Recensione – InFamous: Second Son

Infamous: Second Son

È vero, il termine open world sta diventando un po’ un tormentone, specialmente da qualche anno a questa parte. Del resto, come sottolineato tempo addietro dal CEO di Ubisoft, Yves Guillemot, si tratta di un genere destinato ad avere un ruolo sempre più predominante nell’imminente futuro, specialmente quello legato alla produzioni single player. Il che è una buona notizia per gli amanti del genere (nei quali mi ci metto senza vergogna alcuna), meno per chi li detesta, ma una mezza tragedia per le software house, poiché questa categoria consta di tempi e investimenti non di rado iperbolici, in grado di decretare anche la fine di un team, il caso di flop. In certi frangenti, come Thief, i publisher non attendono nemmeno di vedere i dati di vendita e, in tempo zero, provvedono a licenziare tutto il personale in surplus, che magari si è spezzato la schiena per mesi davanti ai PC, lavorando ben oltre le 8 ore contrattuali.

Ma sto divagando e mi rendo conto che la questione è ben più complessa di quanto si possa affrontare nell’ambito di una recensione. Prendo però spunto dalla tematica degli open world, per spezzare una lancia in favore dei Sucker Punch. Questo team, di dimensioni tutto sommato esigue per gli standard odierni, è riuscito a dar vita a una nuova serie senza troppi clamori, offrendo una produzione di qualità, ben caratterizzata e costruita intorno all’hardware di PS3. Laddove gli esponenti del genere soffrivano sulla console Sony (GTA IV in particolare grida ancora vendetta), il team di Bellevue ha dimostrato di saper domare la bestia, ottenendo risultati davvero impressionanti, soprattutto con InFamous 2. Chi, insomma, meglio di loro poteva nuovamente alzare gli standard (specialmente tecnici) nel campo dei sandbox game? In effetti l’hype era bello altino, specialmente dopo aver visto il primo trailer al celebre reveal di PS4, nel febbraio dello scorso anno. La resa visiva sembrava davvero impressionante, ma, visti i trascorsi passati di Sony, molti hanno dubitato a lungo sull’effettiva resa nel gioco vero e proprio, anche se InFamous: Second Son non ha mai tradito le attese, fin dalle prime apparizioni alle varie manifestazioni del settore (E3, gamescom e via discorrendo).

Fino a poco tempo fa, un'immagine come questa sarebbe stata bollata come "bullshot".
Fino a poco tempo fa, un’immagine come questa sarebbe stata bollata come “bullshot”.

Sull’aspetto tecnico mi dilungherò nel corso della recensione. Quel che mi preme ora è analizzare il fulcro del gameplay e tutte le nuove meccaniche introdotte. In realtà Second Son non si discosta poi molto dai suoi illustri predecessori, mettendo il giocatore nei panni di un Conduit, un essere umano all’apparenza normalissimo, ma in realtà dotato di poteri incredibili, spesso anche bizzarri. Chi ha giocato i precedenti capitoli conosce bene i fatti che hanno portato alla nascita dei Conduit e quanto la loro esistenza abbia creato dei veri e propri disastri lunga l’intera Costa Est degli Stati Uniti. Cercando di saltellare intorno ai possibili spoiler, vi dico solo che la storia di questo terzo capitolo inizia sette anni dopo gli eventi di New Marais (una versione fittizia di New Orleans), a seguito dei quali è stata fondata un’agenzia governativa detta DUP (Department of Unified Protection), nata proprio per dare la caccia ai Conduit superstiti, ormai definiti a tutti gli effetti come bioterroristi. A guidare questo gruppo, praticamente al di sopra di tutte le leggi, troviamo Brooke Augustine, anch’essa dotata di un potere davvero singolare (può cementificare qualsiasi corpo) e, per qualche oscuro motivo, l’unica in grado di decidere le sorti dei suoi simili. Suo antagonista, nonché protagonista del gioco, Delsin Rowe, un ragazzo appartenente alla tribù degli Akomish (indiani americani insomma), non proprio ligio alle regole e con una certa predilezione per la street art. Suo malgrado scoprirà di possedere un dono unico, la possibilità cioè di assorbire i poteri degli altri Conduit, facendoli propri. Saranno le prime fasi di gioco a introdurci a queste facoltà, la prima delle quali, nonché la più nota, è quella legata al fumo.

