Solido, come il brand che Kojima è riuscito a costruire nel tempo, capolavoro dopo capolavoro. Solido, come il protagonista, capace di cose che nemmeno un miscuglio di Rambo e Sam Fisher sarebbe in grado di gestire. Solido, come la demo di gameplay alla quale ho potuto assistere presso lo stand losangelino di Konami, rigorosamente a porte chiuse e col pad ben stretto tra le mani di uno degli sviluppatori. Questo è The Phantom Pain, sicuramente il progetto più ad ampio respiro di Mr. Kojima, fatto di mappe aperte, di mille possibilità e (per fortuna, o per sfortuna) di mille dialoghi e cutscene. A proposito di quest’ultimo aspetto, per capire il predominio dell’una sull’altra occorrerà attendere il prodotto finale; la demo dell’E3 (questa volta “davvero” per fortuna) ha mostrato tanto giocato, sufficiente per capire che se prima le possibilità in mano al giocatore erano 10, ora si passa tranquillamente quota 100.
Prima di fare un piccolo resoconto sulle questioni prettamente ludiche, voglio soffermarmi un secondo sul lato tecnico. Metal Gear Solid V: Phantom Pain mostra grandi cose durante le scene d’intermezzo, ma il mondo di gioco è ben lontano dall’essere perfetto, visto che il popup è di casa e la visuale “sulla distanza” perde completamente di dettaglio (un problema del Fox Engine, già riscontrato in Ground Zeroes). C’è, insomma, la sensazione che Kojima abbia poca dimestichezza con scenari open world, nonostante le buone cose mostrate negli anni passati. Attendiamo fiduciosi migliorie importanti da questo punto di vista, giacché di tempo per limare il fronte tecnico ce n’è in abbondanza.
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Fatta questa doverosa premessa, parliamo delle cose eccellenti di Phantom Pain. Nella demo il nostro protagonista monobendato, alias Big Boss, doveva infiltrarsi all’interno di un grande avamposto in una gola desertica, salvando un ostaggio e, al contempo, recuperando alcuni documenti importanti. Dopo aver raggiunto la zona a cavallo, lo sviluppatore che gestiva la presentazione ha mostrato subito le enormi possibilità in mano al giocatore. Attraverso il binocolo, per dire, abbiamo l’opportunità di marcare i nemici in zona proprio come in Ground Zeroes, con in più la possibilità di segnare sulla mappa hotspot a nostro piacimento. In questo modo si è in grado di delineare la strada prescelta a suon di waypoint o, più semplicemente, tenere sempre ben visibili a schermo gli angoli più pericolosi dell’avamposto.
Una mappa enorme è inutile se non viene fornita al giocatore tutta una serie di strumenti per variegare al massimo l’approccio. In questo, il lavoro svolto dal team di Kojima è rilevante, visto che alcune vecchie conoscenze sono state riviste e ampliate. Per esempio, la famigerata C.Box non è più solo una scatola ove nascondersi nei momenti difficili, ma è diventata uno strumento diversivo importante. Una volta dentro la C.Box, difatti, possiamo aprirla da sopra e sparare con la pistola silenziata, per poi rientrare e continuare la nostra passeggiata stealth. Anche tutte le altre azioni possono essere messe in opera senza dover disequipaggiare la scatola di cartone. Volete far sparire in cielo un nemico precedentemente addormentato grazie al sistema di recupero Fulton (sì, proprio quello di Peace Walker)? Nessun problema… basta avvicinarsi da dentro la C.Box e attaccare lo strumento all’inerme soldato, senza perdere nulla in percentuale di invisibilità. Un nemico ha visto la C.Box muoversi? Poco male… con la semplice pressione di un pulsante, possiamo lanciarci silenziosamente fuori da un lato, nasconderci a poca distanza e attendere che il soldato impiccione si avvicini alla scatola, per poi prenderlo da dietro o atterrarlo con un proiettile soporifero ben assestato.
Qualora decidessimo di voler utilizzare uno strumento che non abbiamo nell’inventario, possiamo chiamare la base e farcelo mandare dal cielo, grazie a droni trasportatori. La scatola scende poi placidamente verso di noi, dopo essere stata paracadutata da una certa altezza; in questo caso, nulla ci vieta di ordinare la chiusura del paracadute prima del tempo, così da farla cadere in testa a qualche ignaro nemico sottostante. Questa pratica, per quanto ho avuto modo di intuire, pare parecchio pericolosa (che succede se non si colpisce il soldato? E se ce ne sono altri nei paraggi, questi si accorgeranno di ciò che sta accadendo?), ma sicuramente i più esperti di voi non mancheranno di impratichirsi a dovere e di trasformarla in una delle attività più prolifiche del gioco. Dopotutto, prendere due piccioni con una sola fava non è una cosa che capita tutti i giorni nei titoli di Kojima.
Ad aggiungere quel pizzico di imprevedibilità, ci sono anche il meteo dinamico e il ciclo giorno/notte. Nel primo caso, se la pioggia rischia di rivelarsi solo un orpello estetico, diverso è il discorso per altri eventi atmosferici come le tempeste di sabbia, il cui vento sferza sulle membra e riduce l’agilità dei movimenti, per non parlare della cecità improvvisa su tutto l’ambiente circostante (e che può trasformarsi in un prezioso alleato, all’occorrenza). Aggirarsi per la mappa nottetempo, col favore delle tenebre, è sicuramente la situazione ideale per chi ama “spingere” verso lo stealth senza compromessi; far scorrere l’orologio a nostro uso e consumo è possibile… basta accendere un sigaro, rigorosamente elettronico e capace di produrre un fumo olografico, con tutti i benefici per la salute nostra e di Big Boss.
I palloni aerostatici, alias Fulton, che vi ho citato poco fa non servono solo a far sparire i corpi dei nemici dalla mappa, ma possono essere sfruttati anche per far nostri parecchi altri elementi, che verranno “stoccati” poi nella nuova Mother Base, a fine missione. Per esempio, un jeep dotata di mitragliatrice rischia di tornare utile, prima o poi, e quindi perché non fargli fare un bel giro nei cieli di The Phantom Pain?
In sintesi, Metal Gear Solid V non fa altro che riprendere ed espandere a dismisura il Kojima-pensiero. Mezz’ora di gioco è davvero poco per cogliere l’essenza di un titolo dal respiro così ampio, ma i tratti somatici della serie sono evidenti ed è chiaro fin da ora che i fan indefessi troveranno pane gustoso per i loro denti, al netto di qualche problemino tecnico che si spera risolto prima del lancio. Tutti coloro che invece non sono mai stati attratti da Metal Gear, dovranno attendere test più approfonditi (se non, addirittura, la versione scatolata del gioco), prima di capire se The Phantom Pain possa o meno rivelarsi il pretesto giusto per “entrare nel giro” e – perché no – andare a ripescare emozioni anche nel glorioso passato della serie.