Non si può cominciare la recensione di Tesla Effect: A Tex Murphy Adventure senza fare una premessa quanto mai necessaria: questo gioco è la quintessenza del fan service. Chi vi scrive, per dire, ha amato alla follia i precedenti titoli della serie, tanto che Tesla Effect è riuscito nell’impresa di risvegliare emozioni e sentimenti che credevo ormai sopiti da tempo. Il mio lavoro, tuttavia, consiste nel dare un giudizio il più possibile distaccato e super partes, mettendo in chiaro i pregi del gioco di Chris Jones, ma tenendo presente che siamo nel 2014 e che certe dinamiche sono purtroppo fuori tempo massimo.
Per chi non sapesse di cosa si sta parlando, Tesla Effect è un’avventura grafica che ha come protagonista Tex Murphy, un detective sbroccato e dalle forti tinte noir. Lo scenario è quello della San Francisco del futuro (siamo nel 2050) e il nostro eroe si è perso per strada sette anni di vita, a causa di un’amnesia causata da una botta alla testa. Qualcuno lo ha aggredito nel suo pulcioso ufficio, sito nei sottoborghi della metropoli statunitense: sta al giocatore scoprire chi e perché, oltre a capire cosa è accaduto alla memoria del nostro scalchignato emulo di Dick Tracy. Più facile a dirsi che a farsi, visto che i personaggi che incontreremo ci aiuteranno solo se saremo accondiscendenti con loro o se sapremo toccare le giuste corde, durante i numerosi dialoghi che permeano l’intera avventura.

Di fatto, Tesla Effect non inventa nulla, e anzi fa suoi tutti i cliché dell’epoca in cui i green screen si consumavano peggio che le lenzuola nei bordelli. Tutte le parti “dialogate” sono difatti girate con attori veri (per veri si intende in carne e ossa, non che sappiano recitare… sia chiaro), che dicono la loro mentre sullo sfondo campeggiano scenari opportunamente renderizzati. Tra una chiacchiera e l’altra, il nostro Tex può esplorare gli ambienti in prima persona, raccogliendo oggetti e interfacciandosi con gli elementi attivi presenti a schermo. L’inventario, facilmente accessibile cliccando il pulsante destro del mouse, permette di esaminare il contenuto e, all’occorrenza, combinare due oggetti per ottenerne un terzo. Tutto tipicamente classico. E tipicamente old-school, che poi è dove l’asino casca.
Mettiamo in chiaro una cosa: che un titolo sia old-school è tutto tranne che un problema, fintanto che si prendono i pregi di un modo “antico” di fare i videogiochi, e al contempo si falcidiano i difetti, rimpiazzandoli con tutto quello che di nuovo e di buono è stato introdotto negli anni (anche solo banalmente, in quanto a concept e interfaccia). Il problema di Tesla Effect è che è old-school anche nei “contro”, che è una cosa sopportabile per chi dà la precedenza a storia e ambientazione (e al carisma del personaggio), ma che rischia di frenare l’entusiasmo di chi non ha mai avuto a che fare con Tex Murphy o con quella pletora di avventure grafiche fatte di live-action video come se piovesse, tanto in voga negli anni ’90. Ad esempio, il gioco è intriso di situazioni in cui si vorrebbero tentare cose, ma che ci vengono concesse solo dopo che un determinato evento ha attivato il relativo script. Di per sé non sarebbe neanche un male, se le dinamiche di gioco lasciassero intendere che, ad esempio, una determinata location possa divenire prima o poi un luogo attivo; cosa che, invece, non accade mai, lasciando il giocatore in balia di intuizioni castrate e non sempre facili da accendere. Se vogliamo, l’unica concessione alla modernità riguarda la possibilità di giocare usando una versione semplificata dell’interfaccia, che mette in evidenza oggetti e zone erogene degli scenari, oltre a consentire l’uso di aiuti agli enigmi.

Le scelte dei dialoghi multipli non sempre consentono di capire dove Tex andrà a parare nel discorso, visto che le tre opzioni a disposizione sono rappresentate da scritte per lo più criptiche e di difficile interpretazione, da un lato efficacissime a tratteggiare la personalità sbroccata del nostro detective con la faccia da schiaffi, ma dall’altra spesso fuorvianti e apparentemente fuori contesto. È un peccato dover andare talvolta a tentoni durante i dialoghi, perché la recitazione da b-movie e la commistione tra noir e goliardia becera fanno davvero di tutto per riproporre intatto l’inimitabile stile dei precedenti titoli. I fan indefessi, poi, vengono ingraziati con una tonnellata di riferimenti ai capitoli passati, a volte sotto forma di semplici citazioni (la chitarra nello studio di Tex è autografata da Richie Havens, autore di questo pezzo che concludeva The Pandora Directive), e altre con la riproposizione di video flashback tratti direttamente dai filmati originali.
Anche tecnicamente, Tesla Effect fa di tutto per ricordarci che si tratta di un titolo proveniente dal passato, per quanto glorioso. Certo, a scusante c’è il fatto che si tratta di un progetto finanziato per massima parte attraverso crowdfunding, e quindi non si poteva certo pretendere di vedere le nostre schede video messe alla berlina da chissà quali prelibatezze grafiche. Considerate le risorse a disposizione, quindi, il risultato va valutato con benevolenza e i videogiocatori più attenti alla sostanza che alla forma non avranno grossi problemi a turarsi il naso di fronte a texture con il minimo sindacale di dettaglio e a un polygon count davvero bassino. La colonna sonora, per fortuna, è quella che meno risente delle rughe del tempo: il jazz caldo e le blande note dolci che velano di mistero ogni passo di Tex riescono a tenere l’indicatore dell’empatia ben oltre la sufficienza.