Quando, fissando le isteriche barre colorate che sfarfallavano sul monitor durante il caricamento di Katakis, pensavamo ai videogame del futuro, eravamo soliti delineare i contorni di una luccicante Shangri-La dei pixel in cui le nostre più ardite fantasie diventavano realtà. I limiti tecnici e strutturali dell’epoca si sarebbero trasformati in un pallido ricordo e tutti avremmo goduto assieme dei frutti di un’industria potente, sana ed equilibrata… Sebbene sia innegabile che, nel corso dell’ultimo quarto di secolo, il mondo videoludico abbia registrato un processo evolutivo per volti versi superiore alle aspettative, quel meraviglioso avvenire sognato ai tempi del C64 rimane però ancora un miraggio lontano: al superamento delle barriere che parevano tenerne imbrigliato il potenziale creativo, non sembra essere difatti seguita un crescita strutturale altrettanto salubre. In alcuni casi, la soluzione a determinate problematiche si è ad esempio trasformata a sua volta in ostacolo e quella tanto auspicata crescita del mercato di riferimento ha finito per generare una tale serie di anomalie ideologiche da mettere a serio rischio la qualità della nostra gaming experience. A seguito di una profonda analisi del contesto, abbiamo provato ad isolare le sette maggiori piaghe dell’industria contemporanea: sette peccati capitali che, compromettendone credibilità e fruibilità, ne rallentano lo sviluppo, e che vanno estirpati o quantomeno combattuti con decisione, prima che i danni riportati dall’intero movimento videoludico diventino insanabili.
7. Limited e Special Edition
Le edizioni a tiratura limitata nacquero originariamente come romantica celebrazione di un evento tanto raro da rischiare di essere unico e, in quanto tali, presentavano carattere altrettanto sporadico, come poteva essere il lancio di un nuovo capitolo della saga di Zelda o il ritorno in scena di un brand che avesse fatto la storia del suo genere. Roba da collezionisti, tanto per capirci, laddove per collezionismo si intenda una pratica mirata alla nobile preservazione della rarità assoluta. Col tempo questo concetto è andato purtroppo incontro ad un progressivo travisamento che ha finito per trasformare l’eccezione in prassi: ad oggi, si può in effetti costatare che quasi ogni videogame presente sul mercato vanti una propria edizione limitata e che le aziende facciano a gara per realizzare l’offerta più astrusa. Al netto di qualche sparuta eccezione, le confezioni dei titoli venduti in questa forma non sono tuttavia altro che scatoloni zeppi cianfrusaglie più o meno inutili le quali arriveranno difficilmente a vantare un qualsiasi valore in ottica collezionistica. A conti fatti, l’unico effettivo scopo di questi “pacchi” parrebbe soltanto quello di gonfiare prezzi di lancio già di per sé cospicui e spillare quattrini facili a utenti talvolta ottenebrati dalle proprie passioni.
6. Brand a cadenza annuale
C’è stata un epoca in cui questa voce sarebbe appartenuta ai sequel: ci riferiamo al periodo compreso tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000 in cui il lusso della serializzazione risultava ormai alla portata di qualsiasi progetto che riuscisse ad arrivare sugli scaffali dei negozi. Quasi a ricordarci che al peggio non c’è mai fine, la serializzazione matta e disperatissima di qualche anno fa ha lasciato il posto alla produzione a cadenza annuale: un’iniziativa dal taglio persino più invasivo che mira probabilmente a trasformare l’opera videoludica in un prodotto fast food da rinnovare ciclicamente, a prescindere da una reale necessità. Sostanzialmente introdotto in ambito sportivo, questo malcostume ha inglobato anche brand di natura diversa come Call of Duty ed Assassin’s Creed e nonostante sia ormai evidente che la filosofia produttiva alla base del modello sia invisa al pubblico, diverse aziende continuano stoicamente ad abbracciarla.
5. Remaster e remake
Se un gamer degli anni ’90 venisse catapultato per caso in uno dei nostri negozi specializzati farebbe probabilmente fatica a credere di aver viaggiato nel futuro: in barba al numero 4 stampato sulla confezione della Playstation, alla bizzarra forma della nuova console Nintendo e alla misteriosa X stampata altrove, questi si ritroverebbe difatti a fissare scaffali su cui giacciono titoli come Crash Bandicoot, Wipeout, Super Street Fighter II o cartelloni pubblicitari inneggianti all’arrivo di Final Fantasy VII… L’iperbole punta ovviamente ad estremizzare i contorni di un contesto bizzarro, in cui buona parte delle novità sono riproposizioni di titoli classici: al di là di ogni ironia, il problema in ogni caso esiste ed è anche di dimensioni ingenti, per non dire in netto contrasto con lo scopo ultimo di un settore che, per definizione, dovrebbe guardare sempre al domani. Delle sette piaghe evidenziate in questo approfondimento, questa è probabilmente l’unica sulla quale gli utenti hanno un effettivo margine di intervento diretto: la protrazione di questa oscena politica del riciclo è difatti legata a doppio nodo con l’accondiscendenza del pubblico. State certi che nel momento in cui l’acquirente inizierà a bocciare l’usato sicuro per tornare a premiare l’innovazione, sviluppatori e publisher non potranno che adeguarsi al trend… Ma in un contesto in cui il secondo remake di Shadow of the Colossus in 5 anni viene considerato un evento da festeggiare risulta francamente difficile ipotizzare una prossima inversione di tendenza.
