Con la distribuzione pubblica della prima versione shareware di Doom, il mondo dei videogame avrebbe varcato quella fatidica linea di demarcazione che separa un’era geologica dall’altra. Alla stregua di un Pac-Man o uno Space Invaders, il Monster-Classic targato id Software seppe, in altre parole, stravolgere per sempre il modo di “fare videogame”, andando a scavare in un terreno di soli pixel quell’impervio sentiero di tridimensionalità destinato a trasformarsi in una vera e propria autostrada a otto corsie verso il futuro del medium.

Annali alla mano verrebbe ovviamente spontaneo rivendicare la cruda realtà dei fatti e sottolineare che Doom non sia stato magari il primo videogame della storia a “pensare in 3D”, né tanto meno il primo ad azzardare la fusione tra elementi bitmap e strutture poligonali, ma di certo è stato il primo titolo ad aver sublimato queste intuizioni: in altre parole, fino al 9 Dicembre del 1993 si era parlato di sola sperimentazione e giocato a prototipi in divenire; due giorni dopo il mondo aveva invece tra le mani un format non soltanto completo, ma così efficace da ritrovarsi in cima alla catena alimentare ad oltre 22 anni di distanza dal suo battesimo.

Lo stesso Doom, con tutte le sue pur evidenti sgranature e le buffe magagne architettate ad arte per conferire adeguato volume a semplici sprite bidimensionali, continua a risultare più che gradevole ancora oggi, confermando in tal senso la tesi secondo cui l’unico, vero classico è quello che risulta coinvolgente ora come allora, senza mostrare limiti che esulino dalla mera sfera grafica.

Di fronte all’acquisizione di un tale traguardo, persino l’entità del successo di pubblico e critica riscosso dal codice originale, rispettive espansioni e successivi sequel appare in tal senso pleonastica: cosa se ne potrebbe d’altronde mai fare dei meri numeri, il gioco che ha cambiato per sempre il volto di questo medium?
GLI ANTENATI
Per raggiungere quella solidità strutturale che avrebbe fatto la fortuna di Doom, i ragazzi della id Software ne limarono la formula basilare per oltre un decennio, dando vita a progetti alquanto pioneristici. Dai primi studi sulla spazialità tridimensionale operati con Hovertank alla complessità di Wolfenstein 3D, questo processo trovò il suo ideale punto di svolta nel codice di Catacomb 3D.
HOVERTANK 3D 1991
L’amalgama di elementi bitmap e strutture poligonali alla base del format di Doom venne testata per la prima volta negli studi della id Software con lo sviluppo di questo elementare tank-shooter.
CATACOMB 3D 1991
Catacomb 3D ridefinì la formula di Hovertank a misura d’uomo, introducendo elementi stilistici riutilizzati poi nello stesso Doom, come la presenza del viso del protagonista in sede di HUD.
WOLFENSTEIN 3D 1991
L’antenato più prossimo di Doom presentava, per forza di cose, analogie marcate con quest’ultimo. A questo codice, che riscosse anche un successo tanto eclatante da consentire al brand di sopravvivere fino ad oggi, si deve la decisiva svolta verso frenetici ritmi da shooter e la possibilità di visualizzare le armi impiegate al centro della videata di gioco.
FRATELLI COLTELLI
Carmack & Romero. Spirito apollineo e dionisiaco; due modi completamente diversi di concepire la vita, il lavoro e l’arte ritrovatisi a convivere in una realtà che sarebbe presto diventata troppo piccola per contenerli entrambi. Fin quando la rigida tecnica del primo e lo sregolato genio del secondo riuscirono a completarsi, la loro collaborazione garantì frutti rari e succulenti, ma tutti sapevano che un giorno o l’altro il duo sarebbe finito per implodere.

Casus belli definitivo, nient’altro che l’exploit di Doom: un evento di tale risonanza da accelerare l’inevitabile collisione dei due estremi e tradursi in una frattura rimasta insanabile. Da un lato, il gelido Carmack, asceta del coding in cerca di un cuore che non ha saputo infondere in nessuna delle sue opere successive. Dall’altro, il passionale Romero ostaggio del suo irripetibile successo, sempre alla ricerca di una guida cui affidare il suo cuore.
DOOMGUY: ANATOMIA DI UN ANTIEROE
Fatta eccezione che per il suo celeberrimo volto, un meraviglioso cameo di Pixel Art animato alla buona in cui alcuni rintracciavano la fisionomia di Bruce Willis, il protagonista di Doom non avrebbe avuto granché da raccontare al suo pubblico. Privo persino di un nome, questi veniva infatti inquadrato dal manuale del gioco come un semplice marine spaziale, spedito su Marte come punizione per aver aggredito un superiore.
Così come accaduto più di recente per personaggi altrettanto “anonimi” come Master Chief di Halo, questa apparente carenza di personalità gli avrebbe tuttavia conferito un fascino speciale, favorendo una sintonia immediata tra giocatore e personaggio.