Atelier Rorona Plus: The Alchemist of Arland – Recensione

Seguendo il percorso sempre più battuto dai grossi marchi dell’industria, Atelier Rorona Plus: The Alchemist of Arland si presenta come una vera e propria versione “potenziata” di quel titolo che, solamente quattro anni fa, inaugurava l’approdo della serie RPG Atelier, nell’allora lanciatissima generazione dominata da PS3 e Xbox 360.

La serie da cui prende il nome questo Rorona Plus si è sempre distinta all’interno del grande pentolone – mai termine fu più appropriato – rappresentato dal genere J-RPG. Nella serie creata da Gust eroi dai capelli appuntiti ed eroine scosciate lasciavano il ruolo di protagonisti a graziose ragazzine dai tratti volutamente naif. Con una nuova pulzella a ogni episodio, la serie Atelier è così giunta al suo diciassettesimo anno di vita, festeggiando il proprio anniversario con questo capitolo che, a differenza di quanto si possa pensare, non rappresenta solo una versione Director’s Cut dell’originale, ma un vero e proprio “reimagining” del capostipite della serie su PS3.

La premessa narrativa è sostanzialmente la stessa: obbligata dalla pigrizia cronica dell’insegnante e piegata alla volontà del sovrano del regno di Arland, la piccola Rorona deve mantenere alta la reputazione del suo atelier di alchimia, realizzando oggetti e ubbidendo agli ordini che le vengono imposti, pena la chiusura del suo studio e l’esilio da quella che è la sua terra natia. Per farlo, la giovane alchimista dovrà recuperare ingredienti in scenari fitti di pericoli, migliorare le proprie doti realizzando oggetti via via sempre più difficili e occuparsi, al contempo, delle richieste che amici, familiari e persino perfetti sconosciuti le verranno a proporre. Una ragazza fin troppo dedita al suo lavoro che, fortunatamente, può contare sull’aiuto di una fitta schiera di co-protagonisti più o meno disponibili nei suoi confronti… previo l’esborso di qualche moneta.

Le tematiche toccate da Atelier Rorona Plus: The Alchemist of Arland non hanno molto a che fare con quanto riscontrabile in gran parte degli RPG di matrice nipponica, preferendo a intrecci fitti e dal sapore epico una narrativa decisamente più rilassata e pacata. La storia raccontata da Gust non vuole intavolare l’ennesima riproposizione delle linee guida tanto care ai fan del genere, bensì occuparsi della quotidianità di una ragazza di buon cuore – e un po’ imbranata, ma lo stereotipo vuole anche questo! – impegnata in quella che è la sua passione: rendere felici le persone a lei care mediante l’alchimia. Niente spadoni luccicanti e niente passioni trascinanti, quindi, ma una buona dose di leggerezza e tante risate in salsa nipponica. L’ammontare dei dialoghi, ancora una volta non localizzati in italiano, potrebbe scoraggiare i meno avvezzi al genere, ma dietro i piccoli sketch e l’esuberante ingenuità della protagonista si nasconde una storia che, pur nella sua evidente frivolezza, non manca di divertire ed accompagnare i giocatori in quello che resta comunque un titolo fortemente legato al crafting.

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Non fatevi ingannare dall’aria gioviale… quando si tratta di menare sono dolori per tutti!

All’atto pratico, il titolo Gust obbliga il giocatore a soppesare con cautela ogni singola azione, poiché i compiti affidati alla protagonista sono legati a scadenze e a specifiche condizioni che, col passare delle ore, diventano sempre più difficili da raggiungere. Rispetto alla versione originale la gestione del tempo è stata rivista, allineandosi a quanto visto nei capitoli usciti successivamente, come Atelier Meruru e Atelier Escha & Logy, dai quali questo Atelier Rorona Plus prende non solo il design base di menu e hud, ma anche il sistema di crafting, le logiche che muovono gli scontri nei dungeon esplorabili e diverse altre caratteristiche.

