Deliver Us Mars Recensione: all’ombra della luna

Deliver Us Mars

Ambizione. Spesso questa parola è associata a tante esperienze positive: il successo, un traguardo importante o il grande sogno irraggiungibile. Delle volte però, la stessa ambizione può portarci fuori strada e farci perdere il contatto con la dura e cruda realtà della vita. In un certo senso questa è la descrizione più poetica che si possa dare a Deliver Us Mars, il secondo capitolo della serie thriller sci-fi sviluppata dal piccolo team indipendente neozelandese KeokeN Interactive e pubblicata da Frontier Foundry. Un progetto nato proprio dall’ambizione dei suoi autori nel proporre un’avventura grafica emozionante e toccante, e che in certi versi riesce a muoversi su entrambi i lati della “scala” introdotta poco fa. ”Ma come è possibile?” direte voi. Allacciate le cinture, effettuate tutti i controlli necessari e preparatevi per il lancio alla scoperta del pianeta rosso e soprattutto di questa recensione.

Deliver Us Mars

Deliver Us Mars: “Un piccolo passo per l’uomo… Un grande passo per gli orsilunari!”

Per chi magari non è familiare con l’impostazione della narrativa dei titoli della serie “Deliver Us”, entrambi i giochi offrono una visione “realista” del genere sci-fi mettendo un particolare focus non tanto sulla tecnologia all’avanguardia e potenzialmente plausibile (seppur presente), ma piuttosto su tre pilastri principi: tematiche, personaggi e moralità. Nel mondo di Deliver Us Mars, la terra ha terminato le proprie risorse e ha già superato la linea di non-ritorno. La terra arida, l’acqua ormai in esaurimento e il malcontento generale delle colonie di umani rimanenti hanno portato ciò che rimane della WSA a cercare la salvezza tra l’immensità dello spazio. 10 anni dopo gli eventi di Deliver Us The Moon, la soluzione potrebbe trovarsi all’interno del pianeta rosso, diventata il nascondiglio di una “setta” di scienziati dissidenti e ricercati. Tra questi spicca il nome di Isaac Johanson, protagonista di alcuni eventi principali perpetrati sulla luna, ideatore del Sistema di trasmissione MPT e padre della protagonista Kathy. Dopo una breve, ma intensa introduzione al personaggio, preso atto delle sue abilità in ambito spaziale ed essere stati introdotti al suo rapporto con il già citato padre, Kathy viene aggiunta alla missione della WSA: recuperare le tre “arche” abbandonate su Marte, riportarle sulla terra e impiegarle nella rigenerazione della vita animale e vegetale del pianeta.

Pur non avendo delle premesse così rivoluzionarie e fuori di testa – già nel 2000 Don Bluth aveva portato “plot points” simili con lo sfortunato film d’animazione Titan A.E. – la narrativa di Deliver Us Mars risulta l’elemento più curato della produzione. Va detto, ci troviamo di fronte ad un esecuzione prevedibile? Certo, in alcuni casi i personaggi rientrano nei classici “archetipi degli standard del genere thriller”, ma non al punto da bocciare di netto l’intera sceneggiatura. Il modo in cui si comportano in relazione a ciò che accade su schermo è coerente con il setting instaurato e con il messaggio di denuncia principale dell’opera: in un mondo ormai fuori tempo massimo e sul punto di implodere a causa della mano insaziabile dell’uomo, è comunque possibile fidarsi l’uno dell’altro? Al giocatore l’ardua sentenza.

Deliver Us Mars

“Rovine e rompicapi, rovine e rompicapi, rovine e… rompicapi?”

Pad alla mano, Deliver Us Mars ripropone il gameplay esplorativo in terza persona caratterizzato da enigmi, collezionabili e segreti da scoprire. Impersonando Kathy, il giocatore esplora le terre aride di Marte destreggiandosi tra burroni, montagne di roccia e detriti utilizzando il suo talento: l’utilizzo delle piccozze per scalare le pareti, permettendole di muoversi a grandi altitudini e crearsi delle “scorciatoie” per superare gli imprevisti che si presentano durante il viaggio. Il sistema viene gestito dai due grilletti del controller e risulta immediato nel suo utilizzo, anche se ha bisogno di alcuni “giri di rodaggio” per comprenderne il suo funzionamento. Oltre alle pizzicozze, la giovane è dotata di un raggio d’energia ad alta intensità per tagliare materiali resistenti. Quest’ultima meccanica però non viene utilizzata al meglio delle sue possibilità, e rimane relegata alla semplice rimozione di serrature e ostacoli a breve distanza. Primo segno di un “corto circuito” nella produzione che verrà ripescato tra non molto.

Durante l’esplorazione del pianeta rosso, Kathy si imbatterà in diverse strutture e avamposti lasciate dalle colonie di scienziati, all’interno delle quali è possibile completare voci del proprio codec e ottenere nuove informazioni sul mondo di gioco, collezionare libri e fumetti a tema spaziale e soprattutto assistere a scene olografiche e fare luce sul vero obiettivo della “setta” menzionata in precedenza. La decriptazione di tali ologrammi presenta il primo elemento puzzle del titolo, con rompicapi basati sul corretto posizionamento del proprio drone Ayla all’interno della stanza. Questo drone è inoltre in grado di imbucarsi all’interno di condotti e tunnel appositi per raggiungere nuove stanze e feritoie.