Delsin, infatti, può trasformarsi momentaneamente in una nube sulfurea, scagliare lapilli, lanciare bombe in grado di soffocare i nemici e contemporaneamente passare attraverso condotti d’aria e agitare una catena avvolta dalla cenere incandescente. All’inizio potrebbe sembrare che il range di attacchi sia tutto sommato limitato, ma bastano pochi minuti per iniziare a sbloccarne di nuovi. Fortunatamente non ci muoveremo in solitaria per quel di Seattle, ma saremo affiancati da nostro fratello Reggie, un poliziotto dotato di uno spiccato senso del dovere, che ovviamente, seppur spaventato e confuso dai nostri poteri, ci darà una mano a trovare nuove abilità. Lo sblocco di queste è legata ai cosiddetti Nuclei Trasmettitori, delle particolari unità che, una volta assorbite, ci consentiranno di esprimerci con tutta una gamma di attacchi tanto efficaci, quanto spettacolari. Trattandosi di un titolo dove i superpoteri sono alla base dell’esperienza, non mancheranno una lunga serie di miglioramenti assortiti, sbloccabili grazie ad alcuni cristalli e al progressivo aumento di livello del protagonista.

Questa evoluzione ad albero è inoltre legata a doppio filo al fattore Karma, ovvero il comportamento che decideremo di seguire nel corso del gioco. Da sempre le scelte morali rappresentano il marchio di fabbrica di InFamous e Second Son non fa eccezione. Anche in questo caso ci troveremo a prendere delle decisioni che finiranno con influenzare parzialmente il corso degli eventi e tenderanno a delineare la personalità di Delsin. Ovviamente, il gioco è strutturato in modo tale che, una volta intrapreso un percorso, risulti sconsigliabile cambiare rotta. È sempre stato un po’ un limite della serie, ma è una meccanica a cui è difficile sottrarsi e del resto risulta funzionale alla rigiocabilità. Starà comunque al giocatore decidere se intraprendere la via dell’eroe senza macchia e senza paura, oppure quella dell’infame, rancoroso e incurante della vita altrui.

L'Orbital Drop è uno degli attacchi più spettacolari del gioco e fa davvero male, molto male.
L’Orbital Drop è uno degli attacchi più spettacolari del gioco e fa davvero male, molto male.

Questo aspetto è stato curato con una certa dovizia da parte degli sviluppatori. I poteri, infatti, variano sensibilmente a seconda delle scelte effettuate e costringono ad approcciare al gameplay in maniera diametralmente opposta. Per incrementare il karma positivo occorre comportarsi egregiamente, cercando di limitare il più possibili le morti accidentali e arrivando anche a paralizzare i nemici, piuttosto di ucciderli brutalmente. In questo senso, il secondo potere, quello legato ai neon (reso visivamente in maniera splendida), viene in soccorso grazie alla possibilità di prendere la mira con maggior precisione, rallentando leggermente lo scorrere del tempo; in questo modo si possono colpire le gambe dei nemici e renderli così inermi. Ben diverso l’approccio al karma negativo, con Delsin che tenderà non solo a diventare sempre più sfacciato e irrispettoso, ma che premierà nettamente l’atteggiamento aggressivo, con una predominanza di upgrade distruttivi.

Comunque sia, indipendentemente dal percorso intrapreso, si potranno sempre utilizzare le cosiddette bombe karma, attacchi devastanti in grado di spazzare via anche i nemici più coriacei, ma che richiedono il riempimento di un particolare contatore. Diciamo che è più semplice attivarlo da cattivi che non da buoni, ma in ogni caso regala sempre delle grandissime soddisfazioni.
Esiste anche un terzo potere (e un quarto, ma è come se non ci fosse), del quale però preferisco non dirvi nulla per non rovinarvi la sorpresa. In ogni caso, quando i Sucker Punch si riferivano a una cosa che usiamo tutti i giorni, non raccontavano baggianate, anzi. Il tutto comunque è stato ideato per amplificare la complessità degli scontri e permettere di spostarsi per Seattle in maniera rapida, limitando al minimo possibile l’approccio da scalatore dei precedenti InFamous. Del resto arrampicarsi sui palazzi non è un’operazione semplice e presenta non poche limitazioni: una scelta di design che di fatto costringe all’utilizzo immediato dei poteri, in grado di rendere gli spostamenti molti più snelli e immediati. Il tutto assume ancora più un senso quando entra in gioco il neon, che permette persino di correre sulle superfici verticali.

Grazie al potere del neon è possibile spostarsi a grande velocità su qualsiasi tipo di superficie.
Grazie al potere del neon è possibile spostarsi a grande velocità su qualsiasi tipo di superficie.

