Dopo una spasmodica attesa durata oltre un lustro, a fine luglio tutti gli appassionati della fantastica serie di visual-novel giudiziarie partorite dalla mente del geniale Shu Takumi per conto di Capcom potranno finalmente mettere le mani su The Great Ace Attorney Chronicles, una raccolta di due spin-off pubblicati originariamente su Nintendo 3DS per il solo territorio giapponese che ci catapultano nei panni di Ryunosuke Naruhodo, antenato del nostro pettinatissimo Phoenix Wright (conosciuto in patria come Ryuichi Naruhodo, per l’appunto), protagonista della stragrande maggioranza degli Ace Attorney. Al contrario dei titoli principali, ambientati in un mondo non troppo distante dal nostro con qualche accenno di tecnologie “futuribili”, sia The Great Ace Attorney: Adventures (Naruhodō Ryūnosuke no Bōken, ovvero L’Avventura di Ryunosuke Naruhodo) che The Great Ace Attorney: Resolve (Naruhodō Ryūnosuke no Kakugo, La Determinazione di Ryunosuke Naruhodo) sono ambientati verso la fine del periodo Meiji in Giappone, quando la professione di “avvocato difensore” era ancora un concetto relativamente nuovo nella società nipponica: primo attore delle vicende, spesso anche suo malgrado, è il suddetto Ryunosuke, accompagnato da un’assistente giudiziaria di nome Susato Mikotoba, figlia del professore di patologia forense dell’università frequentata dall’aspirante legale. Sebbene il gioco abbia inizio nella terra del Sol Levante, la scena si sposta ben presto tra le fumose vie di Londra, capitale di un Impero Britannico all’apice del suo sviluppo industriale e coloniale, dove avremo modo di confrontarci con un sistema legale all’avanguardia e di fare la conoscenza di un variegato cast di comprimari, incluso il detective inglese più celebre e autorevole al mondo, ossia… Herlock Sholmes.
The Great Ace Attorney Chronicles: i nipponici sono una razza oltremodo affascinante
In questo consistente scampolo di avventura, gentilmente offerto da Capcom stessa, ho potuto saggiare con mano tre dei cinque casi che compongono la prima parte delle peripezie del giovane Naruhodo, anche se prima ritengo sia doveroso fronteggiare il proverbiale elefante nella stanza: ebbene sì, nella versione occidentale le figure di Sherlock Holmes e John Watson non hanno purtroppo mantenuto i loro nomi letterari, benché il doppiaggio giapponese li pronunci ancora in tal modo e il gioco contenga riferimenti espliciti a diverse opere di Arthur Conan Doyle. Il motivo più accreditato per tale scelta, in mancanza di una giustificazione ufficiale, è la volontà di evitare qualsivoglia controversia con la Conan Doyle Estate, la fondazione gestita dagli eredi dello scrittore britannico che detiene ancora i diritti su parte delle opere da lui firmate, e che già lo scorso anno avviò un procedimento legale nei confronti di Netflix per il suo Enola Holmes. Capcom ha quindi optato per un espediente già impiegato da Maurice Leblanc, il papà di Arsenio Lupin, che fece scontrare il suo ladro gentiluomo con un clone del noto investigatore chiamato, per l’appunto, Herlock Sholmes: poiché i racconti di Leblanc sono divenuti di dominio pubblico nel 2012, l’utilizzo di un appellativo già noto in campo letterario piuttosto che inventarsene uno di sana pianta mi è parso il compromesso migliore.
Nel confezionare le storie, Shu Takumi ha ripreso gli elementi di mistero e ambiguità che hanno caratterizzato gli episodi precedenti, epurandoli dai fattori un po’ più “soprannaturali” e riducendo l’enfasi posta sugli esaurimenti nervosi dei colpevoli messi alle corde, ma senza rinunciare al giusto equilibrio tra fasi drammatiche e toni scanzonati che rappresentano da sempre il marchio di fabbrica della serie. Il primo dei tre casi è, come da tradizione, un lungo tutorial sulle nozioni necessarie per affrontare le estenuanti battaglie nei tribunali, il più lungo nella storia degli Ace Attorney perché si dipana per ben tre giorni, ma la sua verbosità è necessaria per approfondire le nuove meccaniche di gioco legate alla minore rifinitura della scienza forense dell’epoca: non avremo infatti a disposizione alcun mezzo per rilevare impronte digitali o segni balistici, perciò gran parte del dibattimento è incentrato sulle testimonianze degli osservatori e sulle prove materiali che la polizia è riuscita a recuperare, tutti presupposti facilmente manipolabili che impegnano non poco le nostre facoltà di giudizio e ci forniscono un’esaustiva panoramica sui metodi di indagine di cui dovremo servirci nel prosieguo.
