ADR1FT – Recensione

L’urto ovattato della piccola bombola d’ossigeno vuota sul casco la risveglia di soprassalto dal torpore al quale si era abbandonata. Il dito fasciato dalla tuta protettiva picchietta in corrispondenza dell’indicatore, mentre la testa prega che un’anomalia di qualche tipo gli abbia fatto sbagliare la misurazione. E’ la prima volta che si trova a sperare in un guasto, in altre circostanze ci avrebbe riso su. Ma non in questa.
La barra di riempimento continua a lampeggiare nella medesima posizione. Nessun errore. Fa un rapido calcolo a mente, anche se è già consapevole del risultato: sei minuti d’aria al massimo, forse uno in più o in meno. Dipende da quanto riuscirà a restare calma verso la fine.
Una pioggia di detriti si infrange contro la pancia squarciata del modulo dentro cui ha trovato riparo. Si concede trenta secondi per guardare oltre l’oblò nel buio più profondo, ammirando una notte che non condividerà con nessun altro essere vivente. Accarezza il vetro attraversato da una crepa obliqua e lascia che la fantasia disegni una costellazione inesistente, con i corpi luminosi che riesce a scorgere. Una lacrima che non può asciugare le cola lungo la guancia.
La voce elettronica sottolinea la vicinanza dell’unità di sicurezza più vicina. Pianta i piedi a terra, flette le ginocchia e si dà una spinta verso il prossimo portellone, coadiuvandola con un leggero colpo dei propulsori. Altri trenta secondi in meno. Le restano qualcosa come cinque minuti, ma gli occhi sono già fissi sulla luce pulsante di un altro contenitore poco distante. Forse due.
Un flebile sorriso le taglia il volto. Ancora un altro terminale, ripete in cuor suo mentre la Terra le scorre accanto. Il prossimo sarà quello di accesso alle navette di evacuazione. Lo sa, lo sente. Com’è accaduto per la dozzina che si è già lasciata alle spalle.
Il metallo guaisce all’impatto, ma nel vuoto non emette alcun rumore. L’astronauta manda giù il groppo che le si è formato in gola e tira la leva di accesso. Diversi chilometri più in basso, il Canada viene rischiarato dall’alba di un nuovo giorno.

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VUOI TORNARE A CASA O VUOI RESTARE QUI?

Se c’è un termine nato quasi per scherzo ma che poi, via via, ha assunto connotazioni sempre più dispregiative e viene oggi utilizzato per etichettare un genere videoludico che pone l’accento sulla narrazione piuttosto che sul gameplay, è “walking simultor”. Lo sviluppo di tale battuta da simpatica allusione, coniata al lancio di DayZ  (una mod per ARMA 2 in cui troppo spesso accade di non aver altro da fare se non camminare), a marchio di infamia si può attribuire ad una certa forma mentis di una fetta della comunità di giocatori, apparentemente contrariati dall’attenzione che i media ed il pubblico rivolgono verso questa specifica categoria di titoli, come se ritenessero inutili gli sforzi che gli sviluppatori riversano su un prodotto meno interattivo della media e, dunque, definibile quasi come un “non gioco”, quando invece potrebbero concentrarsi sulle possibili migliorie di meccaniche già esistenti e collaudate. E’ un po’ come un cane che si morde la coda, a volte la sensazione è quella che, per ovviare alle accuse di formulaicità, i videogiochi dovrebbero essere in grado di rinnovare le proprie convenzioni… ma non troppo, o rischiano di alienare un pubblico che concepisce il cambiamento in ambito videoludico come positivo soltanto se aderisce ad alcuni canoni.
Per togliere subito ogni dubbio, qualora ve ne fossero, ADR1FT ricade alla perfezione nella classe dei “simulatori di passeggiata”, con il valore aggiunto che, in questo caso, si tratta di una passeggiata nella fredda immensità dell’orbita terrestre bassa. Alex Oshima, comandante della stazione aerospaziale Northstar IV, si risveglia improvvisamente sbalzata nel vuoto senza alcuna memoria di quanto accaduto, con la voce sintetica del computer di bordo che la dichiara “unica sopravvissuta” dell’equipaggio. [quotedx]Compito di Alex è trovare un modo per tornare sulla Terra, che si staglia così vicina eppure così lontana all’orizzonte[/quotedx] In effetti, l’intero osservatorio sembra sia stato colpito da una catastrofe di dimensioni apocalittiche, con ampie porzioni della gigantesca struttura ormai abbandonate e alla deriva nello spazio. I sottili strati di materiali sintetici che compongono la tuta spaziale della donna sono l’unica cosa che la separa da una rapida morte per soffocamento, ma scopriremo ben presto un’altra pessima notizia: buona parte della strumentazione è stata danneggiata in maniera irreparabile e così la centralina è costretta a deviare l’operatività dei propulsori sul dispositivo di controllo dell’ossigeno, a sua volta vittima di un malfunzionamento che ne provoca la lenta dispersione. In sostanza, per muoverci ed orientarci in assenza di gravità saremo costretti ad utilizzare la stessa aria che respiriamo, obbligandoci a limitare al minimo le spinte direzionali e lasciando quindi che sia l’inerzia a portarci a destinazione. Saremo comunque in grado di rimpinguare le nostre scorte con appositi recipienti disseminati un po’ ovunque ed evidenziati da una luce verde, che avranno anche il duplice scopo di indicarci inizialmente la strada da percorrere, nonché con i pochi impianti di riparazione ancora attivi che saranno anche in grado di accomodare eventuali guasti del nostro rivestimento. Compito di Alex è trovare un modo per tornare sulla Terra, che si staglia così vicina eppure così lontana all’orizzonte, riattivando i terminali della Northstar IV scampati al disastro e, magari, recuperando informazioni sugli altri membri dell’equipaggio che possano aiutarla a ricostruire l’accaduto: per fare ciò, dovremo seguire le procedure che ci verranno indicate di volta in volta e che, in buona parte, richiederanno molteplici viaggi fra le sezioni ancora parzialmente integre del complesso.