Con un gameplay che punta tutto alla libertà di movimento, è un peccato che non siano disponibili delle missioni secondarie un po’ più corpose. Alla fine si tratta solo di liberare i quartieri della città dalla presenza del DUP: per farlo, oltre ad attaccare i centri di comando, occorrerà distruggere le telecamere di sorveglianza, imbrattare i muri con dei graffiti (anch’essi dalla duplice personalità), dare la caccia a degli agenti infiltrati e scovare tutti i messaggi audio lasciati da un misterioso individuo. Vi sono anche delle missioni segrete dette Paper Trail, legate a un particolare Conduit in grado di manipolare la carta e dall’aspetto simile all’uomo-coniglio di Donnie Darko. Per accedervi, tocca però registrarsi a un sito, purtroppo non disponibile al momento della recensione.

In ogni caso, portare a termine il gioco non è un compito particolarmente gravoso. Nel giro di una dozzina di ore è possibile arrivare ai titoli di coda, ma Second Son tiene fede alla serie, grazie al discorso del karma, che di fatto offre una visione diametralmente opposta degli eventi a seconda della strada intrapresa. Personalmente ho sempre trovato catartico rigiocare gli InFamous nel ruolo del cattivo, dando sfogo alla furia distruttiva repressa nella prima run da “bravo ragazzo”. Ogni tanto è bello essere delle vere carogne, ammettiamolo.

Insomma… abbiamo un gameplay solido, coinvolgente e caratterizzato anche da una buona trama, particolarmente ispirata nel rapporto fra i due fratelli Rowe e nel concretizzare con efficacia la paura del “diverso”, in questo caso rappresentata dai Conduit. Piace anche vedere le reazioni della gente a seconda delle nostre azioni, laddove alla diffidenza iniziale può sostituirsi tanto l’ammirazione quanto il disprezzo. Second Son inoltre offre un livello di sfida mediamente alto (esistono comunque tre livelli di difficoltà, modificabili in qualsiasi momento), ma per fortuna i combattimenti sono sempre abbastanza equilibrati, con la telecamera che si comporta piuttosto bene nella maggior parte dei casi. Capita, ma è cosa rara, che la visuale risulti bloccata da qualche ostacolo, ma mediamente è davvero difficile perdersi, anche nelle situazioni più caotiche.

La vista che si gode dalla cima dello Space Needle è decisamente notevole.
La vista che si gode dalla cima dello Space Needle è decisamente notevole.

In tutto questo, la parte del leone la fa il motore grafico, a oggi l’engine open world più sofisticato presente sul mercato. La capacità di renderizzare una quantità smodata di effetti particellari, sommata a una densità poligonale davvero impressionante e a texture di altissima qualità, trova il suo senso assoluto grazia a un sistema d’illuminazione di prima categoria. In questa logica, dove la luce gioca un ruolo fondamentale nel rendere le scene il più coinvolgenti possibili, è perfettamente comprensibile la scelta di non voler imporre il passaggio giorno/notte, che pure si fa vedere in alcune sequenze d’intermezzo. Il primo approccio con i poteri del neon, che avviene giustamente di notte, non avrebbe avuto lo stesso impatto se la missione fosse stata ambientata in pieno giorno. Lodevole anche la resa delle superfici bagnate, un tratto distintivo di Seattle, città piovosa per eccellenza. Questa meraviglia visiva si porta dietro i 1080p e un antialias di qualità, l’SMAA T2x, una versione più raffinata e precisa rispetto a quella utilizzata da Crytek per Ryse: Son of Rome. Anche se qualche oggetto presenta comunque un filo di aliasing, la resa complessiva è di una pulizia esemplare, di gran lunga superiore a filtri come l’FXAA, che tendono a opacizzare un po’ troppo l’immagine.

Questo non significa che l’engine ideato dai Sucker Punch sia perfetto: se si sale in alto e si guarda bene in giro è possibile notare quanto scarso sia il traffico e in certe situazioni emerge anche qualche magagna sul LoD, ma bisogna veramente mettersi di buzzo buono e cercare ogni singolo difetto. Di certo non vedrete mai texture cambiare di risoluzione all’improvviso o oggetti poligonali balzare fuori dal nulla. Il tutto con un frame rate piuttosto solido (qualche calo c’è, ma niente di grave), che in certi casi si spinge persino oltre i canonici 30 fps. Una grande prova delle potenzialità di PS4, specialmente se pensiamo che la console è uscita da pochissimi mesi. Che dire d’altro? Bene così, avanti il prossimo!