Elden Ring e i souls-like non piacciono a tutti. Giusto, giustissimo. Meno giusto, spesso, è il motivo: perché il genere a cui appartiene, e di cui è il capostipite, è incompreso da molti, giocatori e non. E intendo “incompreso” nel pieno senso della parola: non compreso, non capito. O peggio: mis-concepito. Percepito per come negli anni la stampa, gli influencer che lo hanno reso celebre lo hanno teso a far percepire. In un modo profondamente sbagliato.
Elden Ring e i SoulsLike, le basi: la definizione di Souls
Prima che vi tuffiate nella nostra recensione di Elden Ring, vorrei tentare l’impresa definitiva. Vorrei cioè raccontarvi e spiegarvi Dark Souls, i souls-like, e quindi anche Elden Ring in modo diverso. Forse peccando di immodestia, ma direi… nel modo giusto. Spiegando, magari, perché mezzo mondo sia in fissa con Solaire, la fiamma, Gwin, Artorias, Havel, e con Anor-Milano-Londo. Vedete questo pezzo come una guida, se volete. Come un’introduzione alle basi dei Souls: alle loro componenti definenti. Ma non solo, anche come un tentativo di disambiguare “l’alchimia Souls”.
Ripassiamo anzitutto le basi, quindi. Un souls è un titolo di genere Action, più o meno RPG. Non è un Souls se manca la barra della stamina, l’energia che limita il numero delle azioni consecutive dei giocatori. Quindi, il gioco impone l’apprendimento di tempistiche di attacco, parata, schivata (in tempo reale). Infine, deve essere presente una valuta ottenibile in game: anime, monete, noccioline. La valuta accumulata deve poter essere persa quando il personaggio è sconfitto, e recuperata nel punto dove la si è persa, entro “la prossima morte”. Infatti, se muori di nuovo prima di aver ripreso ciò che era tuo, lo perdi per sempre. Ma non preoccupatevi: i nemici che incontriamo resuscitano ogni volta che riposiamo presso i check point. Pronti a essere falciati di nuovo.
Sono ovviamente possibili variazioni più o meno marcate, senza che un gioco perda la definizione “souls-like”. Stando ad alcuni, inoltre, affinché un gioco sia un vero erede della creatura di From Software ci sono altri must; elementi che possono variare di gioco in gioco. La presenza di Boss e mini-Boss; una mappa dendritica e interconnessa; una narrazione non lineare tramite stralci di lore (o narrazione ambientale, storia pregressa). Questi sono solo alcuni esempi (i più diffusi) di ciò che i souls-fan cercano in un gioco che li soddisfi. Insieme, e qui iniziano i problemi, a un ultimo elemento. Quello a cui, ne sono certo, state tutti pensando. La difficoltà proibitiva. Ma no. Dark Souls, e i Souls Like, non sono e non devono essere “difficili”. Ed è per questo che lo sono.
Difficoltà e “difficoltà”
La difficoltà di Elden Ring e i souls-like, quelli belli, è flessibile. Scalabile non attraverso un menù, ma grazie alle scelte dei giocatori durante il gameplay. State scegliendo a che difficoltà giocare un souls già al momento della selezione della classe. Sarete Cavalieri? Iniziate con molta più vita, e un’armatura che vi consente di sbagliare più volte degli altri. O volete essere maghi, capaci di attraversare con estrema facilità le aree di gioco con colpi sparabili a distanza? Magari, dopo qualche run, inizierete una partita con il Discriminato, che parte al livello 1. Completamente nudo, e con in mano solo una mazza di legno e uno scudo di assi.
Piccolo pro-tip, forse non noto a tutti. Se scegliete di evocare un fantasma di un altro giocatore, o anche uno controllato da un NPC, il gioco aggiusta le statistiche dei nemici e dei Boss che affrontate per renderli più forti, e bilanciare il fatto che state combattendo “non alla pari”. Anche il meccanismo delle invasioni, i fantasmi rossi, funziona allo stesso modo quasi in ogni souls targato From Software. Se scegliete di giocare online, e quindi di sfruttare potenzialmente le evocazioni, decidete anche di correre il rischio di essere invasi da altri player ostili. Tutto, per consentire la massima libertà di scelta al giocatore. Chi ha detto che non si può scegliere la difficoltà di un souls?
