Ad Infinitum Recensione: i traumi di guerra attraverso gli occhi di un soldato

Gli orrori della guerra non risparmiano nessuno, mai. Uno spaccato di storia che non solo permea tristemente la storia da secoli e secoli, ma che è stato sempre più analizzato anche da un punto di vista psicologico, prendendo in considerazione i vari protagonisti che vi ruotano intorno. Non solo studi psicologici si intende, ma anche analisi di questa realtà nei media, da film a libri, fino ad arrivare chiaramente anche ai videogames. Diverse sono state le letture finora, ma nessuna mai si è posta nell’ottica sfruttata dal team di Hekate, che ci offre una prospettiva decisamente nuova: la visione della guerra da parte di un soldato tedesco. Caduto sul campo di battaglia. È così che Ad Infinitum ci racconta come il dolore e l’incubo della guerra sia talmente grande da condannare chi l’ha vissuta non solo in carne e ossa, ma anche nella propria dimensione post-mortem. E lo fa con questo titolo targato Nacon, che abbiamo avuto l’onore di testare in anteprima su PlayStation 5 e di analizzare per voi in questa nostra recensione.

Ad Infinitum: vivere la guerra dopo la morte

È il 1917, e la cosiddetta Grande Guerra imperversa nel territorio francese e tedesco. Ci risvegliamo in una baracca di legno, tra messaggi in codice Morse da decifrare e colpi di bombe e spari all’esterno che ci assediano. Siamo purtroppo chiamati anche noi sul campo di battaglia, con il nostro fucile e con la consapevolezza di quanto ci stia demolendo interiormente questo conflitto che non sembra avere fine. Tra un percorso nel fango e una pozza d’acqua da attraversare, sentiamo le grida e i pianti dei nostri compagni, ma anche del nemico francese. Anche lui piange però, e muore. Anche lui è umano. Non come questa condizione, totalmente disumana, ma che siamo costretti a subire. Ancora per poco però, perché Johannes von Schmitt, nato il 3 ottobre 1893, troverà presto la pace, dopo essere caduto in trincea e stroncato da una bimba. Questo è almeno quello che spera, poter riposare in pace. Ma non è il destino che lo attende. Se questo è quanto ci viene narrato nel prologo, sarà dal primo capitolo in poi, chiamato Disperazione non a caso, che scopriremo man mano i segreti che si celano dietro quest’uomo e la sua storia. Calandoci direttamente nei suoi panni. Sì, perché il tormento della guerra e della breve vita passata non lo abbandona nemmeno dopo la morte, ritrovandosi in casa sua e svelandoci il suo passato tra flashback e tanti, tantissimi oggetti che dobbiamo analizzare e lettere da leggere man mano che perlustriamo l’abitazione, pervasa anche da strane presenze incappucciate. Ma non saranno i soli orrori che ci attendono in questo horror puzzle, tra ricordi deliranti di guerra e flashback della memoria di Johannes, rivisitati dalla sua percezione personale.

Dal focolare domestico al fuoco incrociato sul campo

Durante la perlustrazione della casa, il primo funge in che ci viene riservato, scopriamo nell’androne di ingresso che il nostro protagonista ha perso la vita con il fratello, Paul, di sei anni minore, e che entrambi erano figli del Direttore Generale delle Fabbriche di vernici Karl von Schmitt & Co., oltre che nipoti del Generale Lothar Von Schmitt. Lo apprendiamo dal necrologio che troviamo su un tavolino appositamente dedicato, così come sono parecchi altri gli oggetti sparsi nella casa che ci aiuteranno a scoprire il passato del protagonista e dei comprimari. Tra le pieghe oscure di questa storia, si scopre che Karl, il padre dei due fratelli, era accecato dal fatto che i suoi figli andassero in guerra “in nome del Kaiser” e riteneva folle che la moglie, Magdalena, spesso presente nei flashback d’infanzia di Johannes, non accettasse questo fatto. Motivo per cui l’uomo le somministra del mercurio, oltre al fatto che Johannes era preoccupato per il fratello durante la guerra, in servizio però a un fronte diverso dal suo, e riteneva che ci si dovesse arrendere, così come la famiglia von Schmitt era sempre più a corto di viveri e di denaro già dal settembre del 1916. Dal benessere di una famiglia altoborghese, che poteva permettersi una grande casa elegante e domestici con turni prestabiliti tutti i giorni, alla povertà sempre più incalzante. Tutti dettagli, questi e tanti altri, che scopriamo tra lettere, cartoline e fogli rimasti in casa, da leggere attentamente mentre raccogliamo oggetti utili per proseguire in Ad Infinitum, tra indizi e suggerimenti forniti dal menu di gioco utili per proseguire nel corso della storia e avvicinarsi a tanti altri dungeon, spesso ripercorrendo i luoghi al fronte ma rivisitati con visioni horror legate al dolore e ai traumi psicofisici subiti dal protagonista.

