A pochi giorni dall’inizio dell’Electronic Entertainment Expo edizione 2014, è tempo di fare ammenda e gettare qualche monetina nel pozzo dei desideri. Fare ammenda per i giochi che più o meno inconsapevolmente, all’epoca della loro uscita, la stampa di settore e il pubblico hanno snobbato, o comunque fatto passare in sordina, lasciando al tempo e alla passione della gente di trasformarli in piccoli prodotti di culto, o comunque apprezzati molto più di quanto lo siano effettivamente stati. E nell’attesa di scoprire quali sorprese hanno in serbo per noi i principali publisher che si sono dati appuntamento anche quest’anno al Convention Center di Los Angeles, ci siamo divertiti a immaginare cinque giochi potrebbero essere ripescati dal fondo di qualche cassetto e re-bootati, come suole dire oggi, riproposti al grande pubblico debitamente svecchiati.
Parasite Eve (1998, Squaresoft)
Perché potrebbe funzionare: la mistura strana tra sci-fi, survival horror e action-RPG ha sempre un grande fascino, e quindi non si capisce per quale motivo un terzo episodio della serie non possa suscitare un certo interesse tra gli appassionati. Senza contare che, nella narrazione, alcuni dei videogiochi degli ultimi anni hanno dimostrato di saper “sfruttare il mezzo” in modo intelligente e maturo (vedi l’ultimo GTA o il recentissimo Wolfenstein: The New Order).
Perché non potrebbe mai funzionare: un terzo episodio, a dirla tutta, è stato pubblicato qualche anno fa (The 3rd Bithday), ma non ha avuto un gran successo di vendite. Certamente, non ha aiutato il fatto che si fosse trattato di uno spin-off su PSP, console che non ha mai avuto vita facile nel panorama complesso degli handheld.
Chi dovrebbe occuparsene? Ovviamente, la stessa Square Enix che ha dato i natali alla serie originale. Magari dando una seconda chance al buon Yoshinori Kitase, che aveva lavorato allo sfortunato spin-off di cui sopra. E stavolta su PS4, s’intende.
Bad Mojo (1996, Pulse Entertainment/Acclaim)
Perché potrebbe funzionare: l’idea del gioco era talmente geniale e fuori di testa quando è uscito, nel 1996, che in tutti questi anni non ha perso un goccio del suo fascino. Uno scienziato pazzo che si trasforma in un bacherozzo e deve ingegnarsi a cavarsela in mezzo a trappole per topi, tubi del gas e ragni affamati, in una casa che vista dai suoi minuscoli occhi diventa improvvisamente enorme e piena zeppa di pericoli. Con l’aggiunta di un po’ di filmati in FMV, che pure non guastava.
Perché non potrebbe mai funzionare: l’originale era un’avventura grafica con schermate statiche, senza interfaccia utente, hotspot o aiuti di sorta. Per alcuni, impossibile da giocare, per altri, rivoluzionario e troppo in anticipo sui tempi. Oggi come allora, salvo rare eccezioni, le avventure grafiche non se la passano troppo bene, i bacherozzi fanno schifo tanto quanto dieci anni fa, e fatichiamo a immaginare qualche grosso nome disposto a crederci veramente. Anche se continua a stuzzicarci l’idea di un mondo treddì liberamente esplorabile, visto dagli occhi di un insetto.
Chi dovrebbe occuparsene? Pensando alle avventure grafiche, il primo nome che viene in mente è quello di Telltale. Che ne farebbe però un titolo episodico, con una grafica orrenda e una sceneggiatura da premio Oscar. Peccato solo che le blatte non parlino…
Shogo: Mobile Armor Division (1998, Monolith)
Perché potrebbe funzionare: robottoni giganti che se le danno di santa ragione? C’è forse bisogno d’altro? Lo shooter di Monolith era estremamente originale, almeno per i suoi tempi, con una storia tipicamente “giapponese” incasinatissima, non lineare e piena zeppa di bugie e tradimenti. Le missioni “a piedi” erano piuttosto standard, mentre quelle a bordo dei mech erano il sogno di un bambino che diventava realtà, poter guidare svariati robot giganteschi armati fino ai denti, con lanciarazzi che sparano quattro missili contemporaneamente e la possibilità di saltare sul tetto dei palazzi.