Elden Ring e i souls-like, il modo sbagliato: il rage game
Dark Souls 2 (DS2) è ritenuto, a ragione, il titolo più “critico” della saga ufficiale From Software. Le ragioni vanno dal tecnico (hit box sballati su tutto) al narrativo (lore bizzarra, con licenze dall’originale un po’ troppo marcate). Ma la vera ragione che rende Dark Souls 2 così detestabile per molti, è il modo errato in cui interpreta il core stesso dei souls colpevolmente errata. Al netto, ricordatelo sempre, di tutti gli elementi di DS2 che invece funzionano, e che DS3 ed Elden Ring hanno recuperato e mantenuto. Come ambienti distruttibili, dual stance, movenze meno meccaniche e più naturali del personaggio; un focus aumentato sul PVP e sul multigiocatore. Per sviluppare Dark Souls 2, guardando a Demon Souls, il primo nato di From Software, e Dark Souls, il secondogenito, i game director di From si sono, infatti, comportati come sviluppatori di “un souls-like qualunque”. E fra tutti gli elementi definenti gli originali, hanno scelto di focalizzarsi su uno in particolare. Il meno definente, e il più tosto da definire in assoluto: la difficoltà. DS2, così, è un gioco difficilissimo. Ma lo è per le ragioni sbagliate. E più che un souls, è quasi un rage-game.
“Gioca, impara, muori, gioca, impara, muori” è il ciclo realmente presente nei titoli From Software. Tuttavia, è anche la routine ludica che ha fatto passare i Elden Ring e i souls-like, erroneamente, per delle macchine infernali; in stile “Super Meat Boy”, un rage game. Giochi basati sullo spingere il giocatore a trovare l’unica soluzione efficace per superare un ostacolo, facendogliela ripetere finchè la memoria muscolare non interviene a priori, interrompendo il ciclo con un “vinci”. DS2 perde quasi tutta la flessibilità che faceva di DS2 e Demon Souls due gioielli di level design. Laddove l’enemy positioning (posizione dei nemici sulla mappa) e l’enemy design (definizione di tempistiche, attacchi, movimenti, schivate ecc. dei nemici) dei suddetti erano praticamente perfetti, in DS2 il giocattolo si rompe. Forse perché Miyazaki, il genio di From Software e padre dei Souls, non era coinvolto direttamente nel progetto? O forse perché anche lui, prima di padroneggiare la sua stessa creatura, ha voluto sperimentare, supervisionando lo sviluppo di DS2 per capire quale fosse il limite invalicabile. IN questo senso, DS2 è davvero il peggior souls della serie. Perché non permette quasi nessun “livellamento creativo” della difficoltà. E resta crudelmente impassibile di fronte ai novizi della serie, che tratta con sufficienza e sdegno.
Il modo giusto: il viaggio
Invece, in un buon souls è tutto in mano a voi. Quali statistiche livellerete giocando? Quali percorsi, tra i molti messi a disposizione nel corso della partita, sceglierete come primo, quale per secondo, e poi terzo o quarto? Giocherete interamente da soli, o evocherete i fantasmi degli NPC per aiutarvi? Magari preferirete addirittura evocare un amico, quello “bravo” con i souls, per sfidare un Boss ostico in due contro uno. Anche per questo, un buon souls è difficile solo quando lo volete voi. E allo stesso tempo lo è sempre, ma solo per consentirvi di capire come renderlo più accessibile per voi. Per il vostro stile di gioco, per le vostre necessità. Per il vostro divertimento.
Vedendola in questo modo, quello che io definisco “giusto”, è quindi chiaro che i migliori souls, originali From Software o derivativi che siano, non puntano sulla difficoltà spicciola come elemento distintivo dal resto delle produzioni Action o RPG. E proprio per questa ragione, sono impegnativi, punitivi, ma mai frustranti. Giocando in equilibrio tra difficoltà artificiale e organica fondano il loro successo sul disegno di un vero e proprio “viaggio”. Che dall’inizio alla fine dell’avventura forgia il personaggio del player e il player stesso, guidandoli senza forzarli. Sta a ciascuno di noi, infatti, comprendere quale sia il modo che ci produrrà la maggior soddisfazione possibile al raggiungimento di un obiettivo. Evolvendoci, adattandoci di metro in metro, di tentativo fallito in tentativo riuscito.
Il movimento fisico dei personaggi nelle ambientazioni di Elden Ring e i souls-like va così a coincidere con l’incedere inesorabile della nostra consapevolezza. Producendo un’immersione totale all’interno del nostro PG. E quell’effetto unico, almeno per me, che solo con i souls ho sempre provato, a ogni run. Il desiderio di scoprire, di esplorare, di viaggiare. Prima, quando non conoscevo il gioco, nello spazio costruito con cura certosina dai developer. Poi, a metà del percorso, nelle possibilità offerte da classi e build diverse. Infine, nelle sfide, challenge che dir si voglia, pensate per complicare un quadro già di per sé ramificato come nessun altro. Ma non è un percorso semplice. From Software ce l’ha messa davvero tutta per renderlo accidentato, arrestando coloro che non intendevano compiere questa serie di viaggi ora esteriori, ora interiori, alla ricerca del proprio personale modo di vivere i souls. E va bene, quindi, se l’esperienza non vi calza a pennello, se la sentite scomoda e pruriginosa. Se decidete di abbandonarla, nessuno potrà biasimarvi. Semplicemente, i souls non sono “il viaggio” che fa per voi. O magari, avete semplicemente bisogno di un compagno adeguato. Perché sì: i souls-like, tutti, sono l’esperienza Single Player più condivisibile e DA condividere che esista.
