“A cosa stai giocando di bello?” “Ah, questo lo devi vedere, è troppo forte: è un gioco dove si devono fare le acrobazie con le macchine e sfasciare quelle degli avversari. Se però poi ti schianti tu è un casino! No no, devi vederlo”. Mia moglie, che pure di videogiochi è appassionata, che passa le serate davanti a uno strategico a turni, un casual
“Ah, questo lo devi vedere, è troppo forte: è un gioco dove si devono fare le acrobazione con le macchine e sfasciare quelle degli avversari. Se però poi ti schianti tu è un casino! No no, devi vederlo“.
Mia moglie, che pure di videogiochi è appassionata, che passa le serate davanti a uno strategico a turni, un casual game o il Wii Fit, a seconda dell’umore, solitamente è curiosa di sapere a cosa sto giocando. Dopo averle parlato di Burnout Paradise, non ha degnato il monitor di uno sguardo. Perché in effetti “spiegarlo” a parole rischia di farci fare più che altro la figura dei bambinetti pacioccosi.
Mi vede giocare, lancia uno sguardo compassionevole (io non la vedo perché ho gli occhi fissi sullo schermo, ma lo so che mi guarda in quel modo) e se ne va.
Non voglio fare la recensione del gioco, per quello vi rimando volentieri a quella che trovate in esclusiva sul nuovo numero di TGM in edicola in questi giorni.
Però non posso nascondervi che aver passato qualche ora tra le vie di Paradise City mi ha fatto tornare con la mente a uno dei concetti cardine dei videogiochi, e che spesso non ci rendiamo neppure conto di trascurare. Il divertimento. Puro, semplice divertimento. Questo è – almeno per me – il classico gioco nel quale spegni il cervello e lasci che sia la fantasia a farti correre, trascinato nelle acrobazie assurde delle auto o nei rocamboleschi takedown degli avversari.
Da parecchio tempo non mi capitava di ridere davanti a un monitor, di lanciare grida di disgusto quando la macchina si accartoccia contro un pilone che non avevo visto, o di fare facce da deficiente davanti alla webcam del monitor per scattare la foto della patente. La molla che “spegne” il cervello di ciascuno di noi è sempre diversa, ovviamente, e per molti non sarà certo BP a farla scattare.
Ci sono giochi che fanno riflettere, altri che richiedono concentrazione, che fanno paura, che mettono alla prova i nostri riflessi e stimolano la nostra mente. In ogni caso, un videogame è bello quando è avvincente, quando ci “prende”, ci cattura nel suo mondo, piccolo o grande che sia, per pochi minuti o per centinaia di ore.
E ci piacciono tutti, questi giochi. Ci piace saltare sulla sedia nello spazio profondo di Dead Space, ragionare e pianificare la strategia migliore per affrontare la prossima missione di Sins of a Solar Empire, arrovellarci per risolvere un enigma di A Vampyre Story, concentrarci al massimo per riuscire a passare il trentaseiesimo livello di Perfect Balance… Ma ogni tanto ci piace anche divertirci. Senza nessun altro motivo che quello di volersi divertire.
Spesso leggiamo che i videogame potranno essere considerati arte solo quando riusciremo a piangere davanti a un mucchio di pixel.
Ma quand’è stata l’ultima volta che avete riso?