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HO PAURA, DAVID

La protagonista di ADR1FT si controlla come in un qualsiasi FPS, con l’aggiunta di comandi che possono farla spostare sull’asse verticale o ruotare la sua prospettiva. La velocità di movimento è molto bassa anche utilizzando i propulsori o l’accelerazione, per enfatizzare la sensazione di muoversi in assenza di gravità e, al contempo, accrescere la tensione derivante dalla cronica scarsità di ossigeno: non posso tuttavia affermare di essere totalmente d’accordo con la scelta operata dagli sviluppatori perché, nonostante riesca ad offrire una riproduzione abbastanza precisa delle attività extra veicolari svolte dai veri astronauti, in un contesto ludico si rivela un limite forse eccessivo da tollerare, in particolar modo verso la fine quando gli obiettivi si fanno sempre più distanti da raggiungere e il bisogno di recuperare i contenitori d’ossigeno più impellente. ADR1FT ci costringe pertanto ad attingere in maniera estremamente limitata ai motori della tuta e a lasciare che sia la prossima sezione divelta della piattaforma spaziale a venirci incontro, beandoci nel frattempo del panorama cosmico che ci circonda nel tentativo di non tenere sempre sott’occhio l’indicatore dell’aria. Ed è proprio il panorama a valere da solo il prezzo del biglietto: il gioco partorito dalla mente di Adam Orth, che in molti ricorderanno per il suo incauto atteggiamento a favore della connessione Internet obbigatoria per Xbox One, fa della presentazione visiva il suo principale cavallo di battaglia, presentando davanti ai nostri occhi uno spettacolo di meravigliosa devastazione. I riflessi sul visore, i frammenti di metallo e policarbonato che veleggiano nell’infinito, le bolle d’acqua della serra idroponica che rimbalzano delicatamente sulla tuta per poi fuggire lontano, il bianco asettico dei funzionali ambienti interni sui quali si riflette l’ombra della sfortunata astronauta, il passaggio del tempo sulla Terra che mostra le città illuminate dalla luce elettrica quando il moto orbitale della stazione nasconde il sole alla nostra vista: la cura per i dettagli ha davvero del maniacale, ed è facile soffermarsi ad osservare tutto ciò che ci circonda dimenticandosi per qualche attimo dei nostri incarichi virtuali, salvo poi riprendere il lento cammino verso la salvezza con un rapido clic sul comando che richiama a video la prossima destinazione. La versione 4 dell’Unreal Engine non viene forse spinta ai suoi limiti estremi, anche perché a tutt’oggi non sono stati ancora raggiunti, ma è stata di sicuro implementata con grande consapevolezza e l’impressionante resa finale ne è una superba dimostrazione

adr1ft_3[quotesx]ADR1FT fa della presentazione visiva il suo principale cavallo di battaglia, presentando davanti ai nostri occhi uno spettacolo di meravigliosa devastazione[/quotesx]
Non è un caso che i ragazzi della THREE ONE ZERO abbiano definito la loro creatura un FPX, First Person Experience, perché mi è capitato in più di un’occasione di domandarmi il motivo che mi costringeva ad esplorare i resti della stazione seguendo una serratissima tabella di marcia, piuttosto che avere la possibilità di perlustrarla a piacimento e sviscerarne i segreti con il mio ritmo. C’è comunque una lancia da spezzare in loro favore per aver inserito, con la patch più recente, una modalità di navigazione dei singoli senza vincoli di ossigeno, per quanto priva della possibilità di raccogliere le registrazioni audio e gli altri elementi necessari per ricostruire la tragedia. A tal proposito, dopo aver iniziato a mettere assieme i pezzi della storia grazie al lascito degli altri, defunti cosmonauti, il quadro d’insieme che inizia a prendere forma non brilla certo per inventiva: anzi, ogni persona di cui apprendiamo le vicissitudini e che si lega alla funesta catena di eventi produce in realtà l’effetto opposto, ossia quello di risultare un estraneo impegnato in faccende normalissime prima che il destino ineluttabile avesse la meglio su di lui. Alcuni profili sembrano interessanti, ma non vengono mai approfonditi a dovere, negando così l’ipotetico coinvolgimento emotivo che dovrebbe portare il giocatore ad interessarsi alle vicende, né a deviare dal sentiero per raccogliere tutte quelle testimonianze nascoste meglio delle altre. La traversata del comandante Oshima è poi costellata da asperità di vario genere, compresa la stessa stazione spaziale: non saranno rari i momenti in cui ci ritroveremo a sbattere contro pareti, oggetti di grandi dimensioni o detriti. In molti casi la collisione farà calare anche la nostra preziosa riserva d’aria: il problema è che non abbiamo modo di capire se un passaggio sia troppo stretto per la nostra traiettoria prima di affrontarlo, e dunque rischiare di perdere ossigeno, perché non siamo al corrente delle “dimensioni” effettive del corpo della nostra protagonista, perciò spesso dovremo sopportare un danno imprevisto che inciderà anche sull’indice di frustrazione personale.