Downward – Recensione

L’indie game talvolta rischia di rimanere imbrigliato in logiche di “famolostranismo” che purtroppo lo privano del suo reale potenziale. Da sempre sono convinto che essere indie significhi innanzitutto sperimentare meccaniche innovative, non soltanto proporre schemi di gioco già visti, magari nell’ampissimo retroterra del gaming Anni ’80, magari con una spruzzata di grafica “stylish”. Tutta questa tirata semplicemente per dire che Downward è un titolo con un forte carattere, che non cerca la scorciatoia della stramberia a tutti i costi, rivelandosi piuttosto un esperimento con una forte impronta stilistica a livello di game design e di direzione artistica.

CAMBI DI PROSPETTIVA

Partiamo dalle basi. Downward è sostanzialmente il figlio fantasy di Mirror’s Edge, un gioco di parkour in prima persona, dove dovrete muovervi all’interno di un mondo lisergico tenuto in piedi da una storyline misteriosa. A differenza di Mirror’s Edge, in cui la trama realistica basata su di un futuro distopico alla 1984 dettava un forte rigore e ordine da parte del level design, la natura fantasy di Downward gli permette di osare molto di più dal punto di vista delle piattaforme, tanto da valergli l’appellativo di “platform in prima persona”. Immaginate le montagne volanti della Pandora di Avatar, e pensate alla possibilità di saltare su di esse. Ma ci ho anche rivisto un bel po’ dei livelli senza S.P.LA.C. 3000 di Super Mario Sunshine, citazione un po’ ricercata ma che tuttavia rende bene quanto machiavellico possa essere a volte il platforming di Downward, condizione a cui bisogna per giunta aggiungere il fattore della prima persona.

[quotesx]Il platforming avviene con orchestrale armonia[/quotesx]Fortunatamente il nostro misterioso protagonista ha molte abilità e frecce al suo arco, su tutte la possibilità di poter camminare sui muri con un classico wall-jumping che fa tanto Prince of Persia (lo sfortunato ma sagace reboot con il Principe in cel-shading, ve lo ricordate?). Mi è piaciuto moltissimo come i ragazzi di Caracal Games abbiano usato elementi familiari, rimescolandoli tra di loro per servire sul piatto un cocktail molto particolare e diverso dal mucchio. Se è vero che la prima persona risolve il problema delle telecamere, croce e delizia dei platform 3D, è altrettanto vero che presenta nuove sfide, su tutte l’ampio margine di manovra che ci è concesso in ciascun salto, cosa che non si verifica d’altronde nei più rassicuranti platform in terza persona. Fortunatamente la disposizione degli elementi nello spazio è stata gestita con grande maestria, per cui il platforming avviene con orchestrale armonia, costringendovi sì a calcolare i salti con grande precisione (il che è anche il bello della sfida), pur senza essere eccessivamente punitivo… almeno all’inizio!

TRA ESCHER E DALÌ

È chiaro che nel gioco non c’è piattaforma che gli sviluppatori abbiano piazzato senza prima ragionare sulle implicazioni e su come questa influenzasse il flusso di gioco. Il risultato è un’avventura che scorre liscia come l’olio e, una volta che ci avete preso la mano, vi farà vivere l’ebbrezza del vero parkour. Downward è un po’ come un’esperienza zen: dovete lasciare che la sua essenza diventi parte di voi stessi, e solo una volta entrati in sintonia con le regole e le meccaniche di questo mondo 3D potrete veramente assaporarlo fino in fondo. Va da sé che questo avviene dopo un po’ di tempo, ma fortunatamente la curva di apprendimento non è mai troppo ripida, e vi accompagna mano nella mano fino a compiere prodezze acrobatiche anche molto complesse. Il senso di libertà che si prova saltando di piattaforma in piattaforma è semplicemente esaltante, soprattutto quando si imbrocca una serie di ostacoli particolarmente ostici. E quando imparerete a lasciarvi andare e a credere nel vostro istinto (un po’ come dei novelli Luke Skywalker, ben consigliati da Obi-Wan Kenobi), allora potrete veramente apprezzare i labirinti verticali di Downward.

[quotedx]Downward è un po’ come un’esperienza zen[/quotedx]Sì, è vero, ci sono alcuni passaggi decisamente un po’ troppo frustranti, e spesso dover ripetere una sequenza solo perché avete sbagliato un piccolo passaggio può far infuriare. Ma allo stesso tempo Downward è un inno al gaming duro e puro, quello che non ti toglie il pad dalla mano facendoti sentire come un bambino sulla bicicletta con le rotelle, ma che al contrario richiede di essere giocato con cuore, anima e una buona dose di olio di gomito. Ecco, se c’è qualcosa che ho veramente gradito di Downward è il suo essere votato al Dio Gameplay, senza fronzoli, senza ammennicoli di sorta e senza alcuna distrazione, sicuramente il frutto del lavoro di sviluppatori che vivono la sfida come quintessenza del divertimento videoludico.