Deliver Us Mars

Il vero progresso tra un capitolo è l’altro arriva tramite l’interazione con l’unica tipologia di enigmi logici presenti all’interno di Deliver Us Mars e incentrata sull’utilizzo della tecnologia a microonde MPT all’interno delle strutture. Utilizzando gli emettitori di questo segnale, al giocatore viene richiesta l’esecuzione della giusta sequenza di connessioni utilizzando un quantitativo di energia limitato. Un concept di gameplay sì interessante e godibile una volta che vengono introdotte tutte le sue variazioni e meccaniche, ma che però fallisce nel proporre al giocatore sfide sempre più complesse una volta superata la soglia delle prime due ore. Ebbene sì, nonostante le buone premesse di una storia ambientata nello spazio, all’interno di strutture e mezzi di trasporto che richiamano la libertà d’azione seppur pilotata di Deliver Us The Moon, questo sequel risulta un po’ troppo lineare, e molto propenso allo scartare idee di gameplay più articolate come il movimento a gravità zero e le sue eventuali implementazioni con il level design, in favore di un loop di gameplay che non riesce a rinfrescarsi come dovrebbe se non durante le battute finali. Fin troppo tardi per un’avventura della durata di 8 ore di gioco, 10 se si punta al completismo.

Bello come un Mars Rover, scomodo come un asteroide

Dal punto di vista tecnico, Deliver Us Mars punta a riproporre il meglio delle proprie risorse, ciò che ha permesso al precedente capitolo di imporsi come una delle esperienze sci-fi più immersive del 2018. Tuttavia, nonostante l’ambizione di KeokeN Interactive riesca il più delle volte ad ottenere l’impatto che gli autori speravano di ottenere, l’esecuzione di quest’ultima si scontra con l’inesorabile realtà della sua natura: l’essere un progetto sviluppato da un team relativamente piccolo.

Deliver Us MarsSì, dal punto di vista artistico ci troviamo davanti a paesaggi mozzafiato e suggestivi. Dalla base della WSA fino alle lande desolate di Marte è possibile percepire l’amore degli sviluppatori verso il genere e tutto ciò che lo riguarda, mettendo in mostra un’attenzione ai minimi dettagli metodica e approfondita, ottenendo un risultato che permette a Deliver Us Mars di non sfigurare anche di fronte a produzioni dal budget stellare. Il problema nasce quando tutto – usando termini automobilistici – questa carrozzeria di lusso viene montata all’interno di un motore poco performante, rappresentato in questo caso da una serie di falle tecniche di un livello tutt’altro che eccezionale.

Durante l’intera durata della campagna single player non sono stati rari i casi in cui il gioco ha mostrato segni di instabilità. Tra un framerate ballerino, evidenti pop-in di texture che oscillano tra il Full HD e i 360p e problemi con il caricamento dei livelli che in alcuni casi hanno ostacolato la normale fluidità del gameplay. Un esempio? Immaginate di essere nel bel mezzo di uno degli enigmi menzionati in precedenza e ritrovarvi, dopo diversi minuti passati a comprendere il funzionamento dello schema, ad essere bloccati non dalla propria abilità, ma da un bug che fatto scomparire un oggetto fondamentale per trovare la soluzione, o da un problema delle collisioni che hanno sparato Kathy verso l’orbita e/o una rovinosa caduta che porterebbe al game over e al caricamento dell’ultimo checkpoint. Queste magagne – e la resa stile uncanny valley dei modelli umani – rappresentano gli impedimenti che riportano Deliver Us Mars con i piedi per terra, impedendogli quindi di effettuare il tanto sperato “salto di qualità”.

PIATTAFORMA: PC, XBOX SERIES X|S, PlayStation 4, PlayStation 5
SVILUPPATORE: KeokeN Interactive
PUBLISHER: Frontier Foundry

Tirando le somme, Deliver Us Mars è un’esperienza che potrebbe interessare agli appassionati del genere sci-fi. Pur con qualche intoppo, dal punto di vista tecnico il gioco di KeokeN Interactive si propone come un buon prodotto dall’impronta cinematografica, in linea con i grandi Kolossal del genere come Interstellar e Gravity, lasciando anche un messaggio piuttosto forte e divisivo su uno dei temi più sensibili dell’ultimo decennio. Tuttavia, la sua componente “giocosa ma non troppo” potrebbe far storcere il naso ai giocatori più esigenti, e in cerca del perfetto bilanciamento che qui purtroppo non viene raggiunto del tutto.

VOTO 6.3

Game Designer e scrittore, alla fine si è deciso ad aggiornare la propria bio dopo 50 anni di muffa. Perché va bene l'essere "cresciuti a pane e Tekken 2", ma a una certa arriva il momento di "voltare pagina".