Dove eravate dieci anni fa? In quale direzione stava procedendo la vostra vita? Quali erano i sogni, le ambizioni, le speranze che avevate? Ma soprattutto, messa da parte la caotica frenesia del mondo reale, quale altro microcosmo videoludico eravate soliti visitare per trascorrere qualche attimo di puro divertimento? Io ero impegnato a farmi largo tra i claustrofobici corridoi della U.S.G. Ishimura di Dead Space, affettando necromorfi e raccogliendo moduli di stasi come se non ci fosse un domani, ma frattanto contavo i giorni sul calendario nell’attesa che presso il mio Blockbuster di fiducia (lo preferivo a GameStop sia per la vicinanza che per gli Häagen-Dazs) arrivasse la copia di Fallout 3 che avevo prenotato. Ho scoperto gli originali quasi per caso, durante un turno di guardia particolarmente noioso sotto le armi quando un superiore, con il quale avevo portato a termine Baldur’s Gate nei tempi morti, mi aveva consigliato lo straordinario capolavoro post-atomico firmato Urquhart, Cain e Fargo. Quindi avevo seguito la saga in tutti i successivi alti e bassi, compreso l’infame Brotherhood of Steel per console, senza mai mettere in dubbio la bontà dell’ambientazione e della potenza narrativa, sempre in bilico fra il serio, il faceto e il completamente assurdo, che affiorava da ogni passo compiuto sull’arido suolo delle terre selvagge, e la gioia di tornarlo a calpestare dopo un’eternità di assoluto silenzio, nonostante Bethesda avesse deciso di conferire all’esperienza un’impostazione alla The Elder Scrolls che aveva fatto storcere il naso a molti, era riuscita a soverchiare qualsivoglia dubbio. Così, con il pupazzetto del Vault Boy e un paio di generose pinte di cioccolato belga al fianco, ho vestito i panni del Vagabondo Solitario e mi sono immerso nella luce radioattiva al di fuori del Vault 101, senza mai guardarmi indietro.
L’attrattiva principale di Fallout 3 è costituita dalla facoltà di esplorare una mappa gargantuesca piena di scorci da ammirare, incarichi da compiere e, soprattutto, storie da ascoltare e da vivere: vagare per la Zona contaminata della Capitale, così com’è stata ribattezzata l’area metropolitana di Washington D.C., senza una vera e propria meta è il modo perfetto per imbattersi in qualcosa di unico. Anche dieci anni più tardi, le missioni secondarie prodotte dal connubio artistico di Todd Howard ed Emil Pagliarulo mi hanno tenuto impegnato più a lungo degli eventi raccontati in qualsiasi altro gioco, soprattutto perché ho cercato approcci alternativi alla risoluzione delle stesse che non mi hanno mai deluso: la Famiglia, a esempio, è un agglomerato di persone che convivono assieme a ratti, ghoul e altri abitanti poco amichevoli del sottosuolo, convinte dal loro carismatico leader di essere un clan di vampiri; l’esperimento condotto nel Vault 112 mantiene i suoi abitanti in animazione sospesa e proietta le loro coscienze all’interno di una simulazione virtuale, per la sadica compiacenza del Soprintendente; l’anziana Agatha Egglebrecht è una musicista che ci chiede di recuperare un prezioso violino dall’insediamento sotterraneo in cui risiedeva, in modo da poter diffondere le sue note attraverso una frequenza radiofonica altrimenti inaccessibile grazie all’apparecchiatura che il defunto marito le ha lasciato in eredità; un inatteso lembo di terra verdeggiante è il frutto (letterale) di una nostra vecchia conoscenza, un umano già incontrato nei precedenti titoli la cui protuberanza arborea si è sviluppata a dismisura fino a trasformarlo nel fulcro di una vera e propria oasi. E come dimenticarsi di Megaton, la città nata intorno a un massiccio ordigno inesploso che ha generato un autentico culto incentrato sull’adorazione della potenza distruttiva generata dalle esplosioni nucleari, ritenendo la scissione dell’atomo portatrice di nuova vita. Queste sono solo alcune delle vicende in cui ci imbatteremo nel nostro pellegrinaggio, alla ricerca di un padre scomparso in circostanze misteriose, e rappresentano per l’appunto il richiamo più forte esercitato dal gioco sui suoi utenti: il puro, semplice, genuino piacere derivante dalla scoperta.
È questo il motivo per il quale Fallout 3 ha conservato intatto il suo fascino a un decennio di distanza dal suo rilascio: la vastità della superficie calpestabile unita alla ricchezza di situazioni e di scelte etiche complesse permette a ciascuno di lasciare la propria, tangibile impronta nelle cronache del dopo bomba, diventando un messia salvifico, un castigo divino o, con ogni probabilità, una via di mezzo fra i due. Lo ammetto, anche quando gioco non riesco mai ad abbracciare del tutto il “lato oscuro”, e così formulo quasi sempre scelte positive o quantomeno poco dannose per gli ignari personaggi non giocanti che ripongono in qualche misura il loro destino nelle mie mani, ma rivisitare un titolo come questo significa anche sperimentare con quanto hai ignorato la prima volta, bagnarsi i piedi in acque inesplorate e assistere di persona alle conseguenze di mosse meno convenzionali del solito.
Perciò, ho fatto saltare in aria Megaton.