ANOTHER WORLD

È una scelta di campo, potete condividerla o meno, ma se imbracciate questa filosofia Downward ha sicuramente pane per i vostri denti. Fortunatamente il gioco viene in vostro soccorso grazie a un sistema di checkpoint decisamente interessante, che può essere deciso dal giocatore stesso posizionando dei marchi sull’ambientazione, che saranno il luogo da cui può “respawnare”. Un buon compromesso tra l’idea frustrante di dover ricominciare in un punto deciso dallo sviluppatore, ma anche un monito a scegliere con cura dove piazzare il marchio, evitando il totale abbandono nei confronti del quicksave, che rischierebbe di privare l’esperienza di quei magnifici momenti dove si salta di piattaforma in piattaforma agili come stambecchi.

[quotesx]Un sistema di checkpoint decisamente interessante[/quotesx]In realtà la formula basilare di Downward tenta anche di essere profonda a livello squisitamente di meccaniche; innanzitutto, grazie a un albero delle abilità potete modificare lo sviluppo del vostro personaggio. Ma non fatevi ingannare: dovrete comunque sudare le proverbiali sette camicie per andare avanti e purtroppo lo skill tree non viene mai sviscerato a dovere (speriamo che le successive Challenge pubblicate da Caracal ci permettano di approfondire anche questo aspetto). A livello strutturale, anche i livelli offrono un “doppio fondo”, in quanto costruiti in modo tale da non farvi soltanto sbattere il grugno per poi ricominciare da capo; essi offrono anche diverse opportunità sotto forme di strade alternative, che una volta trovate vi faranno gridare il classico “Eureka”. La faccenda si complica ulteriormente perché sparsi lungo il mondo di gioco si trovano anche degli interruttori, che modificano completamente la configurazione delle piattaforme, permettendo di vedere con tutt’altri occhi una struttura che credevate di aver padroneggiato a dovere.

Vale la pena spendere qualche parola sulla notevole ambientazione di Downward, figlia di un sapiente uso di Unreal Engine, che come al solito fa miracoli dal punto di vista della resa dei materiali e dell’illuminazione. Il mondo di Downward non lascia molto spazio per lo storytelling “in your face”, è vero, ma è comunque vibrante, capace di incuriosire e degno di essere esplorato in lungo e in largo, anche perché è in questo modo che troverete alcune delle sue piattaforme più interessanti. Ci sarebbe piaciuto forse un mondo leggermente più vivace a livello di animazioni e meno statico, ma d’altronde il focus del gioco è tutto sulle piattaforme, per cui anche questo difetto si lascia parzialmente perdonare. L’idea di muoversi all’interno di un mondo lussureggiante e decadente, dove le ultime vestigia della civiltà fluttuano in aria misteriose, è sicuramente accattivante e ci fa sperare che la “lore” di questo universo venga approfondita ulteriormente. Buona anche la varietà dell’universo di gioco, capace di spaziare da spiagge assolate degne dei Caraibi fino ad arrivare a veri e propri inferni di lava, nella quale dovrete ovviamente cercare di non finire bolliti.

[quotedx]Un mondo di gioco vibrante[/quotedx]Consapevoli di aver plasmato un mondo davvero intrigante a livello visivo, gli sviluppatori inoltre hanno pensato bene anche di introdurre delle sezioni panoramiche e più riflessive, in modo tale da spezzare la tensione derivante dall’incessante parkour. In generale, tuttavia, l’esperienza è comunque piuttosto lineare per tutta l’avventura, anche se la struttura open world permette di scovare delle strade nascoste; quando si riesce a esplorare il mondo di gioco in libertà, si hanno anche alcuni dei momenti di scoperta migliori del gioco, e sinceramente mi sarebbe piaciuto avere una minore linearità a favore di un senso di “wanderlust” più marcato, pur rendendomi conto delle grandi implicazioni a livello di design che questo avrebbe comportato. Chiude il cerchio un combat system interessante ma purtroppo non sviscerato fino in fondo (e, anche qui, spero che le Challenge pubblicate su Steam vengano in soccorso di questa mancanza). L’idea di fondo è che il protagonista non usa la violenza per abbattere i suoi avversari, dei giganteschi golem di pietra, ma sfrutti piuttosto la sua destrezza per disattivare il nucleo che li rende pericolosi. Il tutto si trasforma in un balletto dove è necessario osservare le mosse dell’avversario per non essere schiacciati dalle sue robuste braccia rocciose, uno spunto interessante che ci sarebbe piaciuto si fosse tradotto in pattern d’attacco dall’imprevedibilità crescente.

Tornando al cappello iniziale, Downward è sicuramente un esempio di un gioco indie frutto della passione, che non scommette cinicamente sulla reiterazione di elementi preconfezionati, ma sperimenta, anche a costo, in qualche momento, di stonare. Lasciando da parte le sue imperfezioni, Downward è un titolo originale e coraggioso, che punta tutto sulla sfida, pur non disdegnando l’aspetto emotivo ed esperienziale. Un gioco impegnativo, ma che dispone le sue prove con intelligenza, dando sempre al giocatore gli strumenti per superarle. Un ottimo esempio di quello che dovrebbe significare essere indie in questo preciso momento storico.