Barbie ha creato un’idea in cui tutte le ragazze potevano rivedere se stesse. Barbie è la rappresentazione delle possibilità: se lei può essere e fare qualsiasi cosa, anche tu puoi raggiungere qualsiasi obiettivo. Barbie è un’eroina dei suoi tempi. Barbie è un’icona… ecco, direi che questa è l’unica affermazione su cui nessun potrebbe discutere. Perché su Barbie, nel corso degli anni, se ne sono dette tante di cose e non tutte giustissime, molte prodotte solo dal marketing o da chi, in tutti i modi, voleva dissacrare la sua plasticosa immagine, ma la sua posizione all’interno della nostra storia e cultura è intoccabile. Puoi essere stata una bambina che anelava di possedere ogni singolo accessorio creato per lei, una di quelle che optava per simulare una esistenza da mamma giocando con i bambolotti, quella che la snobbava e sceglieva le alternative meno patinate o addirittura chi, a qualsiasi tipo di bambola, ha sempre preferito macchinine, robottoni e mostri, ma chi e cosa fosse Barbie lo sapevi comunque. E se mille film di animazione sono stati fatti, più o meno decentemente, con lei protagonista di una qualche storia o rivisitazione di un classico, nessuno si era ancora spinto a creare qualcosa di più aperto a tutti, che parlasse a tutte quelle persone che dalla sua esistenza sono state segnate. Forse perché si tratta di una missione apparentemente suicida? Approvazioni, licensing, pregiudizi, stereotipi ma, soprattutto, Barbie è tutto ma non ha mai avuto una sua storia personale, cosa si può raccontare?
Barbie: senza una storia (?)
Ci sono volute due donne, casualmente bionde proprio come Barbie, apparentemente molto diverse ma ugualmente appassionate e determinate a diffondere un certo tipo di messaggio, per convincere Mattel a cedere loro la possibilità di raccontare la storia, mai creata, della bambola adulta più conosciuta al mondo. “Barbie è conosciuta e amata da oltre 60 anni e la cosa mi ha davvero entusiasmata. In veste di sceneggiatrice e regista sono sempre alla ricerca di una sfida divertente”, ha dichiarato Greta Gerwig. “Barbie è famosissima eppure a me è sembrato un personaggio con una storia da raccontare, in un modo nuovo e inaspettato, onorando la sua eredità e rendendo il suo mondo fresco, vivo e moderno”. Allo stesso modo la pensa Margot Robbie, non solo protagonista ma anche produttrice del film: “Realizzare un film su Barbie era un’opportunità straordinaria, con la quale pensavamo di poter fare qualcosa di veramente speciale se fossimo riusciti ad affrontarla in modo inaspettato, sorprendente e intelligente. E, come ha detto Greta, è stata una sfida impegnativa!”.
Il mondo delle Barbie
Com’è la vita di Barbie? Perfetta! Ogni mattina si sveglia nella sua casa dei sogni a Barbie Land, con l’alito profumato, i capelli in ordine e una gran voglia di vivere. Saluta le altre Barbie, che vede senza intralci perché le loro case non hanno pareti, fa colazione, indossa magicamente gli abiti del giorno, già pronti nell’armadio, e poi si immerge in mille impegni importantissimi ma divertenti insieme alle altre Barbie, sempre con il sorriso sulle labbra e piena di positività. Ogni giorno è identico e stupendo. E questo vale per tutti: Barbie presidente, Barbie avvocato, Barbie giornalista… nessuna di loro sa cosa siano ansia o tristezza. Sanno di rappresentare l’esempio di società moderna, di aver dato al mondo speranza e giustizia, di essere motivo di gioia di ogni donna del mondo reale che, grazie a loro, ha avuto modo di affermare se stessa. Anche i Ken sono felici, a volte in competizione tra loro, molto meno intraprendenti e, soprattutto, dipendenti dalle attenzioni che Barbie da loro durante la giornata. Ma cosa succede se un giorno Barbie (Margot Robbie), quella più iconica e stereotipata di tutte, inizia a pensare alla morte, svegliarsi in disordine, bere (inesistente) latte scaduto e, tragedia di tutte le tragedie, ritrovarsi con i piedi piatti? Deve affrontare il lungo viaggio che la condurrà nel mondo reale e, trovando la bambina che gioca con lei, capire che problemi ha e aiutarla a risolverli, così che tutto torni come deve essere. Dopotutto lei è Barbie, può tutto. Solo che nel suo viaggio si imbuca anche Ken (Ryan Goslin), la sua bambina non è quello che si aspettava e, fuori Barbie Land, il mondo non è proprio come se lo aspettava.
