delle prime dimostrazioni di come il videogioco potesse non solo allenare i riflessi ma anche stimolare la mente con argomenti complessi, difficili e spinosi che all’epoca erano tutto fuorché la norma per il medium: è stato lui, più che l’originale, a scuotere il genere dalle fondamenta ed eleggere il franchise come genuino classico nell’immaginario collettivo dei videogiocatori di tutto il mondo.

Silent HillMostri? A te sembrano mostri?

Considerato il monumentale gradimento riscosso dal secondo episodio, era lecito attendersi un ulteriore sequel degno di tale nome, e il Team Silent fu lieto di stravolgere per l’ennesima volta le carte in tavola: dismessi i panni del padre single e del vedovo sconsolato, Silent Hill 3 ci fece indossare quelli di Heather Morris, una ragazza adolescente in apparenza ordinaria, amante dei centri commerciali e molto legata al padre, piuttosto lontana dalle esistenze tormentate di coloro che l’avevano preceduta. Ma, dopo aver avuto un sogno angoscioso e particolarmente realistico ed essere stata avvicinata da uno strano detective intenzionato a discutere con lei della sua nascita, Heather si ritrova in una versione contaminata dall’Otherworld del grande magazzino, inseguita da visioni spaventose, creature orrende e una strana donna che la implora di ritrovare la “vera se stessa”. Da quel momento in avanti, qualsiasi luogo visiteremo in compagnia della ragazza, come una stazione della metropolitana o un complesso di appartamenti, continuerà a trasfigurare in una parodia da incubo piena di demoni e immagini macabre, mettendo a dura prova la sua e la nostra sanità. Sebbene misteri e rivelazioni facessero ancora parte della trama, l’esposizione di Silent Hill 3 era di gran lunga più diretta e lineare confronto all’intima epopea di James: la setta responsabile della degenerazione della cittadina era tornata ad essere il fulcro del racconto e, con l’avvicendarsi degli eventi, avremmo scoperto il legame indissolubile tra Silent Hill e il passato della giovane, e dato di conseguenza molte risposte ad un gran numero di interrogativi rimasti insoluti nell’originale. Ciò non significa che i neofiti non avrebbero comunque potuto apprezzarlo, data la generosa abbondanza di momenti sinistri e inquietanti.

Silent HillNel 2003, anno della sua pubblicazione, Silent Hill 3 si distinse per il suo aspetto estetico particolarmente curato: la qualità grafica era così elevata che gli sviluppatori decisero di sfruttare il motore di gioco anche per le sequenze non interattive, anziché ripiegare sulla CGI come nei predecessori. In termini di gameplay, la formula venne ulteriormente migliorata con una gestione delle armi e delle movenze della protagonista più fluide ed intuitive. Ma la peculiarità che rimase più impressa fu lo straordinario quantitativo di extra, codici e segreti nascosti, così come un gran numero di costumi e accessori supplementari come una mitragliatrice con colpi infiniti, un lanciafiamme, una spada laser e persino una bacchetta magica in grado di trasformare Heather in Princess Heart, una combattente vestita alla marinaretta proprio come Sailor Moon. Di contro, il povero detective Douglas era costretto a subire gli effetti “malvagi” del celebre codice Konami che, se inserito dopo aver completato il gioco almeno una volta, l’avrebbe fatto entrare in scena con indosso il suo caratteristico impermeabile, il cappello, la cravatta, le scarpe e… un bel paio di mutandoni.

Silent HillInsomma, quanto ad elementi aggiuntivi il Team Silent si era davvero sbizzarrito, ma c’era purtroppo un motivo concreto dietro tale decisione, e cioè che il terzo capitolo era, di fatto, il meno longevo di tutti e poteva essere completato nel giro di un paio di giorni senza nemmeno sforzarsi troppo. Certo, alcune zone esplorabili erano piuttosto vaste ed i legami con l’originale suscitavano curiosità ed interesse, ma il ritmo narrativo e la complessità dei temi trattati non erano neanche lontanamente paragonabili a quanto avevamo visto e vissuto in precedenza. Lungi da me affermare che Silent Hill 3 fosse brutto, per carità, tuttavia peccava in termini di contenuti e la buona ma un po’ meno calorosa accoglienza che ricevette da parte di giocatori e giornalisti fu la diretta conseguenza della sua essenzialità. Ad ogni modo, i fan ne furono comunque soddisfatti e le aspettative per la successiva iterazione, sviluppata in contemporanea con la terza puntata, rimasero molto alte, benché avremmo dovuto attendere un altro anno prima di metterci le mani sopra. Ciò di cui nessuno si rendeva conto è che il prodotto che ci saremmo ritrovati fra le mani era destinato a diventare, ed a rimanere ancora oggi, il più divisivo in assoluto dell’intera serie

Silent HillCome farò ad andarmene da qui?