4. Patch e aggiornamenti
Normalmente, nessuno mai acquisterebbe un bene di qualsiasi tipo senza avere la garanzia che esso fosse pronto alla vendita e privo di difetti in grado di compromettere o alterare la rispettiva fruibilità. Nel contesto videoludico questa banale norma di buona creanza costituisce tuttavia un pretesa quasi assurda che l’utente neanche vuole concedersi più. Nella distorta logica di questo mercato è sostanzialmente normale acquistare a prezzo pieno prodotti incompleti o fallati nella speranza del rilascio di una o più patch postume che pongano eventuale rimedio al tutto. A complicare ulteriormente le cose vanno a sommarsi i ciclici aggiornamenti legati al sistema operativo delle macchine in nostro possesso, figli anch’essi alla vana promessa di ottimizzare la nostra gaming experience. Nel frattempo, quest’ultima rimane schiacciata sotto il peso di giga e giga di zavorra da accumulare su hard disk, lasciandoci puntualmente a temere che, proprio quando avevamo cinque minuti per giocare, sia purtroppo arrivata la fatidica “ora di aggiornare”.
3. Multiplayer only
Arrivano nei negozi con l’arroganza della Killer Application e le fanfare dell’advertising; fanno incetta di vendite al Day One, ma dopo una o due settimane vanno accumulandosi a frotte come gusci vuoti sullo scaffale dell’usato mentre il loro valore scende di minuto in minuto. Secondo i magnati dell’industria, i videogame a solo uso e consumo della platea online sono il futuro del mercato e l’unico terreno fertile su cui vale la pena investire, ma al netto di appassionati che scelgono tuttavia con cura chirurgica i pochi progetti cui dedicare la propria attenzione (e in molti casi la propria vita) il popolo sembra non condividere questo entusiasmo. Dovesse avverarsi l’infausta profezia, ben presto il culto del gaming si ridurrebbe d’altronde ad una volgare mensa dell’usa e getta in cui i prodotti vengono consumati, scartati e abbandonati nell’arco di poche ore, senza peraltro vantare alcun effettivo coefficiente di rigiocabilità. A quel punto, molti di noi saranno probabilmente pronti per attaccare il pad al chiodo: ditelo a quelli secondo cui il single player, le grandi storie e i titoli che tra dieci, venti o trent’anni potrebbero vantare ancora una propria ragion d’essere non sono ormai altro che il rigurgito di un’epoca tramontata.
2. Console mid-gen
Evoluzione casalinga dell’immediato modello di arcade gaming, il format di console nacque e si sviluppò sul fondamentale concetto del Plug & Play escludendo pertanto a priori dall’equazione ogni alterazione modulare legata alla sfera dei personal computer. In tal senso essa era ed è, per definizione, è un prodotto finito, completo, che assicura prestazioni analoghe in ogni possibile contesto. Già parzialmente favorito dall’importazione forzata di molti elementi strutturali cari alla sfera PC quali sistemi operativi, update software e patch di corredo, il processo di ibridazione che ha portato le differenze tra Personal Computer e console a ridursi drasticamente, ha registrato un’ulteriore impennata nel corso dell’attuale generazione di sistemi segnando, con la produzione di PS 4 Pro e Xbox One X, il crollo dell’ultimo tabù ideologico che separava i due mondi. Oltre a determinare un eccessivo aumento delle potenziali spese da sostenere per abbeverarsi alla fonte del gaming, la “console di mezzo” non si limita in ogni caso a tradire la sola natura del progetto, ma costituisce anche e soprattutto un pericoloso precedente storico destinato probabilmente a favorire la nascita di iniziative sempre più aggressive a riguardo.
1. Microtransazioni
Di tutte le forzature introdotte dall’industria moderna con lo scopo di sostenere i suoi mastodontici costi di gestione, le microtransazioni costituiscono senza dubbio quella più invadente e controversa. Già di per sé discutibile nella forma originaria che prevedeva l’esborso di fondi supplementari per acquisire asset, elementi di gioco o interi sezioni dello stesso non incluse nel prodotto finito, la pratica in questione ha registrato proprio di recente un balzo “evolutivo” ancor più preoccupante, andando ad intaccare l’intrinseco scopo del videogame, vale a dire la necessità di acquisire esperienza e facoltà speciali attraverso la pratica. Al di là di ogni odiosa sfumatura lucrativa, la questione esula in effetti dalla sola sfera economica, finendo per coinvolgere l’intero sistema videoludico e segnare un potenziale punto di non ritorno per le sue diramazioni competitive. Quali vantaggi concettuali potrebbe d’altronde mai trarre un medium in cui il Pay-to-Play viene stato sostituito dal Pay-To-Win?
Queste sono, a nostro avviso, le maggiori problematiche caratterizzanti l’attuale industria del gaming: siamo consapevoli che non siano le sole e siamo altrettanto certi che ognuno di voi avrebbe almeno una o due voci da aggiungere all’elenco. Giusto in proposito, vi va di dire la vostra?