Il trauma della guerra perpetrato all’infinito

Come abbiamo potuto vedere finora, Ad Infinitum è molto chiaro nel suo intento: dimostrare come il dolore della guerra sia talmente forte da perpetrarsi fin dopo la morte, una persecuzione che non abbandona l’anima di chi ha vissuto questa realtà nemmeno abbandonate le spoglie mortali. Lo dimostra anche nel titolo, che chiarisce molto bene quanto possa durare questa sofferenza, e lo fa anche nella scelta artistica di rappresentazione del dolore, non solo del nostro protagonista, ma anche dei suoi cari, con tutte le sotto-trame che si sono sviluppate in maniera approfondita fin dall’inizio, così come la presenza di scheletri e di scene abbastanza forti nel corso del gioco, in una rivisitazione del fronte di guerra con tutto il disgusto e il disagio disumano che tante persone hanno dovuto subire. Significativa anche la presenza di pianti di esseri umani al fronte, sintomo di fragilità e umanità in un momento dove la dimensione umana e personale ormai non esiste più, così come la difficoltà di alcuni di loro a doversi scontrare con altri esseri umani, mandati al fronte spesso per una ideologia subìta, e non per propria volontà. Le strategie narrative di Ad Infinitum dunque sono piuttosto efficaci nella loro riuscita, anche se non sempre risultano originali per chi mastica gli horror games. Ad esempio, il concept design dell’uomo con il mantello ricorda un altro horror, Luto (trovate qui la nostra prova) e la struttura della casa ricorda invece quella vista in The Dark Pictures Anthology The Devil In Me (di cui potete recuperare qui la nostra recensione).

Hekate del resto è un team piccolo, e qualche calco preso in prestito da lavori precedenti a Ad Infinitum è concesso, al netto di qualche mancanza a livello di gameplay che si fa sentire, per quanto sia un dettaglio relativamente piccolo. Manca la mappa del dungeon di gioco, che ci avrebbe aiutato a destreggiarci in location piuttosto simili al loro interno e labirintiche, e questo rallenta un po’ il ritmo di gioco, che ci conduce a esplorare diverse volte gli stessi luoghi e a tornare sui nostri passi. Inoltre, gli obiettivi da raggiungere non ci vengono segnalati a schermo, che mantiene così un’interfaccia molto pulita e basica, ma dobbiamo cercare noi nel menu la pagina dedicata ai prossimi passi che siamo chiamati a compiere. Se da un lato, questa semplicità ed essenzialità è apprezzabile, dall’altro rende talvolta difficile destreggiarsi nel mondo di gioco. Tutto questo però è controbilanciato da un ottimo comparto grafico e sonoro, che ci aiutano a distinguere i momenti di flashback, la resa del dolore sul campo di battaglia e della suspense nel mondo di gioco, rivisitando gli orrori della guerra in maniera molto fluida anche grazie a un motore di gioco dalle ottime prestazioni.

Piattaforme: PC, Play Station 5

Sviluppatore: Hekate

Publisher: Nacon

Ad Infinitum è un titolo horror che unisce bene queste sue caratteristiche classiche a un gameplay davvero ricco di elementi puzzle, utili per farci conoscere il mondo di gioco e tutto il contesto storico e narrativo che gira intorno alla vicenda del protagonista. Il team Hekate è stato in grado di portare sui nostri schermi un titolo davvero ben concepito e in grado di offrire un punto di vista originale, avendo difficilmente a che fare con la prospettiva bellica di un soldato e del suo dolore. Non solo, anche la scelta di rivisitare il mondo bellico con visioni concrete del dolore e dei traumi è una scelta che porta a rifletterci su quello che significa avere a che fare con i conflitti di guerra, passati e presenti. Ad Infinitum diventa così un’occasione videoludica di riflessione non scontata, che mette in risalto diversi temi sensibili e delicati su una realtà purtroppo sempre contemporanea. Al netto di qualche presa in prestito stilistica e di qualche minima sbavatura, il gameplay riesce a catturarci sin dall’inizio offrendoci uno spaccato di realtà raccontato in maniera verosimile e con parecchia cura nel comparto grafico e tecnico. Un titolo che si avvicina alla perfezione, soprattutto nel coinvolgimento emotivo. Ottimo lavoro per il team Hekate, che riesce a fare centro con una narrazione emozionante e terrificante al contempo. 

Si svezza con Medievil e Tomb Raider, cresce con Final Fantasy, matura con la scrittura di qualsiasi genere di videogiochi. Giocatrice da più di 20 anni, Francesca coniuga passione e studio in una tesi magistrale a tema videoludico e la nutre quotidianamente tra console e articoli su videogiochi, cinema e serie TV. Toglietele tutto, ma non la scrittura.