Il brevissimo lasso di tempo trascorso fra la pubblicazione del terzo e del quarto episodio di Silent Hill diede adito ad un gran chiacchiericcio, e le voci più insistenti ipotizzarono che Silent Hill 4 fosse nato in realtà come un gioco completamente slegato dal franchise, la cui integrazione sarebbe avvenuta solo in un secondo momento per volere di un’avida Konami intenzionata a spremere il marchio in tutti i modi possibili e immaginabili. Tali pettegolezzi si rivelarono poi infondati, ma non era difficile comprendere come fossero nati a causa delle profonde differenze apportate alla formula classica, che lasciarono un po’ tutti alquanto perplessi. Nondimeno, la trama era comunque intrisa degli stilemi tradizionali di Silent Hill: nei panni di Henry Townsend, un uomo introverso sulla trentina che si è recentemente trasferito nella stanza 302 in un condominio nella città fittizia di South Ashfield, un giorno ci svegliamo per scoprire che non possiamo più di lasciare il nostro appartamento. La porta è stata incatenata e sprangata e le ante delle finestre sono bloccate. Anche tutte le comunicazioni sono impossibili perché i telefoni sono morti, e non importa quanto rumore facciamo o quanto cerchiamo di attirare l’attenzione degli altri inquilini, nessuno di loro sembra essere in grado di vederlo o sentirlo. Henry rimane intrappolato nella stanza 302 per alcuni giorni, fino a quando una misteriosa voragine si forma improvvisamente sul muro del bagno, abbastanza grande da permettergli di strisciarci attraverso: alla disperata ricerca di una qualsiasi via di fuga, il giovane si arrampica attraverso il buco e viene catapultato in una moltitudine di luoghi differenti, tra cui una vicina stazione della metropolitana sotterranea, una foresta ai margini della città di Silent Hill, e anche un orfanotrofio utilizzato dal culto residente nella cittadina per diffondere il loro messaggio ai bambini. Dovremo fare più volte avanti e indietro fra l’alloggio e queste altre zone apparentemente casuali, recuperando oggetti e protezioni di vario tipo che ci aiuteranno a contrastare le apparizioni maligne che pian piano prendono possesso delle nostre stanze, mentre faremo chiarezza sulla figura chiave che ha scatenato il repentino e soprannaturale degrado della stanza 302: Walter Sullivan, un bambino abbandonato all’interno delle sue mura e divenuto poi un serial killer a causa di una morbosa ossessione per il credo blasfemo dell’Ordine di Silent Hill.

Silent HillSilent Hill 4 presentava una miscela tra la classica esplorazione con combattimenti in terza persona e nuove sequenze in soggettiva utilizzate ogni volta che visitavamo l’appartamento di Henry. L’inquadratura in prima persona ha rappresentato un approccio inedito per la serie, utile per esaminare da vicino ogni dettaglio ed esorcizzare gli spiriti maligni che vanno a moltiplicarsi man mano che portiamo alla luce la verità sui rapporti tra Sullivan e le sue vittime. Di contro, le visite all’esterno della stanza 302 ci riportano alla visuale in terza persona, che tuttavia questa volta pone l’enfasi sugli scontri e sulla sopravvivenza in generale, piuttosto che sull’indagine e la risoluzione di enigmi, creando dinamiche più frenetiche e meno ragionate rispetto al passato. Inoltre, alcune armi potevano rompersi se usate troppo spesso, dunque era bene equipaggiare più di uno strumento offensivo alla volta, ma bisognava anche fare i conti con un inventario limitato, causa principale degli andirivieni da e verso la nostra claustrofobica abitazione per riporre gli oggetti da preservare in uno scatolone e salvare la partita. Altra discutibile novità erano i fantasmi delle vittime di Walter Sullivan, manifestazioni incorporee e quasi invincibili contro le quali era necessario impiegare dei rarissimi strumenti difensivi oppure fuggire, dato che la semplice vicinanza erode la nostra preziosa barra dei punti ferita.