In fin dei conti, mister Burke aveva ragione: i suoi abitanti avevano perso la testa, intenti com’erano ad adorare lo stesso cancro che stava lentamente togliendo loro la vita, e ignari o noncuranti dei secoli di degrado fisico e malattie cui si stavano esponendo. Le preoccupazioni di quel sensibile cittadino così ben vestito erano fondate, e ho deciso di risparmiare ulteriori sofferenze a quegli stolti e alla loro progenie manipolando l’immensa bomba al centro dell’insediamento senza farmi notare, per poi dirigermi verso la massiccia Torre di Tenpenny dove Burke e il proprietario dell’edificio, il magnate Allistar Tenpenny, avrebbero ricompensato i miei sforzi. Ma, lungo la strada, ho lasciato che il deficit d’attenzione avesse la meglio su di me, dirigendomi verso tutti i punti di interesse segnalati sul display del mio fido Pip-Boy: ho incontrato un gruppo di simpatici residenti di un Vault chiamati tutti Gary, il cui limitatissimo vocabolario e la spiccata avversione per gli estranei non hanno giocato a favore della loro sopravvivenza, ho assaggiato gli squisiti pasticci di carne degli abitanti di Andale, senza farmi troppe domande su quel retrogusto abbastanza marcato, e ho rovesciato il tirannico predominio di Dave sulla sua cosiddetta Repubblica con un colpo ben piazzato fra le scapole, lontano da occhi indiscreti. Insomma, alla fine la suite che mi attendeva in cima alla Torre di Tenpenny e lo spettacolo offerto dal fungo atomico che riempiva lentamente l’orizzonte laddove fino a pochi istanti prima si ergeva la pericolosissima Megaton sono stati un premio più che meritato per le mie gesta.
Per quanto le apparenze possano ingannare, il terzo capitolo ufficiale di Fallout resta in primis un gioco di ruolo più che uno sparatutto in prima persona, equivoco che può derivare dalla scelta della prospettiva di default: benché sia possibile affrontare esplorazione e combattimenti senza pause significative, la mancanza effettiva di precisione e stabilità induce ad abusare del Sistema di Puntamento Assistito Vault-Tec, o S.P.A.V., che rallenta l’azione consentendoci di mirare su parti specifiche degli avversari, calcolando le probabilità di successo a seconda della distanza, della linea di tiro e delle abilità specifiche con l’arma imbracciata. È un pratico escamotage che mescola tempo reale e turni alterni, un compromesso non perfetto ma estremamente godibile che in più di un’occasione mi ha fatto sperare di vederlo implementato in qualche modo nelle altre produzioni della software house del Maryland, come per l’appunto i già citati The Elder Scrolls, e che conserva ancora intatta la sua efficienza. Tuttavia, altrettanto non si può dire per il motore grafico che, sebbene offra scorci incredibilmente suggestivi resi ancor più indimenticabili dai giochi di luci e ombre del perenne ciclo giorno/notte, mette in risalto senza appello la marcata legnosità e gli sguardi vacui degli abitanti delle terre desolate. Certo, esistono innumerevoli modi per PC che migliorano le lacune più evidenti di questa particolare declinazione del rinomato Gamebryo, ma anche la versione “liscia” di Fallout 3 non può lasciare indifferenti dinanzi alla maestosa devastazione che si stende lungo la linea dell’orizzonte, testimonianza tangibile della follia generata dall’uomo sulle note di un orecchiabile motivetto degli Ink Spots. A tal proposito, anche la sua interfaccia utente è quanto di più adatto si possa escogitare per le atmosfere del gioco, con una perfetta amalgama di senso estetico e funzionalità: laddove in molti ricercano il minimalismo assoluto per non distogliere lo sguardo dai virtuosismi del mondo digitale, la sfacciata ingombranza del Pip-Boy lo rende paradossalmente più razionale e caratteristico di tante altre soluzioni scelte dai “colleghi”, senza intaccare affatto l’immedesimazione del giocatore ma, anzi, accrescendola in maniera esponenziale.
E poi, non vorremmo mai privarci della voce di DJ Tre Cani che commenta i nostri exploit più rimarchevoli fra un brano di Billie Holiday e uno di Jack Shaindlin. A meno che non decidessimo di recarci di persona presso la sede di Galaxy News Radio e porre fine alla sua carriera di speaker in via definitiva, s’intende.
https://www.youtube.com/watch?v=O7a1GVlC9SM
Riassumendo, se non avete mai provato Fallout 3 in vita vostra non c’è momento migliore per colmare questa mancanza: il sistema di creazione del proprio avatar offre un’incredibile flessibilità sia a livello estetico che meccanico, grazie alla libera distribuzione di tratti e inclinazioni. Possiamo interpretare un soldato esperto di armi di ogni tipo, uno scienziato che sfrutta la propria conoscenza dei meccanismi elettronici per piegarli alla propria volontà, o un affabile gentiluomo che utilizza la persuasione per fare lo stesso con i propri interlocutori. O ancora, per aumentare il grado di sfida, è anche possibile azzerare il proprio punteggio di intelligenza e venire trattati con condiscendenza da chiunque incontriamo. L’unico limite alla nostra fantasia siamo noi stessi. Così come i capostipiti della saga, l’odissea del Vagabondo Solitario non risente affatto dei dieci anni che ormai porta sul groppone, e il mondo di avventure e traversie che Bethesda Softworks è riuscita a intrecciare al suo interno è, per molti versi, ancora incomparabile oggi come allora. Non importa quale genetliaco abbia festeggiato, perché incamminarsi lungo la zona contaminata per la prima volta o per l’ennesima varrà sempre tutto il tempo che decideremo di dedicargli.