Perché non potrebbe mai funzionare: per quanto sarebbe fichissimo giocare a uno Shogo 2, o a una versione rifatta dell’originale, titoli tutta azione a base di robottoni ce n’è già almeno un paio sul mercato, entrambi estremamente validi, Titanfall e Hawken. E a meno di fare un lavoro sopraffino, una trama del genere non farebbe molta presa (diciamo pure nessuna).
Chi dovrebbe occuparsene? Gli stessi Monolith, se non fossero impegnati a scopiazzare Assassin’s Creed con L’Ombra di Mordor, ma forse i più adatti potrebbero essere i ragazzi di Adhesive Games, che proprio con il già citato Hawken hanno dimostrato di saperci proprio fare.
Midtown Madness (1999, Microsoft Game Studios)
Perché potrebbe funzionare: quest’oggi a pranzo, tra una bombardata di nachos e barili di cioccolato fondente in cui immergere i marshmallow, abbiamo visto passare una vecchia Mustang, la stessa con cui abbiamo corso in lungo e in largo per le vie di Chicago. E ci siamo ricordati di due momenti che sono rimasti impressi nella nostra memoria: la spensieratezza di correre a perdifiato in lungo e in largo, per il solo gusto del cazzeggio fine a se stesso, distruggendo auto e compiendo evoluzioni impossibili, in un gioco pensato per altro, e che in un certo qual senso ha saputo anticipare molti degli elementi free-roaming che avremmo visto solo in seguito. O ancora, la spassosa modalità “coniglio” del multiplayer.
Perché non potrebbe mai funzionare: ehm. coff. coff… A pensarci bene, non ci viene in mente nessun vero motivo per cui non dovrebbe essere una figata ancora oggi.
Chi dovrebbe occuparsene? A nostro modo di vedere, un titolo del genere non potrebbe finire in mani migliori di quelle di Criterion. I pochi rimasti, ovviamente, visto che gran parte del team di Burnout è finito in Ghost Games a seguire la serie Need for Speed.
Klonoa (1997, Namco)
Perché potrebbe funzionare: di platform divertenti e colorati c’è n’è sempre bisogno, su questo non ci piove. E poi il personaggio è simpatico e “pupazzoso” quanto basta per attirare l’attenzione anche di coloro che non lo conoscono ancora. Le particolari dinamiche di gameplay, poi, gIi permetterebbero di distinguersi subito dalla massa di platform banalotti che troppo spesso troviamo sugli scaffali dei negozi.
Perché non potrebbe mai funzionare: per spiegare a dovere come funziona Klonoa servirebbe una strategia di comunicazione importante da parte del publisher, cosa che Bandai Namco non sempre ha dimostrato di saper applicare con maestria.
Chi dovrebbe occuparsene? Un team interno alla stessa Bandai Namco (che detiene i diritti sul marchio ancora oggi), magari affiancata da qualche nuovo level designer con gli attributi. Ecco… qualche profugo di Nintendo sarebbe l’ideale.
Runner-up
L’elenco è solo parziale, ovviamente. Ci siamo fermati a cinque titoli, ma saremmo potuti andare avanti parecchio. E per questo vi segnaliamo comunque altri giochi che ci piacerebbe un sacco vedere rifatti, e magari presentati al prossimo E3, lasciando a voi il piacere di continuare questo elenco! Candidati a un auspicabile reboot: Bioforge, Vampire: The Masquerade – Bloodlines, Jak & Dexter, Manhunt, Skies of Arcadia, Vagrant Story, Eternal Darkness, Crimson Skies, Anachronox, MDK, Titan Quest, Ballance, Riana Rouge (eh? ndAlias), TimeSplitters, XIII, Dark Cloud, Dino Crisis, Forbidden Siren, Psychonauts, Onimusha, Zone of the Enders.