Nel dettaglio, il sistema di combattimento è stato completamente rivisto, andando finalmente ad introdurre gli MP – in precedenza le tecniche speciali dei personaggi consumavano HP – e riscrivendo in toto le logiche che muovevano gli scontri nella versione originale. A ogni turno passato in battaglia si riempie una barretta visualizzata sotto gli HP della protagonista: questa permette ai personaggi del gruppo di correre in soccorso della nostra eroina, sfoderando tecniche assenti nel titolo originale. Il numero di personaggi arruolabili nel party è stato aumentato, ma non voglio rovinarvi la sorpresa di scoprire chi, dei vecchi protagonisti, potrà finalmente assistere Rorona nel suo girovagare per il mondo alla ricerca di ingredienti per i suoi intrugli alchemici. Gli scontri, in ogni caso, non rappresentano che la punta dell’iceberg dell’impalcatura di Atelier Rorona Plus: The Alchemist of Arland. Caratterizzate generalmente da una difficoltà medio-bassa, le schermaglie hanno sporadiche inversioni di tendenza solamente in occasione di boss opzionali o di eventi legati al post-game.

Anche la gestione delle missioni è stato rivisto. Gust ha arricchito la formula di gioco in modo ingegnoso e, sebbene i compiti principali rimangano sostanzialmente gli stessi, a questi si aggiungono richieste opzionali, generalmente legate alla creazione di oggetti entro un tempo limite o, solamente in seguito, all’uccisione di determinati nemici. Come se ciò non bastasse, un sistema di mini-compiti mutuato da Atelier Escha & Logy va a variegare maggiormente l’esperienza di gioco, altresì limitata a quanto già visto nella versione uscita quattro anni fa. Ogni mini-compito portato a termine riempie di sigilli una griglia 3×3 che, per ogni fila di caselle completata, ricompensa con bonus del tutto assenti nel titolo originale. Un modo come un altro per gratificare il giocatore e, al contempo, facilitare uno degli episodi della serie tra i maggiormente criticati proprio per l’estrema difficoltà. Inoltre, tutti ciò che il gioco ci propone è finalmente raggruppato in un unico menu, che suddivide le attività secondarie, le richieste degli amici e le missioni legate in modo più stretto al prosieguo della narrazione. Salutiamo l’obbligata navigazione di schermata in schermata alla ricerca dei personaggi che ci avevano posto una specifica richiesta: il nuovo modello inaugurato da Gust – e testimoniato anche da un fast travel efficientissimo – è all’insegna della praticità e della snellezza.

Benché esplorabili, le location interne alla città in cui risiedono Rorona e i suoi compagni non offrono grandi spunti. Se prima era necessario controllare spesso la presenza di eventi unici legati ai comprimari, facilmente smarribili poiché non indicati dal gioco, ora il tutto è segnalato in modo molto più intuibile da indicatori che dicono al giocatore dove andare per incontrare i bisogni dei co-protagonisti e assistere così a tutti i sotto-eventi prima del tutto inaccessibili, se non con l’ausilio di una guida. Non rimane quindi che esplorare gli scenari al di fuori del contesto cittadino alla ricerca di ingredienti e oggetti utili all’attività della protagonista. Anche in questo caso, la navigazione di stage in stage tiene conto delle distanze fra un luogo e l’altro, andando a riflettersi sui limiti temporali imposti dal sistema di gioco. Molte volte sarà necessario ragionare sull’utilità di spingersi oltre nell’esplorazione di un dungeon piuttosto che dedicarsi alle missioni.

Graficamente sarebbe stato auspicabile attendersi di meglio, almeno per quanto riguarda gli ambienti.
Graficamente sarebbe stato auspicabile attendersi di meglio, almeno per quanto riguarda gli ambienti.