Silent HillDi sicuro, questo quarto episodio andrebbe lodato per l’audacia che il Team Silent ha profuso nello scardinare molte delle convenzioni stabilite da quanti lo avevano preceduto, ma i problemi di bilanciamento che hanno fatto da contraltare alle innovazioni e la presenza di uno dei personaggi principali meno approfonditi e interessanti dell’intero franchise non hanno giocato a suo favore: benché la sofferenza di Henry sia quasi palpabile, di lui scopriamo poco e nulla ed il suo ruolo sembra quello di una semplice vittima passiva degli eventi, un osservatore che viene coinvolto solo fino a un certo punto nella tragedia della città di Ashfield e dei suoi abitanti, tanto che risulta molto più facile simpatizzare con lo scialbo e anonimo Harry Mason, interprete del primo Silent Hill, rispetto allo sfortunato Townsend. Oltre a ciò, nonostante la presenza di numerosi richiami alla mitologia e alle vicende della saga, il titolo dà effettivamente l’idea di essere stato sviluppato come racconto a sé stante: i dettagli che ricollegano determinate circostanze al passato, ad esempio il fatto che l’amministratore del complesso di appartamenti fosse Frank Sunderland, padre del James di Silent Hill 2, oppure che l’orfanotrofio cui viene affidato William compare in un articolo di giornale recuperabile in Silent Hill 3, sembrano più degli easter egg che un modo concreto per stabilire una linea temporale coesa e uniforme, mentre per ogni scelta differente di design che funziona ce ne sono almeno un paio che risultano problematiche o frustranti, su tutte la fastidiosa seconda metà del gioco durante la quale siamo obbligati a scortare e proteggere un personaggio secondario. In breve, a dispetto di qualche incontestabile merito e di un tema musicale portante, Room of Angel, che per me rappresenta uno dei punti più alti mai raggiunti nella carriera artistica di Yamaoka, l’esperienza complessiva di Silent Hill 4 non si rivelò all’altezza delle aspettative e fu decisivo per tracciare la spirale discendente verso cui Konami scelse di indirizzare il brand.

Silent HillVoglio che tu sappia che stavolta sarà diverso

Il quarto sarebbe stato l’ultimo capitolo della serie originale ad essere pubblicato su Playstation 2, dato che i suoi eredi avrebbero visto la luce sulle macchine della successiva generazione. Inoltre, fu anche l’ultimo gioco realizzato dal Team Silent, o comunque realizzato da un team di sviluppo interno: il gruppo venne sciolto dalla dirigenza aziendale, per quanto i motivi di tale decisione non furono mai resi noti in maniera ufficiale. Secondo alcuni, il relativo insuccesso di Silent Hill 4 fu la causa principale del malcontento ai vertici della holding, mentre secondo altri le intenzioni erano quelle di sviluppare il franchise in modo completamente diverso, affidandolo a sviluppatori esterni come poi in effetti accadde. E così, sebbene alcune delle iterazioni come Origins, Homecoming, Downpour e Shattered Memories tentarono di raccogliere in parte lo spirito che aveva caratterizzato i primi Silent Hill, l’impronta metafisica e psicologica era stata sacrificata in favore di approcci più dinamici ma decisamente meno efficaci, per non parlare di sparatutto quali The Arcade o Book of Memories e di una frettolosa rimasterizzazione del 2 e del 3 che non meritavano neanche uno scampolo del nome di cui si fregiarono. L’ultimo spiraglio di luce arrivò nel 2014 con il misterioso P.T., uno speciale teaser giocabile che preannunciava l’ormai famigerato Silent Hills, progetto che avrebbe visto Hideo Kojima e Guillermo Del Toro lavorare insieme per rivitalizzare la saga, ma che finì per naufragare a causa di ulteriori dissidi interni con Konami che portarono all’allontanamento definitivo del game designer dalla società. Sono trascorsi sette anni da allora e, come anticipato in apertura, qualcosa sembra abbia ricominciato a muoversi: la speranza è dunque che i nuovi responsabili dei dipartimenti di sviluppo presso Konami possiedano sufficiente talento e ambizione per riuscire a coordinare l’outsourcing dei prossimi Silent Hill, in maniera tale da riportare l’amatissimo survival horror ai fasti delle sue vere origini.

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.