Qual è il motivo di questo sfogo indisciplinato?
Senza scendere troppo nei dettagli per non rovinarvi la sorpresa, come pure per conservare qualche gustoso retroscena per la recensione completa, gli altri due capitoli sono un classico enigma della camera chiusa, nel quale viene consumato un omicidio in circostanze apparentemente impossibili, e un tragico incidente dalle conseguenze mortali che coinvolge un altro personaggio realmente esistito il cui nome è stato preservato grazie all’autorizzazione esplicita dei suoi discendenti: trattasi nientemeno che di Natsume Soseki, uno dei novellisti più importanti della letteratura giapponese moderna e fra i primi a cimentarsi nell’interpretazione dei testi europei, spinto dalla propria tendenza idealistica che l’ha guidato nell’analisi dei valori espressi dal momento storico di transizione in cui è vissuto. La presenza di così tanti dettagli che mescolano circostanze e personaggi documentati con le gesta fittizie di Ryunosuke sono la naturale testimonianza del lavoro di ricerca svolto da Takumi e dal suo staff, e della passione riversata nell’intero progetto. In egual misura, la localizzazione effettuata da Janet Hsu, già responsabile dell’adattamento inglese di molti titoli del franchise, viene presentata in una variante dell’inglese britannico vittoriano che ricalca l’inflessione del periodo, pur mantenendosi comprensibile per il pubblico attuale: per fare ciò, ha consultato diversi dizionari pubblicati a cavallo tra il XIX e il XX secolo, ricercando uno stile tanto autentico quanto comprensibile per non costringere i giocatori a distogliere l’attenzione qualora si fossero trovati alle prese con termini troppo arcaici. Ingegnosa inoltre la scelta di differenziare l’utilizzo degli onorifici allo scopo di mettere in risalto il linguaggio utilizzato dai personaggi nipponici in pubblico e nel privato (inglese con mr. e mrs. nel primo caso, giapponese con -san nel secondo) senza cambiare lo stile dei dialoghi. Unica pecca per i non anglofoni, la mancanza di sottotitoli in italiano o in qualsiasi altra lingua che non sia quella parlata da Sua Maestà Britannica, probabilmente a causa dell’immane quantitativo di testo e, soprattutto, giochi di parole da tradurre.
Piattaforme: Nintendo Switch, PC, PlayStation 4
Sviluppatore: Capcom
Publisher: Capcom
Data di uscita: 27 luglio 2021
Insomma, al momento The Great Ace Attorney mi ha lasciato un’ottima impressione, grazie anche alla sua natura di titolo indipendente: nonostante la conoscenza degli altri episodi sia richiesta per cogliere qualche piccola allusione (su tutte, l’antenato di Winston e Gaspen Payne, Taketsuchi Auchi, che riveste grossomodo il medesimo ruolo durante il tutorial), la storia è assolutamente godibile anche per i neofiti che, anzi, potrebbero sfruttare questa occasione per avvicinarsi alla serie. Il passaggio ai modelli poligonali, già visto in Professor Layton vs. Phoenix Wright: Ace Attorney e Phoenix Wright: Ace Attorney – Dual Destinies, viene qui arricchito da animazioni in motion-capture e un utilizzo più esteso della telecamera, che abbraccia in maniera esaustiva gli ambienti per consentirci di esaminare il contesto da molte angolazioni differenti. Nel complesso, siamo di fronte ad una trasposizione eccellente di una coppia di titoli davvero notevoli, e a me non resta che attendere il prodotto completo con il fiato sospeso, nella speranza non dover avanzare alcuna obiezione in merito alla sua qualità.