L’anima della condivisione
Chiudete gli occhi adesso (metaforicamente, sennò come fate a leggere?) e viaggiate con me. Siamo dentro Elden Ring. Dopo mesi di attesa, innumerevoli trailer e gameplay visti dopo, siamo al controllo del nostro personaggio; attentamente costruito a partire dall’estetica, equipaggiato con la migliore armatura a disposizione in questo specifico momento del gioco. Di fronte a noi si estende un panorama movimentato, denso di possibili direzioni da intraprendere, intrecciato di segreti, anfratti, location che per ora notiamo solo in lontananza, ma so che potrò e vorrò esplorare fino in fondo. Ma… cos’è quella? Una grotta seminascosta dalle fronde di un cespuglio, il cui ingresso è decorato da intarsi e delineato con precisione da due colonnine scolpite in altorilievo. Sarebbe stato facile mancarla, camminando lungo il sentiero sorvegliato da soldati non morti. Uno specchietto per le allodole, evidentemente, pensato per distrarci e allontanarvi proprio da quell’ingresso così minuto. E invece, siccome abbiamo deciso di affrontare quel percorso in stealth, ce lo siamo trovato davanti, inaspettatamente. Entriamo e identifichiamo subito un luogo di grazia, un checkpoint, che da un lato ci rassicura, permettendoci di riposare e recuperare vita. Dall’altro ci conferma che sì: siamo dentro un Dungeon. Una sfida, quindi, da non sottovalutare…
Ve la farò breve, dato che quella che avete letto fino ad ora è solo una piccola fantasia; un volo pindarico nel desiderio di cimentarci nella sfida di Elden Ring, e trovare davvero quella grotta, quel Dungeon, quel Boss da raggiungere dopo un puzzle ambientale o una serie di nemici di guardia. Aprendo infine il forziere-premio, che contiene un’arma davvero buona, unica (legata al completamento di quel Dungeon, e di lui solo) eppure “so easily forgotten”. Non trovate anche voi che la sublimazione della scoperta, il piacere più puro e massimo non si possa esaurire nel semplice atto di aver trovato la grotta, il Boss, l’arma? E che sia raggiungibile solo nel momento in cui scrivo al mio amico, anche lui alle prese con Elden Ring, per raccontargli che “se ti trovi in questa location guardati intorno: ho scoperto che…”.
Così, l’ho capito. Uno dei motivi per cui i Elden Ring e i souls-like, quelli di From, certo, ma tutti i migliori souls in generale, sono tanti amati, è perché sono tra i videogiochi più condivisibili e “raccontabili” che esistano. Tra lore e descrizioni di oggetti vari; segreti nascosti nella mappa (celebre il villaggio invisibile di Bloodborne, raggiungibile solo facendosi malmenare da un nemico specifico che spawna in determinate condizioni); strategie atte a semplificare uno scontro e sconfiggere un Boss senza impazzire, magari con stratagemmi fantasiosi. Di “cose da raccontare” i souls-like sono sempre prodighi e ricolmi. Sono esperienze condivise, momenti di euforia, o anche di sconforto, perché no. Come quando ci confidiamo con il gruppo su internet o con un amico siccome “non riesco a sconfiggere questo Boss”. Sono il motivo per cui andate a letto la sera, dopo aver giocato, pensando “cosa scoprirò domani”? Non solo per il mero atto della scoperta. Ma per la condivisione che ne seguirà.
Elden Ring su tutti, data la sua natura Open World, e i souls-like sono questo: pura condivisione. Emozioni intensissime, scariche di adrenalina, seguite dalla calma piatta che solo “sedersi intorno a un falò” può comunicare con la giusta dis-intensità. E allora, che ne foste consapevoli da prima di leggere questo pezzo, oppure no, spero che ora vogliate sedervi anche voi attorno a un focolare, quale che sia. Provare l’esperienza dei souls NON perché siano difficili, perché dovete, o perché se non lo fate “non siete videogiocatori”. Non perché vi costringano a imparare questo o quello, a fare parry millimetrici o a calcolare i danni inferti con la vostra build PVE o PVP. Ma perché con una rinnovata visione di cosa significhi “viaggiare” in un souls, spero possiate trovare un amico con cui confrontarvi; un “maestro” che vi insegni la via per la vittoria. O se siete già immersi in quel magico mondo, un “allievo” al quale instillare la passione per la scoperta e l’inconoscibile. Magari, perché no, scoprire la consapevolezza che preferite rimanere seduti intorno a quel falò. Ad ascoltare i racconti degli altri, mentre sorseggiate le vostre fiaschette Estus. Va bene così.