Alla ricerca della perfezione
Se dovessi descrivere questo film con poche parole, direi che è una storia lineare e molto semplice, che segue la morale più utilizzata di sempre, raccontata con ironia, eccessi, contrasti e intelligenza. La comunicazione è diretta e i fronzoli, bellissimi e surreali, sono in tutto ciò che è superfluo e, per questo, eccezionale. Barbie Land, esteticamente ed architettonicamente, è tutto quello che si può desiderare: approfondita in ogni particolare, disegnata, plasticosa, finta, giocattolosa e assolutamente rosa. “Innanzi tutto volevo che Barbie Land sembrasse un luogo felice, dove Barbie vive nella nostra immaginazione infantile. Uno dei primi giorni in cui mi sono confrontata con la scenografa Sarah Greenwood e il suo team artistico, abbiamo esaminato tutte le diverse tonalità di rosa, per capire come avrebbero interagito. Da bambina mi piacevano i rosa più accesi, ma Barbie Land avrebbe incorporato l’intero spettro dei colori, quindi era fondamentale trovare il giusto abbinamento tra il rosa acceso con il rosa pastello più pallido e, naturalmente, tutte le tonalità di rosa intermedie”. Ora, io lo so che a molti di voi questo sembrerà un immenso discorso senza senso, si tratta solo di un colore. Eppure sono questa tipologia di ragionamenti, l’attenzione verso ogni singolo dettaglio di un mondo sì irreale, ma vivido nei ricordi e nell’immaginazione di tantissime persone, che rendono Barbie spettacolare. Barbie Land (non) ha delle sue leggi della fisica con cui i personaggi devono fare i conti e ogni movimento, scontro, caduta, camminata, scivolata o volo da una balconata ha un suo modo squisito di colpire lo spettatore, attivando ricordi e sensazioni, facendolo divertire ed emozionare. Quello messo in scena da Greta Gerwig è un gioco di specchi deformati, di distrazioni scintillanti, in cui allo spettatore viene chiesto di prestare completa attenzione all’apparenza, mentre in sottofondo si dipana una storia di accettazione di se stessi, dipendenza dal giudizio altrui, rapporti interpersonali, comprensione delle diversità e gestione degli imprevisti. È umana normalità, nulla che nessuno di noi non abbia dovuto affrontare almeno una volta nella vita, inserita però nel contesto più iconicamente finto di sempre. Qualcuno potrà lamentarsi che, data la cifra stilistica dei lavori precedenti della regista, in Barbie il tutto sia un po’ troppo didascalico, esplicitato in modo da poter essere comprensibile a tutti, senza tutti quei messaggi aperti che si appoggiano sulla sensibilità e intelligenza di chi guarda per essere risolti: ma con tutta la sovrastruttura creata per questo mondo e personaggio, avete solo idea di che cosa sarebbe accaduto alla narrazione se fossero stati aggiunti anche mille livelli di lettura più o meno incompleti? Quasi nessuno ci avrebbe capito niente e il progetto cinematografico di Barbie sarebbe stato presto catalogato come un eccessivo spreco di soldi ed energia.
Lotta al patriarcato dei Ken
Ecco l’ennesimo film fatto da donne in cui il cattivo è l’uomo, il maschio alfa che non capisce niente e viene disegnato come un mostro: per quanto assurda possa sembrare questa frase, vi assicuro che è un pensiero che qualcuno farà in modo convinto, interpretando male l’arco narrativo affidato a Ken, l’incompreso, bistrattato, dato per scontato Ken. Lui, che vive solo per essere considerato da Barbie, farla felice in attesa che lei ricambi il suo amore. Lui che, un volta approdato nel mondo reale, si rende conto che può essere preso sul serio, che gli uomini vengono rispettati e tenuti in considerazione per il solo fatto di esistere, che vanno in giro a cavallo, sanno sempre che ora è (anche quando non lo sanno) e sono al comando delle loro vite. Quello stesso Ken che si lascia sedurre dal potere e dimentica se stesso, pur non avendo mai capito chi volesse essere davvero. E se Barbie è oggettivamente un film che mira a essere femminista, giocando proprio con la figura della donna più stereotipata della storia contemporanea, non lasciatevi prendere in giro dal lavoro svolto su Ken. Contrariamente a quanto ci si aspetta, è su di lui che si riversa l’empatia di chi guarda, è la sua storia che vuoi vedere compiersi, è la sua evoluzione che aspetti più di tutte le altre, perché è di lui, il fantomatico punto nero in un mondo tutto rosa, che cattura le attenzioni di tutti. E quanto questo stoni con l’affermazione fatta all’inizio di questo discorso rendendola completamente senza senso lo lascio decidere a voi.
Barbie è un film perfetto? No, ma è un film sulla perfezione e su quanto il ricercarla sia estremamente estenuante per tutti. È un film umano che ha come protagonisti delle bambole. È un film semplice che si serve delle architetture più complesse. È un film estremamente superficiale in cui tutto è studiato con un’attenzione eccezionalmente profonda. È un film estetico, musicale, comico, d’azione e drammatico. Giocare con le Barbie ha sempre dato la possibilità a chiunque di creare il mondo che volevano, senza regole e compromessi, ed è un po’ quello che fatto Greta Gerwig, giocando a suo modo con questo personaggio. Certo, ci sono dei momenti, uno in particolare, in cui tutti i ragionamenti, i percorsi e gli ideali raccontati fino a questo momento perdono di fuoco e la narrazione cade nel più classico e fastidiosamente antiquato dei cliché, ricucendo addosso alla donna un ruolo che ormai, si spera, non serva più a caratterizzarci così tanto. Ma possiamo imparare anche noi ad accettare le imperfezioni di questo Barbie e apprezzarlo per quello che è, senza chiedergli più di quello che è disposto a darci.
Voto: 8