Per ultimo, ma non meno importante, parliamo del sistema di crafting, cioè la meccanica che muove le redini della serie e che si basa sulla creazione di oggetti partendo da materie prime rinvenute durante l’esplorazione o battendo nemici. Ora decisamente più snello e facilmente assimilabile, il crafting vede anche l’aggiunta del traits system visto in Atelier Meruru, grazie al quale ogni oggetto creato può essere ulteriormente perfezionato e presentare tratti e caratteristiche uniche a seconda della qualità delle materie di partenza. Nel caso si fondessero materiali con doti comuni, questi si uniranno dando vita a oggetti di livello ancora maggiore. Considerando che gran parte dell’offerta ludica del titolo Gust è basata proprio sulla complessità del sistema di creazione, l’aggiornamento e le novità apportare da questo Atelier Rorona Plus non possono che essere accolte con enorme entusiasmo, benché il vero problema del capitolo rimanga sostanzialmente quello legato alla gestione del tempo.

Lo scorrere dei giorni appare incessante, quanto frustrante in taluni casi, e nonostante le modifiche apportate per rendere le scadenze poste dal gioco meno incombenti di quanto non fossero in passato, Atelier Rorona Plus rimane un titolo fortemente punitivo e dalle meccaniche troppo restrittive, soprattutto se si punta a completare il gioco al 100%. A tal proposito, il post-game vede la presenza di un nuovo stage narrativo, in cui le protagoniste dei capitoli successivi all’originale finiscono per giungere nell’epoca di Rorona. Questa nuova avventura permette di aggiungere al proprio party Meruru e Totori, alla ricerca di un modo per riportare le due alchimiste provenienti dal futuro nel loro tempo. Nuovi eventi (così come nuovi dungeon, nemici e sfide) saranno portati all’attenzione di fan e neofiti, in una degna chiusura della trilogia dedicata al regno di Arland… e nel caso ve lo steste chiedendo, sì, la longevità risulta medio-alta, specie considerando il discreto livello di rigiocabilità, incarnato in molteplici epiloghi e in eventi unici sbloccabili, legati al grado di affinità con i co-protagonisti.

Graficamente Atelier Rorona Plus è ben lontano dallo sfarzo stilistico visto nel recente Atelier Escha & Logy: Alchemist of the Dusk Sky. Quest’ultimo capitolo ha nuovi modelli poligonali dotati di uno stile più in linea con quello visto in Atelier Totori e Atelier Meruru, ma ben lontano da qualsiasi complessità poligonale francamente auspicabile da un remake pubblicato in pieno 2014. Se lo sforzo per caratterizzare meglio i personaggi è comunque tangibile, è altrettanto vero che gran parte delle ambientazioni rimangono per lo più invariate, seppur ritoccate qua e là e dotate di una palette cromatica più in linea con gli episodi successivi. Blandi e spogli, i paesaggi ritratti dal J-RPG pubblicato da Tecmo Koei fanno tornare alla mente i peggiori scorci visti durante la generazione 128 bit, con strutture tridimensionali prive di complessità e ricoperte da texture sbiadite e dai colori smorti. Se a tutto questo unite l’inspiegabile presenza di cali di frame rate e animazioni assolutamente incompatibili con l’anno di uscita del gioco, è facile arrivare alla conclusione che Gust non si sia poi molto impegnata nell’operazione di svecchiamento.

Bellissime illustrazioni bidimensionali in alta risoluzione e animazioni 3D non altrettanto degne danno vita ai dialoghi dei personaggi che, al di fuori dei movimentati combattimenti, non appaiono vivaci. All’epoca i modelli poligonali dei protagonisti erano per lo più utilizzati per indicare il movimento spaziale, lasciando alle illustrazioni il compito di mostrare il loro stato d’animo o di tratteggiarne con maggiore precisione l’aspetto. Tuttavia, sempre nell’ottica di un’operazione di rilancio tecnico, mi sarei aspettato una maggiore cura anche sotto questo aspetto.

Colonna sonora e doppiaggio rimangono come sempre ben realizzati e caratterizzati al punto di riuscire a calare i giocatori nelle atmosfere fantasy del titolo Gust. De segnalare la qualità del commento vocale giapponese, decisamente superiore a quello inglese, come da tradizione della serie.