Una settimana fa il patron Ubisoft Yves Guillemot chiamava alle armi gli investitori canadesi in vista del tentativo di scalata da parte del colosso dell’entertainment Vivendi. Ma quali sono le origini di questo “attacco azionario”, e quali potrebbero essere le possibili conseguenze? Ubisoft è davvero in pericolo acquisizione ostile? In questa sede, non si può certo rispondere all’ultima domanda in modo certo, ma potrebbe essere utile tener presenti alcuni fatti: sono mesi, ormai, che si succedono schermaglie fra le due aziende, entrambe francesi; Vivendi, inoltre, non è certo un nome nuovo nell’industria videoludica.
Come molti di voi sapranno, Vivendi (precedentemente nota come Vivendi Universal) era di fatto la proprietaria indiscussa di Activision Blizzard, detenendo il 61% delle azioni del colosso americano. Questo fino al 2013, quando Activision ritornò indipendente invitando Vivendi, che aveva al tempo un problema di liquidità, a ridurre la propria quota al 12%. E, per “problema di liquidità”, s’intende qui un buco da 13,4 miliardi di euro. Il debito era andato via via espandendosi nel corso degli anni a causa, forse, dei tanti (troppi?) progetti transmediali dei francesi (musica, televisione, telefonia), e rischiava di trascinare con sé la sanissima Activision.
Ecco che, passati due anni e con un CEO nuovo, Vivendi mette i suoi occhi sulla più piccola Ubisoft (si tratta comunque di 1,4 miliardi di dollari di fatturato). Tornata nel mercato videoludico lo scorso ottobre, l’azienda riesce a ottenere più del 15% di Gameloft, la sezione mobile di Ubisoft, e più del 10% di quest’ultima. Una mossa definita “non richiesta” e “non benvenuta”. Ma Vivendi non si lascia certo frenare e, dopo essersi completamente disfatta delle ultime azioni Activision lo scorso gennaio, aumenta la sua quota Gameloft fino a toccare il 30%. Guillemot ha espresso preoccupazione per la salute delle aziende, nel caso il colpo riuscisse: “La chiave del successo di Ubisoft”, ha dichiarato, “è stata la sua agilità e capacità di adattarsi, cosa impossibile nel caso si dovesse rendere conto a un gruppo più grande per ogni decisione”.
Guillemot aveva però già dichiarato la volontà di agire in autonomia, rivolgendo all’avversario un’evidente frecciatina il 15 febbraio, In quel frangente, il CEO di Ubisoft aveva affermato che per un “grande film internazionale” non c’è bisogno di “andare da Canal+”, la casa di produzione cinematografica di Vivendi. Il riferimento è chiaramente alla versione cinematografica di Assassin’s Creed, prodotta da 20th Century Fox. L’azienda è infatti già ben posizionata nell’intrattenimento transmediale, ma proprio per questo è ancora più appetibile, soprattutto considerando la prossima apertura del parco a tema dedicato ad Assassin’s Creed e ai Rabbids che aprirà a Kuala Lumpur, in Malesia, nel 2020. Ubisoft ha quindi già i suoi piani in tal senso, anche considerato che ha già aperto i suoi Studios e non ha intenzione di finire come EA, costretta a pagare le licenze a Disney per Star Wars.
Ciò detto, le reazioni tempestive del boss di Ubisoft testimoniano che c’è un certo timore di fronte all’eventuale successo dell’operazione, probabilmente proprio per la natura francofona del conflitto. Ubisoft è difatti un’azienda francese, ma con una ventina di sedi sparse in tutte il mondo. E, a dispetto di ciò che possano pensare gli abitanti del Québec, che vogliono la secessione, i dipendenti di Montréal non saranno mai francesi. Se, quindi, il governo francese proteggerebbe volentieri Ubisoft da un attacco straniero, difficilmente avrebbe interesse a intervenire in un conflitto interno.
Certo, Ubisoft non sta con le mani in mano. È stato già elaborato un piano triennale volto ad aumentare del 60% il suo valore, mossa che sicuramente agiterà gli animi degli investitori (e non solo quelli canadesi); inoltre, è in atto una strategia più definita, volta a fidelizzare i giocatori con i franchise di successo. D’altro canto, sebbene Vivendi sia probabilmente a suo agio proprio sotto quest’ultimo aspetto, nell’industria del videogioco è facile perdere le teste più creative. Effetto collaterale che, non di rado, una scalata ostile tende a provocare.